Negli appalti pubblici di servizi aggiudicati a seguito di una procedura di evidenza pubblica, aventi ad oggetto prestazioni periodiche o continuative connotate da standardizzazione, omogeneità e ripetitività, il “valore delle prestazioni già eseguite”, da pagarsi all’esecutore nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, in caso di interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, corrisponde al prezzo contrattuale pattuito dalle parti, salva la possibilità di prova contraria da parte della stazione appaltante che esercita il recesso; nella determinazione del valore-prezzo degli appalti di servizi da pagarsi per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, deve intendersi compresa anche la somma risultante dall’applicazione del procedimento obbligatorio di revisione dei prezzi di cui all’art. 115, d.lgs. n. 163 del 2006.

La questione era stata rimessa dal CGARS con ord., 22 gennaio 2021, n. 48.

Preliminarmente l’Adunanza plenaria ha richiamato i principi espressi, anche in ordine alla natura dell’interdittiva antimafia, dalla stessa Adunanza plenaria 6 aprile 2018, n. 3 e 26 ottobre 2020, n. 23.

Ha premesso l’Adunanza plenaria che negli appalti di servizi, quale è quello per cui è processo, in cui l’aggiudicazione e quindi la determinazione del prezzo contrattuale seguono a una procedura di evidenza pubblica, il valore dei servizi già eseguiti, pagabile nel limite delle utilità conseguite, può essere ritenuto coincidente con il prezzo contrattuale pattuito dalle parti.

Il prezzo contrattuale, stabilito a seguito di una procedura di gara ad evidenza pubblica, deve infatti ritenersi coincidente con il miglior prezzo di mercato conseguibile e quindi con il valore di mercato della prestazione. Finalità della gara è proprio quella di individuare il contraente che offra un prezzo che meglio corrisponda al valore di mercato della prestazione che la pubblica amministrazione intende acquisire per soddisfare i bisogni che la hanno indotta ad esperire il procedimento ad evidenza pubblica.

Nei contratti di prestazione periodica o continuativa di servizi, quindi, il prezzo tende a coincidere con il valore della prestazione, e sarebbe connotata da profili patologici una situazione in cui la pubblica amministrazione si trovasse a pagare un prezzo che sotto il profilo economico si allontanasse oltre misura dal valore dell’utilità che la stessa abbia, di fatto, a conseguire.

Ha aggiunto l’Alto consesso, con riferimento all’“utilità conseguite”, che la peculiarità dell’appalto di servizi, connotato da prestazioni tipologicamente prefissate, standardizzate e “ripetitive” nel corso della durata contrattuale, con pagamenti periodici delle stesse, implica che le prestazioni eseguite siano scorporabili e omogenee nella loro utilità, ed è perciò ben difficile che le prestazioni eseguite prima del recesso e non ancora pagate abbiano una “utilità” diversa dalle prestazioni periodiche già pagate, salvo diversa dimostrazione, da parte della stazione appaltante, di aver conseguito dalle prestazioni ripetitive già eseguite e non ancora pagate una utilità inferiore rispetto alle prestazioni periodiche già eseguite e pagate.

​​​​​L’Adunanza plenaria ha poi ricostruito i caratteri della revisione prezzi, al fine di rispondere al quesito sottoposto e cioè se, nella determinazione del prezzo contrattuale relativo ad un appalto di servizi, da pagarsi o già pagato in relazione alle prestazioni già eseguite dall’esecutore attinto da informativa antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, debba farsi riferimento solo al prezzo originariamente pattuito nel contratto, ovvero a tale prezzo come integrato dalla revisione dei prezzi nel frattempo maturata (anche essa prima della interdittiva antimafia).

Ha escluso che l’istituto della revisione dei prezzi abbia finalità risarcitorie; lo stesso viene concepito dal legislatore unicamente al fine di garantire l’equilibrio del sinallagma contrattuale originariamente pattuito, ed evitare che una parte possa avvantaggiarsi sine titulo (del valore) di un servizio da altri sostenuto nei costi.

In questa prospettiva, non può revocarsi in dubbio che il compenso revisionale costituisca un fattore integrativo del corrispettivo contrattuale, anzi, per meglio dire, che il corrispettivo sia costituito dal prezzo come integrato.

La revisione dei prezzi serve, difatti, precipuamente a ragguagliare con pienezza la remunerazione contrattuale dell’appaltatore al valore della prestazione resa dal medesimo all’Amministrazione. Sicché, una volta riconosciuto dall’amministrazione il ricorrere delle condizioni della revisione, le somme da corrispondere per i servizi resi non potranno che avere come base di riferimento il prezzo come revisionato. 

Proprio in considerazione della delineata ratio della revisione dei prezzi, è conseguenziale che essa svolga una funzione “integrativa” del prezzo contrattuale, nel senso che definisce l’esatto corrispettivo, rideterminando il prezzo dedotto nel contratto in retrospettiva, cioè con riferimento allo squilibrio che nel tempo si è venuto progressivamente a produrre rispetto alla prestazione oggetto del contratto.

Il carattere obbligatorio della revisione dei prezzi negli appalti di servizi, ai sensi dell’art. 115, d.lgs. n. 163 del 2006 (applicabile ratione temporis), corrobora tale conclusione. La revisione, infatti, opera anche se non espressamente pattuita dalle parti, in virtù di un procedimento amministrativo da attivare obbligatoriamente al verificarsi dei presupposti di legge. Ne deriva che la somma determinata a seguito della revisione dei prezzi altro non è che una parte del prezzo, e, quale parte del tutto, ne ha la stessa natura e conseguentemente deve averne la stessa disciplina giuridica. Pertanto, tutte le norme giuridiche che si riferiscono al “prezzo” contrattuale dovuto devono perciò ritenersi riferite al prezzo legalmente integrato con la somma dovuta a titolo di revisione.

Se si ritenesse che in caso di interdittiva antimafia il prezzo da pagare per le prestazioni eseguite sia solo quello originario senza la integrazione derivante dalla revisione, si affermerebbe che all’esecutore vada pagato un prezzo inferiore alle utilità conseguite dall’amministrazione, il che sarebbe contrario alla lettera e alla ratio legis. La soluzione negativa, quindi, renderebbe concreto quel pericolo paventato dalla sentenza n. 23 del 2020 dell’Adunanza plenaria e cioè il fatto che la Pubblica amministrazione ne trarrebbe un “ingiustificato arricchimento”.

La Pubblica amministrazione così operando si approprierebbe ingiustificatamente della quantità di “valore” quale risultante dalla differenza tra quanto previsto originariamente nel contratto e il (maggior) costo del lavoro determinato tenendo conto della revisione: tale differenza costituirebbe quell’ingiustificato arricchimento che le norme richiamate e la stessa sentenza n. 23 del 2020 dell’Adunanza plenaria tendono a evitare. 

Consiglio di Stato, Ad. Plen., sent. del 6 agosto 2021, n. 14

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