tratto da luigioliveri.blogspot.com
Coronavirus: tutti i termini dei procedimenti debbono considerarsi superabili e prorogati, per causa di forza maggiore
La Pubblica Amministrazione italiana, spesso ingiustamente e per luogo comune, ma non del tutto infondatamente, non è celeberrima per la capacità di rispettare i termini dei vari procedimenti gestiti.

La previsione di termini cui tenere fede è da sempre un cruccio. La legge 241/1990 e molte leggi speciali (in tema di appalti, espropri, tributi, ecc…) li dettagliano in modo molto accurato.

La combinazione tra Dpr 445/2000 e il d.lgs 82/2005, insieme alle regole tecniche, stabiliscono le modalità per acquisire al protocollo informatico i documenti da cui traggono origine i procedimenti e per gestirli in modo informatico.

Nonostante un imponente apparato normativo finalizzato a velocizzare gli iter ed semplificarne la gestione mediante strumenti informativi, si è ben lontani da una diffusa capacità di rispettare i termini.

E’, dunque, del tutto fuori luogo ora, proprio in questi momenti, aspettarsi che la PA possa rispettare termini che spesso vìola anche in “tempo di pace”.

Appare del tutto ottuso pretendere di gestire i procedimenti come se niente fosse. Si dirà: “c’è lo smart working”. Certo. Ma, non bisogna nascondersi la realtà: nella gran parte dei casi, si stanno ponendo in essere lavori in modo agile molto fittizi e pressappochistici, per dare corso a quello che è: una mega cassa integrazione straordinaria pubblica, sotto mentite spoglie.

Moltissimi dipendenti pubblici non hanno nè una linea di rete sufficiente, nè l’hardware necessario per gestire da remoto le pratiche. I datori pubblici, nei 5 anni di disapplicazione (colpevole) del lavoro agile nella PA, hanno lesinato in modo miope dotazioni informatiche.

La realtà, quindi, è che nonostante lo smart working sia divenuto, in questa fase eccezionale, modo ordinario di resa della prestazione lavorativa, è del tutto impossibile assicurare il rispetto dei termini.

Alcuni enti hanno sistemi “blindati”, tali da non consentire il collegamento sulla rete internet agli applicativi (protocollo, gestionali, documentale); altri, assicurano i collegamenti sicuri a troppo poche persone; in altre circostanze, anche una buona diffusione in rete degli applicativi sconta l’inadeguatezza delle dotazioni messe a disposizione dai dipendenti.

In Governo pare intenzionato, nelle prossime ore, ad adottare una norma che appunto sospenda sine die in maniera molto estesa i procedimenti amministrativi. Bene.

Anche in assenza di simile norma o anche laddove essa non sia ritenuta, da letture assurdamente restrittive che non sanno comprendere l’assetto di un ordinamento eccezionale e derogatorio, completa, non può non considerarsi comunque operante il principio generale desumibile dall’articolo 1218 del codice civile: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile“.

L’impossibilità della prestazione per causa non imputabile può e deve essere invocata, per escludere che la burocrazia sia alleata del coronavirus, nel richiedere inopportune presenze in servizio, a loro volta fonte di circolazione di persone nel territorio, cosa che mette a rischio il Paese.

Vanno rispettati solo ed esclusivamente quei termini con ogni evidenza imperiosamente connessi a beni irrinunciabili e primari: una scarcerazione, una prestazione sociale indifferibile, situazioni del genere.

Pretendere ora, adesso, hic et nunc, quel rispetto dei termini che nemmeno in tempi normali spesso si riesce a rispettare, è ridicolo, oltre che pericoloso.

Passata la tempesta, si proverà a dare priorità alle cose restate indietro. L’importante è che la magistratura possa disporre di una normativa saggia sul “poi”, che sappia disciplinare in modo chiaro l’assenza di responsabilità e di risarcimenti per slittamenti di termini forzati dal coronavirus.

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