Denuncia di inizio attività: non è direttamente impugnabile
di Redazione
Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza n. 4659 del 6 ottobre 2017, si è pronunciato in ordine alla possibilità di impugnazione diretta del provvedimento di denuncia di inizio attività.
Il Collegio, a tal proposito, ha rilevato che l’art. 19, co. 6 ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241, aggiunto dall’art. 6, co. 1, lett. c), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, prevede che “la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’ art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”.
Secondo l’orientamento della stessa Sezione (28 aprile 2017, n. 1967; 9 maggio 2017, n. 2120; 5 luglio 2017, n. 3281): la giurisprudenza del Consiglio di Stato, anche in epoca anteriore alla ricordata modifica legislativa, ha ritenuto inammissibile una domanda di annullamento di una d.i.a., atto che ha natura oggettivamente e soggettivamente privata (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 settembre 2008, n. 4513; sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1474; sez. IV, 13 maggio 2010, n. 2919).
Si riporta di seguito il testo della sentenza.
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Pubblicato il 06/10/2017
N. 04659/2017 REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 519 del 2011, proposto dal signor Donato Micillo, rappresentato e difeso dall’avvocato Alessandro Lipani, con domicilio eletto presso l’avvocato Francesco Cerasi in Roma, via dei Due Macelli, 66;
contro
Lucia Riccio, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Abbamonte, indi dall’avvocato Sergio Turturiello, con domicilio eletto presso lo studio Titomanlio – Abbamonte in Roma, via Porpora, n. 12;
nei confronti di
Comune di Quarto, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Erik Furno, con domicilio eletto presso il dottor Enrico Califano in Roma, piazza dei Consoli, 11;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Campania, sezione II, 21 maggio 2010, n. 7830, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Lucia Riccio e del Comune di Quarto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 settembre 2017 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Uditi per le parti gli avvocati La Gloria, su delega dell’avvocato Lipani, Orefice, su delega dell’avvocato Turturiello, e Fortunato, su delega dell’avvocato Furno;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il signor Donato Micillo è proprietario di un manufatto nel Comune di Quarto, sito in zona Bb 28 – residenziale di mantenimento e articolato in un corpo di fabbrica centrale, sviluppato su due piani, e due più piccoli manufatti a un unico livello posti ai due lati dell’edificio principale.
2. Con il permesso di costruire n. 71 del 7 dicembre 2007, il Comune ha assentito un intervento consistente nella ristrutturazione edilizia del corpo centrale, nel cambio di destinazione del primo piano di questo, nella demolizione di uno dei corpi laterali e nella sua ricostruzione in sopraelevazione al corpo corrispondente dall’altro lato.
3. La signora Lucia Riccio, proprietaria di un’area confinante nella medesima zona urbanistica, ha impugnato (con ricorso principale e tre successivi atti di motivi aggiunti):
a) il permesso di costruire n. 71/2007;
b) il permesso in variante n. 62 dell’11 luglio 2008;
c) la d.i.a. in variante presentata dal controinteressato in data 19 giugno 2009;
d) il provvedimento n. 16677 del 17 giugno 2009, con cui l’Amministrazione comunale ha revocato la sospensione dei lavori disposta in precedenza (con le ordinanze n. 9 del 30 maggio 2008 e n. 18 del 27 agosto dello stesso anno).
4. Con sentenza 21 maggio 2010, n. 7830, il T.a.r per la Campania, sez. II:
a) ha respinto un’eccezione di irricevibilità;
b) ha accolto il secondo motivo del ricorso principale, nonché il primo e il secondo atto di motivi aggiunti, ritenendo che l’intervento progettato, per le sue caratteristiche, dovesse qualificarsi come nuova costruzione e non come ristrutturazione edilizia e dovesse pertanto rispettare la distanza minima di cinque metri dal confine, imposta nella zona dalle n.t.a. al p.r.g. vigente;
c) ha aggiunto che la variante sarebbe stata inoltre illegittima perché il tipo di intervento non avrebbe consentito la procedura semplificata;
d) ha dichiarato improcedibile il terzo atto di motivi aggiunti proposto avverso l’atto di revoca, in quanto l’annullamento dei titoli edilizi impugnati non consentirebbe l’esecuzione delle opere (tale capo non è stato impugnato ed è coperto dalla forza del giudicato interno);
e) ha dichiarato assorbiti i motivi non esaminati;
f) ha condannato in solido il Comune di Quarto e il privato controinteressato al pagamento delle spese di giudizio.
5. Il signor Micillo ha interposto appello avverso la sentenza n. 7830/2010 che avrebbe errato:
a) nel fare riferimento a progetti non più attuali e relativi a interventi (quale la realizzazione di una sopraelevazione e di un ampio sottotetto) venuti meno nell’ultimo atto sottoposto all’Amministrazione, cioè nella d.i.a. in variante (sarebbero dunque mutati il titolo edilizio e le opere da realizzare) e nel non aver dichiarato inammissibile o improcedibile il gravame, in quanto il permesso in variante n. 62/2008 sarebbe stato censurato solo per illegittimità derivata e senza indicazione di specifiche doglianze. I titoli edilizi successivi al primo avrebbero puntualmente rispettato la distanza di cinque metri dal confine e l’intervento sarebbe stato correttamente definito di ristrutturazione edilizia essendo rimasto fisicamente immutato il manufatto centrale, che rappresenterebbe l’80 % del volume e della superficie complessivi. Di conseguenza, sarebbe anche infondata la tesi (svolta in un motivo dichiarato assorbito dal T.a.r.) della necessità di un previo piano attuativo;
b) nel non aver dichiarato inammissibili i motivi aggiunti proposti contro la d.i.a. del 2009, atto di parte privata e non provvedimento amministrativo, dunque insuscettibile di annullamento da parte del g.a.;
c) nel non avere dichiarato la tardività degli ultimi motivi aggiunti nella parte rivolta a censurare la pretesa mancata dimostrazione della legittimità urbanistica del fabbricato in questione, che avrebbe dovuto essere rivolta avverso i precedenti titoli edilizi e, nel merito, sarebbe comunque infondata.
6. La signora Riccio si è costituita in giudizio (nel giugno del 2012) per resistere all’appello senza svolgere difese.
7. Con atto depositato in data 9 marzo 2017 l’appellante, premessa l’avvenuta scomparsa del difensore costituito della parte appellata, ha riassunto il giudizio interrotto ai sensi dell’art. 80 c.p.a.
8. La signora Riccio si è quindi costituita in giudizio con un nuovo difensore.
9. Il Comune di Quarto si è anch’esso costituito in giudizio con memoria di stile svolgendo le proprie difese, in adesione all’appello, con successiva memoria.
10. Con memoria depositata il 28 luglio 2017, la signora Riccio ha argomentato le proprie difese sostenendo anzi tutto l’inammissibilità dell’appello per il suo carattere generico e confuso, non distinto in fatto e diritto e segnato dalla presenza di motivi intrusi.
11. Nel merito, l’appello sarebbe infondato perché:
a) il permesso di costruire del 2008 e la d.i.a. del 2009 sarebbero in sostanziale collegamento con il permesso impugnato con il ricorso introduttivo e sarebbero stati viziati della stesse ragioni di illegittimità dedotte nei confronti di questo, sicché sarebbe superfluo discorrere di autonomi profili di censura rispetti a quelli avanzati nella forma della illegittimità derivata;
b) anche limitandosi alla configurazione che ne dà la d.i.a. del 2009, l’intervento avrebbe richiesto il rilascio del permesso di costruire comportando la modifica della destinazione d’uso e l’alterazione dell’aspetto esteriore dell’immobile; il corpo di fabbrica centrale, del quale sarebbe stato denunziato il mutamento di destinazione d’uso, sarebbe a soli tre metri dal confine, in violazione della prescrizione della normativa di piano; per la sua natura, l’intervento non avrebbe potuto essere assentito con d.i.a., ma avrebbe richiesto il permesso di costruire;
c) in conformità dell’orientamento assunto dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 15/2011, l’impugnazione della d.i.a., proposta anteriormente all’entrata in vigore della modifica all’art. 19, co. 6 ter, della legge n. 241/1990, introdotta con il decreto-legge n. 138/2011, andrebbe riqualificata come domanda volta a contestare la decisione della p.a. di non vietare l’attività oggetto della dichiarazione;
d) il contrasto con la normativa urbanistica sarebbe stato già dedotto nel ricorso introduttivo di primo grado inteso a contestare la non veridicità delle affermazione rese dall’appellante circa la data di realizzazione dell’edificio oggetto dei titoli edilizi richiesti.
12. Il signor Micillo ha replicato con memoria depositata il 7 settembre scorso, con la quale ha anche sostenuto l’avvenuta rinunzia ai motivi concernenti l’illegittima urbanistica del fabbricati perché non esaminati dal T.a.r. e non riproposti espressamente e tempestivamente ai sensi dell’art. 101, co. 2, c.p.a.
13. All’udienza pubblica del 28 settembre 2017, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
14. In via preliminare, il Collegio:
a) osserva che la ricostruzione in fatto, sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite ed è comunque acclarata dalla documentazione versata in atti. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio;
b) dà atto che – ai sensi dell’art. 101, co. 2, c.p.a. – si intendono rinunciati i motivi di censura formulati in primo grado e non esaminati o dichiarati assorbiti in quanto non espressamente ripresentati dalla parte appellata entro il termine di costituzione in giudizio (se ne veda l’elenco, non contestato dalla controparte, alla pag. 1 della memoria dell’appellante datata 7 settembre 2017; in particolare, non risulta riproposto il terzo atto di motivi aggiunti);
c) respinge l’eccezione di inammissibilità dell’appello formulata dalla signora Riccio. Vero è che nel processo amministrativo l’inammissibilità dei motivi di appello non consegue solo al difetto di specificità di cui all’art. 101, co. 1, c.p.a., ma – come imposto dall’art. 40 c.p.a., applicabile a giudizi di impugnazione in forza del rinvio interno operato dall’art. 38 c.p.a. – anche alla loro mancata distinta indicazione in apposita parte del ricorso a loro dedicata (giurisprudenza consolidata: cfr. per tutte, da ultimo, Cons. Stato, sez. IV,7 novembre 2016, n. 4636, ove ampi riferimenti ulteriori). Tuttavia non è questo il caso dell’appello in questione che, pur non adoperando l’epigrafe “fatto”, contiene una distinta esposizione della vicenda (pagg. 1-7) e delle ragioni di doglianza (pagg. 7-18), a loro volta partitamente articolate in tre motivi indicati con progressivi numeri romani. E sebbene il primo di questi appaia ampiamente articolato, il Collegio non reputa che questa caratteristica sfoci in una indistinzione di contenuto tale da non consentirgli di superare la soglia dell’ammissibilità, anche perché la presenza di motivi intrusi è affermata dall’originaria ricorrente in termini del tutto generici e privi di riscontro;
d) respinge l’eccezione di inammissibilità formulata dall’appellante e dal Comune avverso i motivi proposti in primo grado contro il permesso n. 62/2008 e fondati solo sull’illegittimità derivata in quanto entrambi i permessi di costruire devono intendersi sostanzialmente ritirati (e comunque divenuti inefficaci per decorso del tempo) nel senso che – come sostengono in più occasioni sia l’appellante (pag. 7 dell’appello) sia il Comune, che ne condivide le tesi (pag. 7 della memoria del 27 luglio scorso) – ciascun progetto, con il relativo titolo sostituisce il precedente e oggetto del giudizio è, in conclusione, la d.i.a. del 2009; le opere assentite da tali permessi, pertanto, non sono comunque in alcun modo attuabili;
d) di conseguenza, dichiara improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso di primo grado e il primo atto di motivi aggiunti rivolti, rispettivamente, avverso il permesso di costruire del 2007 e quello del 2008.
15. Così detto, in parte, del primo motivo dell’appello, appare più liquido – secondo le coordinate interpretative dettate dall’Adunanza plenaria 27 aprile 2015, n. 5 – il secondo motivo di censura incentrato sull’inammissibilità dell’impugnativa diretta della d.i.a. del 2009 da parte della signora Riccio.
15.1. Il T.a.r. non ha valutato l’eccezione in quanto ha erroneamente ritenuto che la caducazione dei due permessi di costruire si ripercuotesse inevitabilmente pure sulla d.i.a. In questo non può essere seguito perché, come detto prima, la d.i.a. è l’unico titolo edilizio efficace e oggetto del giudizio.
15.2. Il motivo è fondato.
15.3. L’art. 19, co. 6 ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241, aggiunto dall’art. 6, co. 1, lett. c), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, stabilisce che “la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’ art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”.
15.4. Secondo l’orientamento della Sezione (28 aprile 2017, n. 1967; 9 maggio 2017, n. 2120; 5 luglio 2017, n. 3281):
a) la giurisprudenza del Consiglio di Stato, anche in epoca anteriore alla ricordata modifica legislativa, ha ritenuto inammissibile una domanda di annullamento di una d.i.a., atto che ha natura oggettivamente e soggettivamente privata (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 settembre 2008, n. 4513; sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1474; sez. IV, 13 maggio 2010, n. 2919);
b) tale giurisprudenza si è formata in epoca anteriore e coeva a quella dell’atto impugnato;
c) è evidente la naturale portata retroattiva della norma sancita dal citato art. 19, co. 6 ter;
d) pertanto essa si è sovrapposta al principio di diritto circa la conversione della domanda, enunziato dall’Adunanza Plenaria del 29 luglio 2011, n. 15 (che pure ha confermato la natura privatistica della d.i.a.), richiamata dalla parte appellata nella memoria del 28 luglio scorso;
e) non può valere in contrario la circostanza che, in primo grado, la signora Riccio, oltra a impugnare direttamente la d.i.a., abbia chiesto l’accertamento dell’illegittimità del comportamento tenuto dal Comune, perché la domanda non rientra comunque nello schema dell’art. 19, co. 6 ter, dal quale, in presenza dell’inerzia del Comune a rispondere a una specifica diffida del confinante, deriva solo la possibilità di attivare la procedura ex art. 117 c.p.a. in vista della nomina di un commissario che prenda in esame la diffida e provveda su di essa.
16. Una volta dichiarati improcedibili ricorso principale e primo atto di motivi aggiunti, la ritenuta inammissibilità del secondo atto di motivi aggiunti di primo grado, esaminata in ordine logico in via preliminare, rende superfluo l’esame degli ulteriori motivi di appello.
17. Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è fondato e va pertanto accolto. Di conseguenza, in parziale riforma della sentenza impugnata, devono essere dichiarati improcedibili il ricorso di primo grado e il primo atto di motivi aggiunti, inammissibile il secondo atto di motivi aggiunti.
18. Considerata la complessità della controversia, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti, ciascuna delle quali è da considerarsi soccombente ai fini del carico del contributo unificato anticipato in relazione all’instaurazione del rispettivo grado di giudizio e di cui, pertanto, sopporta definitivamente l’onere.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiara:
a) improcedibili il ricorso principale e il primo atto di motivi aggiunti di primo grado;
b) inammissibile il secondo atto di motivi aggiunti.
Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Dispone che il contributo unificato resti a carico di ciascuna delle parti che lo ha corrisposto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
Luca Lamberti, Consigliere
Nicola D’Angelo, Consigliere
Giuseppa Carluccio, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Giuseppe Castiglia | Vito Poli | |
IL SEGRETARIO
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