Un dipendente già in servizio a tempo indeterminato presso una p.a. non può partecipare alla procedura di stabilizzazione presso altra amministrazione.
Dalla lettura combinata dei primi due commi dell’art. 20 del d.lgs. n. 75/2017 risulta evidente che la stabilizzazione dei lavoratori precari costituisce obiettivo generale delle procedure di stabilizzazione, in entrambe le varianti disciplinate nei due commi, e tanto si desume sia dalla enunciazione di principio riportata nella rubrica dell’articolo (“Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni”); sia dalla individuazione di requisiti di ammissione modulati sulla titolarità di pregressi rapporti contrattuali a tempo determinato o flessibili, quindi “non stabili”; sia, infine, dalla esplicita enunciazione, contenuta nel c.1 dell’art. 20, dell’intento normativo di consentire alle amministrazioni “di assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale” già reclutato con forme contrattuali estranee al modello del rapporto lavorativo stabile (id est, a tempo indeterminato).
Qualunque deroga alla regola dell’assunzione nei ruoli dell’amministrazione mediante pubblico concorso (art. 97 cost.) è ammessa nei soli casi tipizzati dalla legge; e che le disposizioni disciplinanti le procedure di stabilizzazione, in quanto recanti elementi in deroga al modello generale di matrice costituzionale, devono essere fatte oggetto di interpretazione restrittiva, e ciò anche al fine di garantirne la compatibilità, oltre che con l’art. 97 della Costituzione, anche con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della medesima carta.
L’eliminazione del precariato costituisce, in presenza di determinate condizioni preordinate a verificarne la coincidenza con le esigenze organizzative della Pubblica Amministrazione, apprezzabile interesse pubblico idoneo a giustificare l’eccezione alla regola della concorsualità, in misura compatibile con i principi costituzionali. Nondimeno, essendo il presupposto della procedura riservata quello dell’assenza di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, l’esistenza di un rapporto di lavoro stabile integra un antefatto incompatibile con l’idea stessa di stabilizzazione del dipendente “precario”.
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Pubblicato il 03/02/2020
N. 00872/2020REG.PROV.COLL.
N. 03794/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3794 del 2019, proposto da
Crea – Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12;
contro
Serena Rizzo, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonino Iacoviello, Gennaro Carlucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Antonino Iacoviello in Roma, viale Regina Margherita n.1;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 10153/2018, resa tra le parti, concernente l’accesso della appellata alla procedura di stabilizzazione indetta dall’ente appellante.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Serena Rizzo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2020 il Cons. Giovanni Pescatore e uditi per le parti l’Avvocato Antonino Iacoviello e l’Avvocato dello Stato Isabella Piracci;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il Consiglio per la ricerca in Agricoltura (C.R.E.A.) ha indetto in data 1 giugno 2018 una “Procedura concorsuale riservata, per titoli e colloquio, per la stabilizzazione del personale non dirigenziale ai sensi dell’articolo 20, comma 2, del D. Lgs. 25 maggio 2017, n. 75”.
2. La selezione ha inteso individuare 35 unità di personale, diversificate per profilo professionale, da destinare all’Amministrazione centrale ed ai Centri di ricerca.
3. Il bando di concorso, nell’ambito dei requisiti per la stabilizzazione stilati ai sensi dell’articolo 20, comma 2, del d.lgs. 75/2017, ha anche “..richiesto che i candidati non debbano essere titolari di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso una Pubblica Amministrazione sia alla data di scadenza della presentazione delle domande che alla data dell’eventuale assunzione. A tal fine, il candidato deve comunicare tempestivamente qualsiasi variazione intervenuta in tal senso” (art. 2 – quarto capoverso).
4. La dott.ssa Rizzo, pur essendo in possesso di tutti gli ulteriori requisiti previsti per concorrere alla procedura selettiva, è incorsa nella condizione ostativa testé richiamata, in quanto alla data di indizione della stabilizzazione risultava già assunta con contratto a tempo indeterminato nei ruoli della Polizia Municipale di Roma Capitale, sebbene con inquadramento in posizione e livello (Profilo professionale di Istruttore di Polizia Locale, Cat. C, posizione economica C1) inferiori a quelli oggetto della procedura selettiva.
Di conseguenza, la descritta clausola di esclusione le ha impedito di concorrere per l’assunzione a tempo indeterminato nei ruoli del CREA.
5. Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la dott.ssa Rizzo ha impugnato il bando di concorso, deducendone l’illegittimità e l’irragionevolezza nella parte in cui esso non limita l’effetto escludente ai soli dipendenti a tempo indeterminato inquadrati in un profilo professionale equivalente o superiore a quella oggetto stabilizzazione.
6. Il giudizio di primo grado è stato definito con la sentenza n. 10153/2018, oggetto di impugnazione in questa sede, con la quale il Giudice di prime cure ha accolto il ricorso, pervenendo alla conseguente declaratoria di illegittimità in parte qua della clausola di esclusione gravata, negli stessi termini prospettati dalla ricorrente.
7. A seguito della pronuncia, l’odierna appellata è stata ammessa alle prove orali della procedura selettiva, che ha superato in data 10.6.2019, così acquisendo l’idoneità all’assunzione nel profilo professionale di “Funzionario amministrativo”, V livello professionale.
8. Con ricorso notificato il 19 aprile 2019 il CREA ha impugnato la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, chiedendone la riforma.
9. La dott.ssa Rizzo si è ritualmente costituita in giudizio, replicando agli assunti avversari e chiedendone la reiezione.
10. In assenza di istanze cautelari, la causa è stata discussa e posta in decisione all’udienza pubblica del 16 gennaio 2020.
DIRITTO
1. Il Giudice di prime cure ha accolto il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, affermando che “la gravata clausola di esclusione penalizza in maniera ingiustificata chi, pur avendo i requisiti per accedere alla stabilizzazione, al momento della scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione alla procedura ha un rapporto presso una pubblica amministrazione con qualifica e trattamento economico e/o giuridico inferiore a quello che potrebbe conseguire con la stabilizzazione prevista dall’articolo 20 del d.lgs. n. 75/2017” (cfr. sentenza impugnata, pag. 3, cpv. 1).
Secondo l’impostazione accolta dal Tar Lazio, “il fine di «superamento del precariato», costituente ulteriore finalità della procedura di stabilizzazione prevista dal citato art. 20, deve essere interpretato anche nel senso della salvaguardia delle aspettative dei lavoratori precari correlate alla specifica qualifica e allo specifico profilo già ricoperti”.
2. Con un unico articolato motivo, la difesa di parte appellante sostiene, di contro, che la lettura della norma fornita dalla sentenza impugnata ne violerebbe il senso e lo spirito: ciò in quanto l’obiettivo perseguito dal legislatore con l’articolo 20, comma 2, del d.lgs. n. 75/2017, consiste nel superamento del precariato sicché, rispetto a tale obiettivo prioritario, le ulteriori finalità pure espressamente richiamate dalla medesima disposizione di legge, e precisamente “la valorizzazione della professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato”, assumerebbero “valore di passi successivi e presupponenti il primo” (pag. 4 atto di appello).
3. L’appello è fondato.
A suo favore giocano argomenti di carattere testuale e sistematico.
4. Quanto ai primi, l’art. 20 del d.lgs. n. 75/17 (rubricato “Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni”):
– al comma 1 prevede che “Le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono, nel triennio 2018-2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:
a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione;
b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;
c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni”.
– al comma 2, l’art. 20 prevede che “Nello stesso triennio 2018-2020, le amministrazioni, possono bandire, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e ferma restando la garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno, previa indicazione della relativa copertura finanziaria, procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:
a) risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso;
b) abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso”.
4.1. Dalla lettura combinata dei primi due commi dell’art. 20 risulta evidente che la stabilizzazione dei lavoratori precari costituisce obiettivo generale delle procedure di stabilizzazione, in entrambe le varianti disciplinate nei due commi, e tanto si desume sia dalla enunciazione di principio riportata nella rubrica dell’articolo (“Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni”); sia dalla individuazione di requisiti di ammissione modulati sulla titolarità di pregressi rapporti contrattuali a tempo determinato o flessibili, quindi “non stabili”; sia, infine, dalla esplicita enunciazione, contenuta nel primo comma dell’art. 20, dell’intento normativo di consentire alle amministrazioni “di assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale” già reclutato con forme contrattuali estranee al modello del rapporto lavorativo stabile (id est, a tempo indeterminato).
4.2. Posta questa essenziale premessa di principio, è conseguente osservare che qualunque deroga alla regola dell’assunzione nei ruoli dell’amministrazione mediante pubblico concorso (art. 97 cost.) è ammessa nei soli casi tipizzati dalla legge; e che le disposizioni disciplinanti le procedure di stabilizzazione, in quanto recanti elementi in deroga al modello generale di matrice costituzionale, devono essere fatte oggetto di interpretazione restrittiva, e ciò anche al fine di garantirne la compatibilità, oltre che con l’art. 97 della Costituzione, anche con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della medesima carta.
L’eliminazione del precariato costituisce, in presenza di determinate condizioni preordinate a verificarne la coincidenza con le esigenze organizzative della Pubblica Amministrazione, apprezzabile interesse pubblico idoneo a giustificare l’eccezione alla regola della concorsualità, in misura compatibile con i principi costituzionali.
4.3. Nondimeno, essendo il presupposto della procedura riservata quello dell’assenza di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, l’esistenza di un rapporto di lavoro stabile integra un antefatto incompatibile con l’idea stessa di stabilizzazione del dipendente “precario”.
4.4. Restringere la portata del concetto di “contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato” significa estendere la latitudine del concetto di lavoratore “precario” e, dunque, allargare le maglie della stabilizzazione oltre il limite fatto proprio dal significato letterale della norma. Il che induce a concludere che tanto il dato testuale della legge, quanto le regole ermeneutiche di carattere logico-teleologico che ad esso si addicono, sconsigliano letture manipolative in senso ampliativo delle condizioni di ammissione alla selezione riservata (ovvero in senso restrittivo delle condizioni preclusive).
5. Vero è, sempre sul piano testuale, che la legge non richiede, oltre alla “maturazione” del rapporto di servizio pubblico precario (lett. c del 1°comma dell’art. 20), anche la sua “attuale prestazione” presso l’amministrazione procedente o presso altre pubbliche amministrazioni.
Tanto si ricava dalla lettura dei commi 8 (“Le amministrazioni possono prorogare i corrispondenti rapporti di lavoro flessibile con i soggetti che partecipano alle procedure di cui ai commi 1 e 2”) e 12 (“Ai fini delle assunzioni di cui al comma 1, ha priorità il personale in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto”).
Dunque, la persistenza del rapporto “precario” all’atto della partecipazione alla procedura riservata non è una condizione di ammissione alla selezione. Tuttavia, la legge è chiara nell’individuare la platea degli aspiranti alla stabilizzazione tra i soggetti “precari”, così intesi in quanto titolari, ad oggi o in passato, di soli rapporti non stabili; il che consente di affermare, in termini più generali, che la stabilizzazione non può essere intesa come una forma di riconoscimento degli anni di lavoro a tempo determinato già espletati e, dunque, come uno strumento di mera valorizzazione dell’esperienza acquisita quale titolo per l’inquadramento. Al contrario, essa si delinea come un meccanismo di passaggio da una condizione di lavoro temporaneo (pregressa o ancora in essere) ad una condizione di lavoro a tempo indeterminato, sicché, cessata la prima posizione (come nel caso di specie, in cui il lavoratore abbia conseguito un contratto a tempo indeterminato e abbia abbandonato il precedente contratto a tempo determinato), non vi è più margine per poter accedere alla procedura riservata.
6. Sul piano degli argomenti di carattere sistematico, deve quindi ritenersi che la partecipazione alla procedura di stabilizzazione di dipendenti già in servizio a tempo indeterminato presso una pubblica amministrazione entra in contraddizione con la “ratio” della norma, alterandone il carattere speciale di reclutamento ristretto alla platea dei dipendenti in servizio “precari”, in quanto titolari di contratti a tempo determinato (v. Corte Appello Bari, sez. lav., 05/10/2018, n. 1695 e Tar Bari, sez. II, 16/05/2012, n. 938)
D’altra parte, se così non fosse, la procedura, come opportunamente osservato dalla parte appellante, potrebbe anche concludersi esclusivamente con operazioni di mero reinquadramento migliorativo di soggetti già dipendenti a tempo indeterminato di una P.A., relegando a mera eventualità l’obiettivo del superamento del precariato: col che risulterebbe frustrata la finalità fondamentale e prioritaria che giustifica la specialità e la peculiare denominazione del meccanismo di assunzione riservato.
7. Sempre sul piano sistematico, mette conto considerare che l’interpretazione fornita dal Tar, se accettata, finirebbe per determinare una discriminazione in danno della categoria di soggetti che la legge intende prioritariamente proteggere, ponendo iniquamente sullo stesso piano soggetti titolari e soggetti privi di un rapporto di lavoro stabile; e consentendo all’aspettativa dei primi di ottenere un posto migliore e più qualificante (invero perseguibile con numerosi altri strumenti, e comunque visibilmente ulteriore e successivo rispetto a quello alla stabilità del rapporto lavorativo) di prevalere sull’interesse primario dei secondi a conseguire un rapporto di lavoro stabile.
8. La forza di queste considerazioni discende da principi di carattere generale e non può essere superata dalle contingenze del caso, così come dal fatto – pure allegato dalla ricorrente – secondo il quale, nel caso di specie, l’ampio numero dei posti oggetto di stabilizzazione avrebbe consentito soddisfare le aspirazioni di tutti i candidati, ivi incluse quelle della ricorrente.
Va infatti ribadito che l’estensione della procedura di stabilizzazione oltre il suo tipico e tassativo ambito elettivo non ha conseguenze neutre, ma presenta effetti sistematici non irrilevanti, in quanto ha come conseguenza strutturale e primaria quella di restringere la regola concorsuale; e, come effetto secondario, quello di pregiudicare le aspirazioni di quanti, proprio tramite il concorso, potrebbero legittimamente aspirare alla occupazione dei posti vacanti.
La tesi perorata dalla parte appellante condurrebbe inoltre ad una ulteriore diseconomia nel complessivo sistema pubblicistico di allocazione della forza lavoro, in quanto consentirebbe ad un medesimo soggetto di occupare (effettivamente e virtualmente) più di una posizione di impiego pubblico (quella detenuta in forza di contratto di lavoro in corso di esecuzione e quella potenzialmente appetibile tramite il meccanismo della stabilizzazione) e, quindi, di rendere meno agevole la programmazione dei posti oggetto di stabilizzazione da parte dell’amministrazione procedente – essendo questa chiamata ad effettuare una ricognizione dei potenziali concorrenti estesa anche a soggetti già dipendenti precari, poi transitati presso terze amministrazioni pubbliche in forza di rapporti stabili ma per profili professionali di livello inferiore a quello oggetto di stabilizzazione.
9. Resta da aggiungere che l’esigenza di coniugare le legittime aspettative del personale precario con quella degli enti ad assumere personale professionalmente già formato, se è certamente rintracciabile nello spirito della normativa primaria (e delle circolari nn. 3/2017 e 1/2018), altrettanto certamente non può assumere la rilevanza di criterio prevalente, pena l’irrazionale alterazione del quadro di principi regolatori sin qui tracciato. Essa può quindi perseguirsi a condizione che concorrano, in rapporto di concomitanza e non di alternatività, gli ulteriori strutturali presupposti applicativi desumibili dall’art. 20 d.lgs. 75/2017.
La previsione contenuta nella Circolare ministeriale n. 3/2017, al punto 3.2.2, con la quale si precisa espressamente che “gli interessati possono partecipare a tutte le procedure avviate dall’amministrazione per le quali hanno i requisiti prescritti”, va quindi raccordata alla ratio della norma primaria ed intesa in un senso ad essa coerente.
E’ dunque fondato e condivisibile quanto assume la parte appellante circa il fatto che l’obiettivo perseguito dal legislatore con l’articolo 20, comma 2, del d.lgs. n. 75/2017, consiste nel superamento del precariato; e che rispetto a tale obiettivo prioritario, gli ulteriori obiettivi pure espressamente richiamati dalla medesima disposizione di legge, e tra questi “la valorizzazione della professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato”, assumono “valore di passi successivi e presupponenti il primo” (pag. 4 atto di appello).
10. In conclusione e per le ragioni sin qui esposte l’appello va accolto. Ne deriva, in riforma della sentenza impugnata, la reiezione del ricorso di primo grado.
11. La peculiarità e la novità delle questioni esaminate giustificano la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli, Presidente
Giulio Veltri, Consigliere
Giovanni Pescatore, Consigliere, Estensore
Raffaello Sestini, Consigliere
Umberto Maiello, Consigliere