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La riforma della dirigenza nel ddl governativo in attuazione dell’art. 11 della legge 7.8.2015, n. 124 (I parte)

R. Nobile (La Gazzetta degli Enti Locali 9/9/2016)

Il 26 agosto 2016 è stato trasmesso alla presidenza della Camera dei deputati lo “schema di decreto legislativo recante la disciplina della dirigenza della Repubblica (328)”. Esso, accompagnato da una nutrita relazione illustrativa, altro non è che l’attuazione dell’art. 11 della legge 7.8.2015, n. 124, laconicamente rubricato “dirigenza pubblica”. Disposizione normativa, quest’ultima, che lungheggia in tre commi, il primo dei quali si dipana monstrueusement attraverso la quasi totalità delle lettere dell’alfabeto italiano nell’enunciazione di principî e criterî direttivi per oggetti definiti che spesso non sono affatto tali.

Il documento è articolato in otto capi, tradizionalmente individuati mediate ricorso a numerazione progressiva con caratteri romani, suddivisi nel modo che segue: “Capo I – Disposizioni generali; Capo II – Reclutamento e formazione; Capo II – Incarichi dirigenziali e responsabilità; Capo IV – Dirigenti privi di incarico e mobilità; Capo V – Trattamento economico; Capo VI – Disposizioni speciali; Cap VII – Uffici dirigenziali; Capo VII – Disposizioni finali e transitorie”.  Il suo contenuto è, a sua volta, composto da 15 articoli, tutti succintamente commentati dall’apposita relazione illustrativa a corredo. Quasi tutte le disposizioni normative della novella sono preordinate a modificare parti strategiche del d.lgs. 30.3.2001, n. 165, sebbene in piú di un’occasione la riforma ne sia un sublime copiato.

Le ambizioni del disegno di decreto legislativo delegato sono scopertamente evidenti: riformare la dirigenza pubblica, ripartendola in tre ámbiti, a ciascuno dei quali corrisponde un ruolo organico distinto e separato. Quali siano i tre ámbiti in questione è presto detto: la dirigenza dello stato, la dirigenza delle regioni e la dirigenza degli enti locali, per ciascuno dei quali opera una specifica Commissione composta di sette membri, dei quali ben cinque in comune e comunque preassegnati. Il tutto con l’avvertenza che le tre Commissioni sono organigrammaticamente inserite nella Presidenza del consiglio dei ministri, che fornisce le risorse e il personale a supporto, svolgendo di fatto il relativo lavoro amministrativo istruttorio. Ad essi si aggiunge il ruolo della dirigenza delle autorità indipendenti, ciascuna delle quali gode di specifica autonomia organizzativa, sia pure nel rispetto della normativa di principio desumibile dai pilastri sui quali poggia la riforma della dirigenza in generale.

Quale siano l’oggetto e l’ámbito di applicazione della normativa in questione è evidenziato dal suo art. 1, che è bene trascrivere per tabulas, non prima di aver rammemorato che la riforma è articolata e poggia su otto assi portanti, ciascuno caratterizzato da proprie peculiarità che lo innervano e lo definiscono.

In primo luogo, la determinazione dell’area di interesse, la quale definisce e delimita il suo oggetto e il suo ámbito di applicazione. È questo il tema dell’individuazione della sfera di applicazione della novella.

In secondo luogo, l’inquadramento dei dirigenti, materia che, a sua volta, ha relazioni dirette e immediate con la previsione del principio dell’unicità della qualifica dirigenziale, con l’introduzione di ruoli unificati anche per la dirigenza delle amministrazioni non statali, e con l’omogeneizzazione delle retribuzioni. 

In terzo luogo, l’accesso alla dirigenza per corso-concorso e per concorso con le specificità che caratterizzano le due fattispecie, salva la netta preferenza ordinamentale per la prima rispetto alla seconda.

In quarto luogo, il conferimento degli incarichi di funzioni dirigenziali mediante procedura con avviso pubblico, sulla base di requisiti e criterî definiti dall’amministrazione e l’intervento preventivo o successivo, da parte della specifica Commissione ratione materiae in funzione della tipologia dell’ente pubblico interessato al conferimento.

In quinto luogo, la durata degli incarichi dirigenziali, con annessi termini fisiologici e possibilità di rinnovo e di proroga.

In sesto luogo, il trattamento e la disciplina per i dirigenti privi di incarico, con il conseguenziale loro collocamento in disponibilità e successiva risoluzione ex lege del rapporto di lavoro dopo un periodo definito, con previsione di consistenti decurtazioni stipendiali che incidono sia sul trattamento economico in atto, sia sul futuro trattamento pensionistico, sia sull’ammontare del trattamento di fine rapporto.

In settimo luogo, la valutazione dei risultati e la responsabilità dei dirigenti, con le conseguenti relazioni che entrambe le fattispecie hanno sulla stabilità degli incarichi di funzioni dirigenziali e sulla loro risoluzione.

In ottavo ed ultimo luogo, la dirigenza delle regioni e degli enti locali, il cui regime tocca da vicino il processo di riordino istituzionale degli enti di area vasta avviato con la legge 7.4.2014, n. 56, la previsione del dirigente apicale dell’ente locale, l’obbligo per i Comuni con meno di 5000 abitanti [in alcuni casi, 3.000 abitanti] di gestire la funzione di direzione apicale in via associata e, dulcis in fundo, il regime transitorio per la progressiva eliminazione della figura del segretario comunale e provinciale.

Quanto al testo dell’art. 1 dello schema della fonte di regolazione in questione, i suoi due commi prevedono nell’ordine che “1.  Il presente decreto disciplina il sistema della dirigenza pubblica in regime di diritto privato delle amministrazioni di cui all’articolo l, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 200 l, n. 165, e successive modificazioni, con riferimento al trattamento giuridico ed economico dei dirigenti, alle modalità di accesso, alla formazione, al conferimento e alla durata degli incarichi, nonché il ruolo unico dei dirigenti delle autorità indipendenti.  2. Il presente decreto non si applica ai dirigenti scolastici, né ai dirigenti medici, veterinari e sanitari del Servizio sanitario nazionale, per i quali rimane ferma la vigente disciplina”.

Il testo della disposizione normativa è duplicemente importante, sia per quel che dice, sia per quel che sottace. 

In primo luogo, per quel che dice: la riforma patrocinata dal governo fa propria una visione complessiva e riguarda non la dirigenza tout court, ma il suo sistema; si è dunque in presenza di una visione organica dell’assetto della dirigenza, con conseguente pretesa di coerenza, consistenza e preordinazione a scopi secondo un preciso nesso di inerenza teleologicamente orientato. La riforma, inoltre, non riguarda affatto tutta la dirigenza pubblica, ma solo quella che ricade nella sfera di operatività del d.lgs. 30.3.2001, n. 165 e, nell’ámbito di quest’ultima solo quella lato sensuamministrativa, sia pure con qualche eccezione. Per contro, ne sono esclusi i dirigenti medici, veterinarî e quelli impiegati nel sistema sanitario nazionale, “per i quali rimane ferma la vigente disciplina”.  Del pari, ne sono esclusi i dirigenti scolastici, per i quali l’art. 25 del d.lgs. 30.3.2001, n. 165 prevede una specifica regolamentazione.

In secondo luogo, per quel che essa sottace. Lo si comprende bene osservando e rammemorando le materie sulle quali la riforma in nuce si sofferma: il trattamento giuridico ed economico dei dirigenti, le modalità di accesso, la formazione, il conferimento e la durata degli incarichi, ossia materie ad alto contenuto di strategicità. Nell’elenco programmaticamente enunciato dall’art. 1 dello schema della fonte di regolazione non compare la materia di non secondaria importanza costituita dalla sorte dei dirigenti senza incarico e dall’annosa vicenda che interessa i segretarî comunali e provinciali, improvvisamente e misteriosamente divenuti invisi al punto da decretare l’estinzione della relativa figura per motivi che, francamente, non già appaiono, ma che sono punto incomprensibili e financo psicodrammatici.

In definitiva, l’oggetto della riforma in itinere del “sistema della dirigenza pubblica in regime di diritto privato delle amministrazioni di cui all’articolo l, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 200 l, n. 165, e successive modificazioni” riguarda solo e soltanto i dirigenti che, in ragione della loro collocazione negli enti statali, regionali e locali sono a vario titolo chiamati a dare attuazione ai programmi di governo degli organi dello stato, delle regioni, delle province e dei comuni, le terze fino alla loro cancellazione dall’ordinamento se ed in quanto la riforma costituzionale oggetto di imminente [?] referendum confermativo avrà conseguíto esito positivo.

L’evenienza segnalata fonda ed innerva il dubbio che il sistema della dirigenza pubblica voluto dalla riforma in itinere sia preordinato a rafforzare il legame funzionale fra la politica e l’amministrazione, anche osservato che l’art. 1, comma 1, lett. m), prima proposizione della legge 7.8.2015, n. 124 pare mandare esente da responsabilità la prima a tutto e a totale scapito della seconda. Dunque, una dirigenza pienamente responsabile, e fin qui nulla quaestio, chiamata a dare attuazione alle azioni di governo di una politica che responsabilità non ha. Il tutto in un sistema retto dall’art. 97, comma 2 e 3 Cost., per i quali “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e la imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari”.

I piú parlano a questo proposito di dirigenza fiduciaria, dimenticando che il nome “fiduciaria” ha la propria radice in “fiducia” e che quest’ultimo nome deriva de plano da fides. La quale è però argomentum non visibilium ac non apparentium, che, come tale, nulla ha a che vedere con la conoscenza delle persone attraverso l’intermediazione delle loro attitudini, capacità, competenze ed esperienze [ossia i valori che devono guidare il conferimento degli incarichi di funzioni dirigenziali], ma con eventi che ad esse sono estranei perché retrostanti e che le trascendono. La qual cosa alimenta, invece di sopire, i dubbî sulla neppur tanto sottaciuta intenzione di precostituire un sistema della dirigenza pubblica – nei termini prima tratteggiati – in posizione di sostanziale vassallaggio ed asservimento, dove “asservimento” non significherebbe affatto “a servizio”, ma altro, ossia “fiduciario” per l’appunto. Tutto ciò sebbene in piú di un’occasione, il legislatore novello enunci che i principî portanti della riforma sono i “principi di eguaglianza, del merito e dell’esame comparativo”, che, se non correttamente intesi, si atteggiano a mere parole-valore, piuttosto che a slogan bolsi e perniciosi.

Un discorso a parte merita la dichiarata volontà di abolire la figura del segretario comunale e provinciale già enunciata dall’art. 11, comma 1, lett. b), n. 4, prima proposizione della legge 7.8.2015, n. 124, lumeggiato e tratteggiato nella sua disciplina transitoria dall’art. 10 dello schema di decreto legislativo delegato, evenienza francamente incomprensibile e degna di una misterioriosofia da Madame Blavatsky, soprattutto se si rammemora che la Corte costituzionale ha a piú riprese confermato che essa è essa conforme a Costituzione.

E ora, un’ultima annotazione: l’intero processo di riforma del sistema della dirigenza pubblica progettato dal parlamento su input governativo deve avvenire per mezzo della decretazione legislativa delegata entro la cornice determinata dall’art. 76, comma 2 Cost.. e dunque nei i termini enunciati dall’art. 11, comma 1, prima proposizione della legge 7.8.2015, n. 124, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 187 del 12.8.2015 e conseguenzialmente entrata in vigore il 28 agosto 2015. Che il termine previsto per l’esercizio della delega legislativa sia stato effettivamente rispettato non è poi cosí evidente, e questo costituisce un elemento di segnalata e vistosa perplessità, sul quale ci si intratterrà a tempo debito, anche perché se ciò fosse acclarato l’eventuale decreto legislativo delegato di riforma della dirigenza sarebbe del tutto incostituzionale.

All’analisi dell’articolato saranno riservati i nostri prossimo interventi sulle pagine di questa Gazzetta, ai quali rimandiamo. Il lettore scuserà l’incipit al commento integrale al testo della novella, la quale non esibisce certo tutti tratti per essere definita buona.

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