tratto da luigioliveri.blogspot.com
Coronavirus. Pensieri in libertà sul bambino che urla il re è nudo
Il coronavirus è un killer, ma è anche il bambino che grida “il re è nudo”. L’emergenza sta, infatti, evidenziando una serie di verità, che sono rimaste, in questi anni, assurdamente nascoste o, sebbene note e conosciute, lasciate a languire e incancrenirsi:
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il “federalismo” o l’autonomia differenziata o il “policentrismo funzionale”. La frammentazione delle decisioni e della spesa, figlia della dissennata riforma del Titolo V della Costituzione, sono una chimera ed un errore. Speriamo che, quando se ne uscirà, finalmente si cancelli simile follia;
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“lasciamo fare alla mano invisibile del mercato”. Una società avanzata nè può essere totalmente statalizzata, nè può permettersi di lasciare fare solo al mercato. Il mercato “decide” che le mascherine non si producano in Italia e l’Italia è rimasta senza mascherine. La politica della produzione industriale e della sua localizzazione non può essere guidata solo da logiche mercatistiche;
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“la centralizzazione degli acquisti rende il sistema più efficiente; ridurre le stazioni appaltanti da 30.000 a 30”: si è creato un oligopolio delle piattaforme d’acquisto, che non ha abbassato i prezzi, e lascia tutti problemi procedurali esistenti;
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il codice dei contratti si conferma una macchina di burocrazia implacabile. Casi estremi mettono sotto stress le regole, impostate da chi non lavora sul campo e non conosce a fondo i problemi. Le regole del codice, sulle acquisizioni d’urgenza, non funzionano. Punto.
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la contabilità pubblica: impegno di spesa, ordinazione, pagamento. Fondo pluriennale vincolato, fondo crediti di dubbia esigibilità, scadenze, scadenze, scadenze, atti, programmi, progetti, ancora atti, scadenze, scadenze, scadenze, visti, liquidazioni, PCC, split payment, “contabilità armonizzata”, imputazione negli anni successivi, Dup, Peg, Sprot, Flik, Bang, Uack. Basta!;
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la digitalizzazione. L’assenza di una politica pubblica industriale ha permesso che un Paese occidentale, come l’Italia, non abbia una decente capacità di connessione. Chi viaggia in treno nella tratta Milano-Venezia (non stiamo parlando del viaggio tra Sudan ed Egitto) sa che dalle parti di Brescia e di Vicenza il wi-fi non prende (verso Sirmione anche canali radio non sono captabili). Tutti a discettare sugli investimenti pubblici, ma questo, che è così fondamentale ed importante è stato bellamente trascurato;
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i “bonus”. Non è possibile continuare a pensare che l’amministrazione di uno Stato sia volta solo alla campagna elettorale più prossima. In questi scorsi anni tra bonus degli 80 euro e bonus alle aziende per assunzioni che avrebbero fatto comunque, sono stati spesi – in deficit – non meno di 40 miliardi. Quanto servirebbero, oggi, 40 miliardi?;
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la PA è come un’azienda privata. No! Il coronavirus dimostra che servizi pubblici, in primis la sanità, sono da gestire con logiche pubbliche e non aziendali. Perchè, appunto, possono verificarsi crisi ed epidemie. E quindi l’apparato dei servizi pubblici deve poter funzionare con regole peculiari, non guidate da logiche aziendalistiche (o non solo da quelle).
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la PA è un elefante non riformabile. No! Il lavoro agile e le possibilità di svolgere lavoro da remoto sono stati colpevolmente rimossi dalla pigrizia di chi pensa che si vincano le guerre con le circolari, come il generale Cadorna. C’è una possibilità estesissima di sfruttare le risorse tecnologiche, per modificare procedure ed abitudini. Si deve una volta e per sempre introdurre la pianificazione delle attività lavorative, dare un budget operativo e far lavorare senza vincoli di luogo e di orario, andando dal cliente, anche, senza necessariamente le greggi che vanno agli sportelli. Si potrebbero risparmiare enormi risorse di affitti, di arredi, di logistica.
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Il mercato del lavoro non può non uscire fuori totalmente modificato. Quanto rilevato al punto precedente, vale ancor più per il lavoro in generale. Il coronavirus ha dato, forse, una spallata definitiva al vecchio modo di concepire il lavoro. Tranne che nei sistemi di produzione e della logistica, si deve prendere atto che il lavoro è agile, non è connesso ad orari e a postazioni fisse. Le lotte dei riders debbono essere la vittoria che si aggiunge a quella che conseguiremo contro il coronavirus: si paga uno stipendio intero e rispondente all’articolo 36 della Costituzione anche a chi lavora in modo “dematerializzato”.
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Le istituzioni politiche ed economiche internazionali hanno pensato, con la caduta del muro di Berlino, che la pacchia sarebbe stata eterna, che il “mercato” avrebbe trionfato con poche regole, che il “debito” fosse sempre e solo brutto e cattivo, che i conti, i bilanci fossero il primo e solo bene pubblico. Non è così. La funzione delle istituzioni pubbliche è captare il denaro proveniente dai cittadini, per redistribuirlo in servizi e anche per interventi straordinari per situazioni d’emergenza. Tutte le procedure, le idee, le misure, vanno profondamente ridisegnate.
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