L’albergatore non versa l’imposta di soggiorno al Comune: risponde di peculato
di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 32058, del 12 luglio 2018, ha confermato la condanna nei confronti di un imprenditore alberghiero: l’omesso versamento dell’imposta di soggiorno al Comune comporta la condanna per il delitto di peculato.
Il caso
Con sentenza del maggio 2017, la Corte d’appello ha confermato la sentenza dei giudici di primo grado che condannava un imprenditore alberghiero alla pena di anni due di reclusione, oltre alle sanzioni accessorie di legge ed al risarcimento dei danni nei confronti della costituita parte civile ( nel caso in esame si trattava Comune piemontese ), per il delitto di peculato continuato commesso per avere incassato nei primi tre trimestri dell’anno 2015, quale rappresentante legale di una struttura alberghiera, somme di denaro per l’importo complessivo di 15.000,00 euro a titolo di imposta di soggiorno, senza corrisponderle al Comune.
Il ricorso in Cassazione
Avverso la suindicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imprenditore alberghiero, deducendo violazioni di legge e vizi della motivazione con riferimento:
a) alla qualificazione giuridica del fatto ed alla errata applicazione della norma incriminatrice, sul rilievo della confusione che si è verificata tra le somme di pertinenza erariale e quelle destinate a remunerare l’albergatore, che non ha un obbligo di istituire un conto dedicato, con la conseguente mancanza di prova dell’avvenuta interversione del possesso, la quale non può essere desunta da un mero ritardo nell’adempimento dei versamenti in favore del Comune, tenuto altresì conto del fatto che i relativi tributi sono stati spontaneamente pagati dall’imputato ancor prima di ricevere la contestazione dell’inadempimento, ovvero a seguito di una ricognizione di debito incompatibile con l’interversione del possesso;
b) alla qualificazione giuridica del soggetto attivo, la cui attività di albergatore non può ricondursi alla figura dell’incaricato di pubblico servizio, poiché l’attività svolta dall’imputato è quella, puramente esecutiva e materiale, di incasso, non già di rendicontazione, che, sola, sarebbe soggetta ai principii evocati dalla impugnata sentenza, relativa alla gestione degli incassi e dei riversamenti dell’imposta di soggiorno da parte delle strutture ricettive presenti sul territorio;
c) alla mancanza di consapevolezza in capo all’imputato del possesso della qualifica di agente contabile, avuto riguardo alla novità ed alla particolare complessità della questione, anche sotto il profilo della concreta conoscibilità della norma extra-penale, contenuta in un allegato (4.2.) al D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118;
d) alla incostituzionalità delle norme regolamentari che attribuiscono all’imputato responsabilità contabili (in forza del regolamento del Comune piemontese che ha istituito la tassa di soggiorno).
L’imposta di soggiorno: cenni
La disciplina dell’imposta di soggiorno è contenuta nell’art. 4, D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, come da ultimo modificato ed integrato dall’art. 33, L. 28 dicembre 2015, n. 221.
L’imposta di soggiorno propriamente denominata è esclusivamente quella individuata dal primo comma dell’art. 4, il quale dispone che “i comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio”.
Il legislatore, pertanto, ha definito i contorni della disciplina del tributo, individuandone il presupposto, costituito dal soggiorno nelle strutture ricettive localizzate entro il territorio degli enti locali impositori, nonché i soggetti passivi, rappresentati dagli ospiti di tali strutture.
In conformità al principio della riserva di legge vigente per la materia tributaria, sancito dall’art. 23 Cost. e riaffermato, nel contesto della ripartizione dei poteri tra Stato centrale ed enti locali, dall’art. 52, comma 1, D.Lgs. n. 446 del 1997, sono state individuate la misura massima dell’aliquota nonché i criteri di modulazione della medesima, per cui il tributo deve applicarsi “secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno”.
Il legislatore è, altresì, intervenuto con riguardo alla destinazione del gettito del tributo, disponendo che le entrate sono destinate a “finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali”.
La disciplina di dettaglio , demandata dall’art. 4 , D.Lgs. n. 23 del 2011, all’adozione di un regolamento governativo da emanare entro il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, ai sensi dell’art. 17, comma 1, L. 23 agosto 1988, n. 400 , non è ancora stata varata, con la conseguenza che, in sede di regolamentazione del tributo da parte delle singole municipalità, i comuni capoluogo di provincia (e le unioni di comuni) sono espressamente autorizzati, dal comma 3, del suindicato art. 4, secondo periodo, a disporre, con proprio regolamento ai sensi dell’art. 52, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, “ulteriori modalità applicative del tributo”, nonché a prevedere “esenzioni e riduzioni per particolari fattispecie o per determinati periodi di tempo”.
L’art. 4, comma 3, ultimo periodo, D.Lgs. n. 23 del 2011 espressamente statuisce, infatti, che, nel caso di mancata emanazione del regolamento nei termini previsti, i comuni possono comunque procedere alla istituzione del tributo.
L’analisi della Cassazione
Per la Corte di Cassazione il ricorso è infondato. Per quel che attiene ai compiti affidati al soggetto che gestisce la struttura ricettiva i regolamenti comunali contemplano il più delle volte oneri accessori, strumentali e funzionali all’esazione dell’obbligazione tributaria, non già compiti di sostituzione o di responsabilità impositiva, dai quali conseguirebbero ipotesi di solidarietà tributaria. Si tratta, in particolare, di compiti relativi all’informazione, al calcolo dell’imposta dovuta, all’incasso dell’imposta, alla conservazione e compilazione della modulistica, all’obbligo di riversamento delle somme riscosse a titolo di imposta, nonché ai connessi obblighi dichiarativi e certificativi.
I controlli sul gestore attengono essenzialmente ad aspetti quali la corretta liquidazione del tributo, l’integrale e fedele rendicontazione dell’imposta incassata, il suo integrale riversamento al comune di appartenenza.
Diversamente, l’unico obbligo previsto dall’art. 4, D.Lgs. n. 23 del 2011, in capo al soggetto passivo dell’imposta di soggiorno, ossia dell’ospite della struttura ricettiva, è quello del pagamento dell’imposta, non essendo infatti previsto a suo carico alcun obbligo dichiarativo proprio in virtù dell’intervento del gestore della struttura ricettiva.
La differenza è rilevante, giacché l’incaricato o responsabile della riscossione del tributo svolge un’attività ausiliaria nei confronti dell’ente impositore ed oggettivamente strumentale rispetto all’esecuzione dell’obbligazione tributaria, la quale, per l’appunto, comporta l’incasso delle somme spontaneamente versate dal soggetto passivo e il conseguente obbligo di riversarle all’ente impositore di competenza.
Il sostituto d’imposta, di contro, risponde in proprio del versamento del tributo, anche nell’eventualità in cui il soggetto passivo (l’ospite) si rifiuti di pagare o comunque non versi l’imposta.
La qualifica assunta dai gestori delle strutture ricettive esula, pertanto, dall’ambito della responsabilità d’imposta, sicché il gestore è un terzo rispetto all’obbligazione tributaria ed il suo coinvolgimento avviene ad altro titolo, ossia quale destinatario di obblighi formali e strumentali all’esazione del tributo comunale.
Ne discende che il rapporto tributario intercorre esclusivamente tra il Comune (come soggetto attivo) e colui che alloggia nella struttura ricettiva (soggetto passivo), mentre il Comune si rapporta con il gestore non come soggetto attivo del rapporto tributario, bensì quale destinatario giuridico delle somme incassate dal gestore a titolo di imposta di soggiorno, nell’ambito di un rapporto completamente avulso dal rapporto tributario, sebbene ad esso funzionalmente orientato e correlato.
Il quadro normativo di riferimento si completa con il necessario richiamo alla norma generale sancita dagli artt. 74, comma 1, R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 e 178, R.D. n. 827 del 1924, i cui principii sono peraltro ribaditi nel T.U.E.L. D.Lgs. n. 267 del 2000, che, in particolare, all’art. 93, comma 2, recita: “il tesoriere ed ogni altro agente contabile che abbia maneggio di pubblico denaro o sia incaricato della gestione dei beni degli enti locali, nonché coloro che si ingeriscano negli incarichi attribuiti a detti agenti devono rendere il conto della loro gestione e sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti secondo le norme e le procedure previste dalle leggi vigenti”.
Si tratta di un principio generale dell’ordinamento, senza alcuna eccezione di carattere settoriale, che trova conferma anche nel D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118 – entrato in vigore dal 10 agosto 2011, che nel dettare “Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni degli Enti locali e dei loro organismi”, nell’allegato n. 4.2., al punto 4.2, dispone espressamente che: “Gli incaricati della riscossione assumono la figura di agente contabile e sono soggetto alla giurisdizione della Corte dei Conti, a cui devono rendere il conto giudiziale. Agli stessi obblighi sono sottoposti tutti coloro che, anche senza legale autorizzazione, si ingeriscono di fatto, negli incarichi attribuiti agli agenti anzidetti.”.
Vi si prevede, altresì, nella medesima prospettiva e ad ulteriore conferma di quanto illustrato, che “Gli agenti contabili devono tenere un registro giornaliero delle riscossioni e versare all’amministrazione per la quale operano gli introiti riscossi secondo la cadenza fissata dal regolamento di contabilità.
Il regolamento di contabilità disciplina le modalità di esercizio del riscontro contabile e le modalità di riscossione e successivo versamento in tesoreria delle entrate a mezzo degli agenti della riscossione”.
Ciò posto in ordine al profilo di doglianza attinente alla qualificazione giuridica del soggetto attivo, deve ritenersi che la sentenza impugnata ha fatto buon governo del quadro di principii delineato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 15 ottobre 2009, n. 43279), ove si consideri che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che ha ricevuto denaro per conto della pubblica amministrazione realizza l’appropriazione sanzionata dal delitto di peculato nel momento stesso in cui egli ne ometta o ritardi il versamento, cominciando in tal modo a comportarsi “uti dominus” nei confronti del bene del quale ha il possesso per ragioni d’ufficio.
Nel caso di specie, come posto correttamente in risalto dai Giudici di merito, i versamenti sono stati effettuati a distanza di diversi mesi dalla scadenza del termine previsto, sebbene le somme di denaro ricevute dai soggiornanti fossero entrate nella diretta disponibilità della pubblica amministrazione non appena versate a colui che, per legge, era stato incaricato di riscuoterle.
La Corte di Cassazione, in conclusione, rigetta il ricorso.
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