Professionisti a titolo gratuito per la PA, una pratica opaca ed anticompetitiva
di Luigi Oliveri
Egregio Titolare,
in Italia spesso si vaneggia di una presenza molto forte di iper liberismo, puntualmente smentita da scelte economiche di portata decisamente opposta e da decisioni giurisprudenziali non poco sorprendenti. Ultima tra queste, la sentenza del Consiglio di stato Sezione V, 3 ottobre 2017, n. 4614, la quale, in estrema sintesi afferma, in primo luogo, la legittimità di bandi per l’affidamento di incarichi professionali gratuiti (salvo un rimborso spese nel caso di specie molto sostanzioso: 250.000 euro); in secondo luogo, l’attenuazione, nel caso di commesse pubbliche di servizi, del principio di onerosità dei contratti, tale da consentire appunto l’azzeramento dei compensi, negando, altresì, che ciò possa incidere negativamente sul principio di tutela della concorrenza, sancito dall’Unione Europea.
Del resto, aggiunge la sentenza, i professionisti possono anche ricavare l’utilità a ricevere commesse pubbliche sulla base di parametri non connessi al compenso della prestazione lavorativa. Leggiamo un passaggio della pronuncia:
«Le finalità ultime per cui un soggetto può essere ammesso a essere parte di un contratto pubblico possono prescindere da una stretta utilità economica. È proprio per questo riguardo che è stato rilevato come non contrasti con la definizione di operatore economico contenuta nelle direttive europee la detta connotazione propria delle associazioni di volontariato. A maggiore ragione, dunque, può esservi ammesso l’aspirante contraente cui si chiede di prescindere non già da un’utilità economica, ma solo da un’utilità finanziaria: perché l’utilità economica si sposta su leciti elementi immateriali inerenti il fatto stesso del divenire ed apparire esecutore, evidentemente diligente, della prestazione richiesta dall’Amministrazione»
Caro Titolare, Ella, in quanto conoscitore dell’arte, certo avrà posto memoria alla storia di Jacopo Robusti, noto come il Tintoretto, e le pitture per la Scuola Grande di San Rocco, a Venezia. Il Tintoretto, che doveva confrontarsi con pittori del calibro di Tiziano per ottenere l’incarico dalla Scuola, non si fece nessuno scrupolo di anticipare la confraternita, intenta a selezionare un pittore sulla base di disegni preparatori per il San Rocco in Gloria, e si presentò, invece che col disegno, direttamente col quadro dipinto, dicendosi disposto a donarlo. Ottenne l’incarico e, anche per la devozione a San Rocco, si accordò per la decorazione dell’intera Scuola, per soli 100 ducati l’anno, appena sufficienti per il rimborso del costo di produzione dei magnifici dipinti lasciati nell’edificio.
Poteva, il Tintoretto, fare un atto o più atti di liberalità per la confraternita della Scuola (per altro, soggetto non proprio pubblico)? Certo. Ma, anche i più distratti avranno capito che con la sua mossa, riuscì a spiazzare il “mercato” degli altri grandissimi pittori attivi a Venezia nella metà del ‘500, accaparrandosi gloria ed onori ancora oggi riconosciuti.
L’esempio appare sufficiente per porre seri dubbi sulla considerazione del Consiglio di stato, secondo la quale commesse di servizi professionali gratuiti non lederebbero la concorrenza. L’effetto di spiazzamento del mercato derivante da simile modo di selezionare i professionisti è clamorosamente chiaro.
Né le parole di chi interviene a difesa della logica seguita dal Consiglio di stato pare possano persuadere del contrario. Il professore Antonio La Spina, in un’intervista sulla questione rilasciata a La Repubblica considera quanto segue: “un bando siffatto chiama a muoversi studi di professionisti che hanno già esperienza nel settore e che potranno assolvere al problema senza sforzi ulteriori eccessivi rispetto a quanto già maturato nel loro track record. Potranno contenere i costi, grazie alla loro esperienza, e far lavorare al progetto dei giovani professionisti dando loro la possibilità di crescere”.
Non vi è chi non veda un ulteriore effetto di spiazzamento del mercato. Bandi per spingere professionisti a prestare opera lavorativa gratuita finirebbero per favorire esclusivamente studi di professionisti solidi e già avviati, per i quali la corresponsione di un incarico in più o in meno non modifica in modo significativo fatturato e introiti. Né persuade l’ulteriore ragionamento secondo il quale simile modo di agire della Pa “fa lavorare i giovani, permettendo loro di sviluppare il curriculum”.
Dietro questa considerazione si nascondono due evidenti insidie. La prima consiste nel pericolo di considerare il “sinallagma contrattuale” (cioè la controprestazione del lavoro prestato) non il giusto corrispettivo connesso a qualità e responsabilità assunta: risulta, infatti, ancora vigente la previsione dell’articolo 2233 del codice civile, secondo la quale “In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”. Sembra una china molto pericolosa considerare lo sviluppo del curriculum il “compenso” o “l’utilità economica” dell’attività professionale.
E sì, caro Titolare, perché è evidente che se il mercato viene limitato a quei soli che possano permettersi di “investire” in “reputazione”, il secondo rischio è che rispondano a bandi per incarichi gratuiti o solo quelli molto ricchi, come rilevato prima, o, ciò che è peggio, quelli interessati a un “do ut des” di altra natura, non semplicemente reputazionale, ma di scambio, per accedere domani ad altri incarichi o cariche (e connesse posizioni di potere o di esercizio di potere) ben remunerati a compensazione del lavoro “aggratis” di oggi.
Lo spiegò benissimo il professor Michele Ainis: “Come verrà ricompensato il consulente? Con favori, protezioni, «entrature». Insomma col biglietto d’ingresso in un circuito dove non conta il merito, bensì le conoscenze. Per i più giovani, non è proprio un bell’esempio”.
Come dice, Titolare? Ma come è possibile che il Consiglio di stato consideri normale bandire gare per servizi professionali gratuiti, quando da oltre un anno si celebra il codice dei contratti per aver reso quasi esclusiva la gara col criterio del rapporto qualità/prezzo, riducendo i casi del massimo ribasso, considerati fonte di inefficienza e di possibili conflitti di interessi? Indubbio. Restiamo in attesa di capire cosa ne pensi, sul punto, l’Anac. Anche per vedere se sarà lecita la corsa alle gare a costo zero per professionisti, ma anche imprese, alla quale si stanno già preparando le pubbliche amministrazioni.
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