Sui lavori di opere pubbliche date in appalto l’amministrazione appaltante deve vigilare
di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
La Corte di Cassazione ha accolto con la sentenza n. 20942, del 22 agosto 2018, il ricorso presentato da una azienda sanitaria locale nei confronti di ANAS spa; per i giudici di legittimità deve essere cassata con rinvio, la sentenza di merito che ha escluso, in astratto, la responsabilità del comportamento dell’amministrazione committente l’opera pubblica che ha approvato un progetto esecutivo riconosciuto come inadeguato, e che non ha adeguatamente vigilato sull’andamento dei lavori; tale elementi sono suscettibili di considerarsi come una delle cause dell’evento dannoso verso i terzi, ai fini del riconoscimento della sua responsabilità concorrente con l’appaltatore.
Il contenzioso
La Corte d’appello, con sentenza del febbraio 2013, ha rigettato il gravame avverso l’impugnata sentenza che non aveva accolto la domanda dell’Azienda USL di condanna dell’ANAS al risarcimento dei danni arrecati ad un edificio di proprietà della predetta Azienda, in conseguenza dei lavori di realizzazione della variante della strada statale eseguiti dall’ANAS, tramite un’impresa appaltatrice.
I motivi del ricorso in Cassazione
L’ Azienda sanitaria avverso la sentenza sfavorevole ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a sei motivi; in particolare l’Azienda ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2055 c.c., della L. n. 109 del 1994 e del D.P.R. n. 554 del 1999, imputa ai giudici di merito di avere escluso la responsabilità dell’ANAS, in via esclusiva o concorrente con l’impresa appaltatrice, per avere redatto un progetto esecutivo inadeguato, le cui lacune non erano sanabili dall’appaltatrice con il progetto costruttivo né tramite proposte di varianti migliorative, e per avere sottovalutato la mancata vigilanza del direttore dei lavori sull’esecuzione dei lavori, come specificamente rilevato nell’atto di appello.
Alcuni precedenti orientamenti
Vediamo, brevemente, di analizzare alcuni precedenti orientamenti in merito alle responsabilità negli appalti pubblici dei danni nei confronti di terzi a seguito delle opere eseguite non correttamente.
La Corte di Cassazione ha affermato con la sentenza n. 13882 del 2014 che se emergono vizi dell’opera derivanti direttamente dal progetto, il professionista che l’ha firmato risponde insieme con l’appaltatore nei confronti del committente. Per i giudici di legittimità la presa in consegna dell’opera da parte del committente non costituisce di per sé accettazione dei lavori per come sono stati realizzati e, dunque, non preclude una successiva azione giudiziaria rivolta contro i vizi dell’opera.
Nel caso in esame l’impresario edile e il geometra, rispettivamente appaltatore e progettista, oltre che direttore dei lavori, rispondono entrambi dei vizi rilevati nella casa che hanno costruito per il committente, a partire dai gravi difetti rilevati nella realizzazione del tetto. Non contano “la natura e la diversità dei contratti in base ai quali i due soggetti sono legati a chi appaltò loro la costruzione del manufatto: rileva soltanto l’unico illecito extracontrattuale che si consuma laddove il progettista e l’appaltatore, ciascuno con le sue azioni, omissioni e violazioni di norme giuridiche, concorrono in modo efficiente a produrre uno degli eventi pregiudizievoli tipici indicati dall’art. 1669 c.c.; ne consegue che entrambi rispondono del danno cagionato”. Per la Corte di Cassazione la responsabilità extracontrattuale integrata dalla condotta del tecnico e dell’imprenditore rende ininfluente la natura dell’obbligazione che il professionista assume verso il cliente committente dell’opera data in appalto: inutile dunque porre la questione se l’obbligazione sia di mezzi o di risultato.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 9569 del 2015 ha affermato che insieme all’impresa edile non sfugge al risarcimento danni il direttore dei lavori per il “crollo del soffitto dell’appartamento dopo i lavori al solaio. E ciò benché il sinistro sia avvenuto per un’opera non contenuta nel progetto e, secondo il professionista, chiesta direttamente dal committente all’impresa edile: il geometra avrebbe comunque dovuto accorgersi dell’iniziativa, diffidare l’impresa dal realizzarla e, comunque, adottare le misure di sicurezza del caso”.
Va evidenziato che la disciplina giuridica dell’appalto è contenuta al capo VII “dell’appalto”, del titolo III “dei singoli contratti”, del libro IV “delle obbligazioni” del codice civile dall’art. 1655 all’art. 1677.
L’art. 1655 c.c. rubricato “nozione” definisce il contratto di appalto e recita testualmente: “l’appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”.
Il committente dell’opera o del servizio “può essere sia un soggetto privato sia lo Stato oppure un ente pubblico, anche se la disciplina che detta il codice civile può essere applicata solo agli appalti privati. Se il committente è un ente pubblico, la disciplina stessa è in più punti integrata o sostituita da una legislazione speciale che interessa l’intero svolgimento del rapporto è che è stata di recente raccolta nel codice degli appalti pubblici.
L’obbligazione fondamentale dell’appaltatore è quella di compiere l’opera o il servizio che è stato ordinato dal committente, egli deve fornire anche la materia prima necessaria al compimento dell’opera.
Allo scopo di esonerarsi da responsabilità per vizi e difformità dell’opera dovuti a difetto di materiali, l’appaltatore, se la materia è fornita in tutto oppure in parte dal committente, deve denunciare subito i difetti che possono compromettere la regolare esecuzione dell’opera e la stessa deve essere eseguita dall’appaltatore secondo le modalità tecniche concordate con il committente, di solito descritti in un apposito documento che prende il nome di “capitolato””.
L’analisi della Cassazione
Per i giudici di legittimità le motivazioni del ricorso dell’Azienda sanitaria sono fondati.
La Corte territoriale ha ritenuto che il comportamento dell’ANAS, che pure aveva approvato un progetto esecutivo dei lavori inadeguato sotto vari profili tecnici, non fosse stato causa o concausa del danno, essendo assorbente la responsabilità dell’appaltatore per non avere adottato gli accorgimenti necessari ad evitare danni ai terzi, per avere redatto un progetto costruttivo che non aveva sanato le carenze del progetto esecutivo e per non avere proposto l’adozione di varianti migliorative.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito il principio secondo cui l’appaltatore di opere pubbliche è di regola da considerarsi unico responsabile dei danni cagionati ai terzi nel corso dei lavori, poiché i limiti della sua autonomia (derivanti dalla obbligatorietà della nomina del direttore dei lavori e dalla intensa e continua ingerenza dell’amministrazione appaltante) non fanno venir meno il suo dovere di assumere le iniziative necessarie per la corretta attuazione del contratto anche a tutela dei diritti dei terzi; e tuttavia, la responsabilità concorrente e solidale dell’amministrazione committente non può essere esclusa quando il fatto dannoso sia stato posto in essere in esecuzione del progetto da essa approvato, mentre una sua responsabilità esclusiva resta configurabile solo allorquando essa abbia rigidamente vincolato l’attività dell’appaltatore, così da neutralizzare completamente la sua libertà di decisione (Cass. civ. n. 11356 del 2002, Cass. civ. n. 8802 del 1999).
Di questi principi la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione nel caso in esame, avendo escluso, in astratto, che il comportamento dell’ANAS per avere approvato un progetto esecutivo riconosciuto come inadeguato, e per non avere adeguatamente vigilato sull’andamento dei lavori, possa considerarsi concausa dell’evento dannoso, ai fini del riconoscimento della sua responsabilità concorrente con l’appaltatore.
Le conclusioni
La Corte accoglie i motivi del ricorso; cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello, in diversa composizione, anche per le spese.
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