I piani di razionalizzazione, normati dall’articolo 16, commi 4, 5 e 6 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge n. 111/11, nascono in tempi di “vacche magre”, quando già si profilava all’orizzonte una lunga stagione di mancati rinnovi dei CCNL, peraltro già annunciata nel medesimo articolo 16, comma 1, lettera b), del d.l. 98/2011. Sono particolarmente interessanti perchè parte dei risparmi può essere destinata ad incrementare il fondo del trattamento accessorio oltre il limite dell’anno 2016.
La norma non è mai variata in questi nove anni e prevede che:
- entro il 31 marzo di ogni anno le pubbliche amministrazioni possono adottare piani triennali di:
- razionalizzazione e riqualificazione della spesa;
- riordino e ristrutturazione amministrativa;
- semplificazione e digitalizzazione;
- riduzione dei costi della politica e di funzionamento, compresi gli appalti di servizio, gli affidamenti alle partecipate e il ricorso alle consulenze attraverso persone giuridiche.
- i piani devono indicare la spesa sostenuta a legislazione vigente, per ciascuna delle voci di spesa interessate e i correlati obiettivi in termini fisici e finanziari;
- le eventuali economie effettivamente realizzate, rispetto a quelle già previste dalla normativa vigente, possono essere utilizzate annualmente, nell’importo massimo del 50%, per la contrattazione integrativa, di cui il 50 % destinato alla erogazione dei premi previsti dall’art. 19 del d.lgs. n. 150/2009 (cosiddette: fasce di merito, poi abolite e superate da altre disposizioni legislative e contrattuali)[1];
- i risparmi conseguiti sono utilizzabili solo se, a consuntivo, è accertato, per ogni anno, dalle amministrazioni interessate, il raggiungimento degli obiettivi fissati per ciascuna delle singole voci di spesa previste nei piani e vengono realizzati i conseguenti risparmi;
- i risparmi devono essere certificati dai competenti organi di controllo, secondo la specifica disciplina della pubblica amministrazione che redige il piano.
- i piani adottati dalle amministrazioni sono oggetto di informazione alle organizzazioni sindacali più rappresentative.
L’inserimento dei risparmi all’interno del fondo del salario accessorio (risorse variabili) viene, oggi, espressamente contemplato dall’art. 67, comma 3, lettera b), del CCNL Funzioni locali del 21 maggio 2018, con la specificazione (importante!) che i risparmi devono essere non solo conseguiti, ma anche “certificati”. L’utilizzo dei risparmi inseriti nella costituzione del fondo è materia di contrattazione, secondo le destinazioni previste dall’articolo 68, comma 2, del medesimo CCNL.
I risparmi certificati, nella quota massima del 50%, inseriti nella costituzione del fondo risorse decentrate restano escluse dal Tetto dell’anno 2016, come conclamato, da ultimo, dalla Relazione illustrativa MEF-RGS, del 24/05/2017 (pagina 39), sull’applicazione dell’articolo 23, comma 2, d.lgs. 75/2017.
Se i risparmi conseguiti e certificati, non vengono inseriti nel fondo decentrato, ma concorrono al riassorbimento delle somme indebitamente erogate ai dipendenti[2], è possibile utilizzarle nella misura del 100% delle somme risparmiate[3].
Sull’argomento, interessante proprio per capire se ci sono anche margini per aumentare il fondo del trattamento accessorio oltre il limite del 2016, abbiamo organizzato uno specifico corso di formazione. Trovate tutte le indicazioni qui.
[1] Si veda, da ultimo, l’articolo 13, comma 1, del d.lgs. 25 maggio 2017, n. 74;
[2] Si veda articolo 4, comma 2, del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16, convertito dalla legge 2 maggio 2014, n. 68; cd: decreto salva-Roma ter;
[3] Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 10946 del 12/08/2014, contenente “Indicazioni applicative in materia di trattamento retributivo accessorio del personale di regioni ed enti locali. Articolo 4, del decreto legge 6 marzo 2014, n. 16 recante “Misure conseguenti al mancato rispetto di vincoli finanziari posti alla contrattazione integrativa e all’utilizzo dei relativi fondi”.
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