Project financing: la responsabilità precontrattuale della P.A.
Un’Amministrazione può annullare in autotutela l’adesione a una proposta di project financing o deve risarcire il danno alla società proponente? Ecco la risposta del Consiglio di Stato
Dove inizia la responsabilità precontrattuale di un’Amministrazione nel caso in cui decida di annullare l’adesione a una proposta di project financing? Un’azione simile configura un annullamento in autotutela o una revoca?
Possono sembrare sottigliezze, ma in realtà quella che si è giocata, con la sentenza del Consiglio di Stato del 27 ottobre 2023, n. 9298, è una partita importante sui margini di manovra della Pubblica Amministrazione, riprendendo anche i principi di legittimo affidamento e responsabilità precontrattuale della P.A. sanciti dall’Adunanza Plenaria n. 21/2021.
La questione riguarda la proposta di project financing presentata a un Comune, per la riqualificazione di un’area urbana tramite concessione trentennale.
Mentre in un primo momento la giunta l’aveva condivisa, individuando quale promotore dell’intervento la società proponente e dichiarando l’opera di pubblico interesse, in un secondo momento la delibera era stata annullata in autotutela, sulla base di una valutazione da parte del Collegio dei Revisori dei Conti, secondo cui «la cessione gratuita del terreno non rispetta il proficuo utilizzo dello stesso, anche tenendo conto delle agevolazioni, in termini di esenzione del pagamento dei tributi locali».
Già in primo grado il ricorso era stato respinto e la decisione è stata confermata in appello.
Spiega il Consiglio che nella procedura di project financing occorre distinguere la fase preliminare della individuazione del promotore e la successiva fase selettiva finalizzata all’affidamento della concessione: la prima fase, ancorché in qualche misura procedimentalizzata, è connotata da amplissima discrezionalità amministrativa, essendo intesa non già alla scelta della migliore fra una pluralità di offerte sulla base di criteri tecnici ed economici predeterminati, ma alla valutazione dell’esistenza stessa di un interesse pubblico che giustifichi, alla stregua della programmazione delle opere pubbliche, l’accoglimento della proposta formulata dall’aspirante promotore, mentre la seconda fase costituisce una vera e propria gara soggetta ai principi comunitari e nazionali in materia di evidenza pubblica.
In questo caso, non si è mai superata la prima fase per cui nessuna procedura competitiva per l’”affidamento” è mai venuta ad esistenza.
Non si era al cospetto, come innanzi evidenziato di una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico, ma della constatazione dell’erronea valutazione ab origine sulla sussistenza dell’interesse pubblico, avuto riguardo alla disposta cessione gratuita dell’area in favore del concessionario.
Inoltre, il Consiglio ha specificato che il modello procedimentale del project financing consta di tre fasi:
- la prima, inerente alla presentazione della proposta di finanza di progetto, in cui si esprime la valutazione dell’interesse pubblico, di competenza dell’organo di governo;
- la seconda, ove avviene l’inserimento dell’opera dichiarata di pubblico interesse nella programmazione triennale, con sottoposizione ad approvazione del progetto preliminare, sempre a cura dell’organo di governo;
- l’ultima, che prevede l’indizione di una gara sul progetto approvato, rimessa alla competenza della dirigenza.
Inoltre il Consiglio ha rigettato la richiesta risarcitoria per condotta complessivamente violativa dei generali principi di buona fede e correttezza di cui all’art. 1337 c.c..
Secondo il ricorrente, la posizione del promotore, a fronte della revoca della dichiarazione di pubblico interesse del progetto, è «assimilata alla posizione delle parti nella fase precontrattuale, regolata ai sensi dell’art. 1337 cod. civ. applicabile anche ad una pubblica amministrazione dal rispetto dei principi della buona fede e della correttezza nei rapporti reciproci”.
Sul punto, Palazzo Spada ha ricordato che le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti ed autonomi e non si pongono in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l’accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l’amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi.
Inoltre ha delineato l’operatività del principio del legittimo affidamento, il quale viene in rilievo in presenza di una attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale attività.
Pur sorto nei rapporti di diritto civile, con lo scopo di tutelare la buona fede ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella reale, da altri creata, l’affidamento è ormai considerato principio generale e canone ordinatore anche dei comportamenti delle parti coinvolte nei rapporti di diritto amministrativo, ovvero quelli che si instaurano nell’esercizio del potere pubblico.
Dirimente diviene l’individuazione del momento idoneo a far sorgere il legittimo affidamento, nonché delle circostanze e delle caratteristiche connaturanti lo stesso, temi su cui si sofferma l’Adunanza Plenaria n. 21/2021.
Per quanto attiene all’individuazione degli elementi costitutivi dell’affidamento legittimo, occorre tener conto che ciascun contraente assume un ineliminabile margine di rischio in ordine alla conclusione del contratto e che, perciò, non può confidare sempre e comunque sulla positiva conclusione delle trattative, dovendo le stesse aver raggiunto quantomeno un grado di sviluppo tale da rendere ragionevolmente prevedibile la stipula del contratto.
In conclusione, secondo il principio di diritto affermato dal Supremo Consesso, “nel settore delle procedure di affidamento di contratti pubblici la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, derivante dalla violazione imputabile a sua colpa dei canoni generali di correttezza e buona fede, postula che il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento nella stipula del contratto, da valutare in relazione al grado di sviluppo della procedura, e che questo affidamento non sia a sua volta inficiato da colpa”.
Nel caso in cui venga affermata la sussistenza di una responsabilità precontrattuale, il risarcimento del danno va parametrato non già all’utile che il contraente avrebbe potuto ritrarre dall’esecuzione del rapporto, ma al cosiddetto interesse contrattuale negativo, che copre sia il danno emergente (ossia le spese inutilmente sostenute per dare corso alle trattative), sia il lucro cessante (da intendersi come mancato guadagno rispetto a eventuali altre occasioni di contratto che la parte alleghi di avere perduto.
Ciò significa che colui che chiede il risarcimento deve fornire la prova del danno – conseguenza, che si concretizza nelle perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate. In questo caso, la pretesa risarcitoria del ricorrente è risultata infondata in quanto la società appellante non poteva nutrire un legittimo affidamento in ordine all’aggiudicazione della successiva procedura competitiva, rispetto alla quale la stessa ritiene di trovarsi in una posizione differenziata e qualificata, per essere promotore legittimato ad esercitare il diritto di prelazione.
Questo perché, ha concluso il Consiglio nel respingere l’appello:
- la delibera giuntale era affetta da un macroscopico vizio di incompetenza, facilmente riscontrabile da un operatore del settore;
- il perfezionamento procedura era comunque subordinato, in forza di quanto previsto nella stessa delibera giuntale oggetto di annullamento, alla conclusione della procedura esecutiva sul bene da concedere gratuitamente;
- la procedura competitiva non era stata neppure avviata, essendosi arrestato il procedimento alla fase di approvazione del progetto;
- si è intervenuti in autotutela a breve distanza di tempo dalla delibera giuntale che ne era oggetto, ovvero a distanza di circa un anno.
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