08/01/2020 – Il TAR si pronuncia sul silenzio-rifiuto dell’ANAC relativamente alla richiesta di accesso agli atti del ricorrente in caso di “whistleblowing”

Il TAR si pronuncia sul silenzio-rifiuto dell’ANAC relativamente alla richiesta di accesso agli atti del ricorrente in caso di “whistleblowing”
di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone, Gianluca Popolla – Dottore in giurisprudenza – esperto enti locali
Le richieste di intervento del ricorrente
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha ricevuto dall’Avvocato Responsabile della gestione del contenzioso di un Ente, la richiesta di accertare l’illegittimità del silenzio-rifiuto serbato dall’ANAC, in un precedente giudizio, sulle istanze di accesso agli atti e il suo conseguente diritto di accedere agli atti ed ai documenti richiesti con le predette istanze.
Il giudizio precedente innanzi all’ANAC
L’antefatto, che è il fondamento della sentenza in esame, ha ad oggetto il giudizio posto in essere davanti all’ANAC dal RCPT dell’Ente (lo stesso del ricorrente al TAR) che ha segnalato all’Autorità la presunta posizione di incompatibilità dell’Avvocato, su comunicazione di un “whistleblower” (dipendente interno all’Ente che riferisce presunte illegittimità avvenute nell’Ente). L’avvocato aveva più volte richiesto nel corso del giudizio, senza ottenerlo, l’immediato accesso agli atti relativo all’esposto del RCPT e a tutti gli atti ad esso prodromici, accesso rinviato dall’ANAC al termine della fase istruttoria. Reiterata l’istanza al termine della suddetta fase, l’Autorità comunicava all’Avvocato il termine di dieci giorni per l’istanza di motivata opposizione concludendo che “decorso tale termine, in assenza di motivata opposizione si darà comunque corso all’accesso richiesto ai sensi di legge”, al quale però ha fatto seguito il silenzio-rifiuto dell’ANAC che ha generato la domanda giudiziale dell’Avvocato innanzi al TAR.
I motivi del ricorrente
Costituitesi le parti, il ricorrente ha, inoltre, impugnato la nota dell’ANAC nelle more intervenuta, con cui il Dirigente dell’Area Vigilanza – Ufficio Vigilanza Lavori ha comunicato che il documento richiesto dal ricorrente non era ostensibile poiché rientrante nell’ambito di tutela di cui all’art. 54-bis D.Lgs. n. 165/2001 e dell’art. 22 comma 3 del regolamento ANAC sui procedimenti relativi all’accesso civico e ai documenti detenuti dall’Autorità, inoltre ha impugnato anche la delibera del Consiglio dell’Autorità con cui gli è stato negato l’accesso per le motivazioni suddette. In primis il ricorrente ha sottolineato che senza l’accesso agli atti si sarebbe violato il proprio diritto di agire in giudizio in sede penale e civile per la tutela dell’immagine di Avvocato e Dirigente Pubblico e che sarebbe stato impossibile far accertare la responsabilità dei soggetti coinvolti nel procedimento, ha inoltre lamentato la poca coerenza e trasparenza dell’ANAC che ha negato l’accesso contraddicendo quanto affermato nelle due occasioni in cui aveva espresso, invece, parere positivo all’ostensione. Il ricorrente ha inoltre evidenziato la mancata necessità di tutela dell’anonimato del segnalante, essendo palese il coinvolgimento del RPCT indicato come controinteressato nel procedimento di accesso. Sempre a suo dire, inoltre, per l’art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001 (tutela del “whistleblower”) la delibera del Consiglio dell’ANAC non sarebbe da considerarsi come atto sottratto all’accesso.
Le controdeduzioni del controinteressato
Il controinteressato ha chiesto di dichiarare infondato il ricorso in quanto non esisterebbe un interesse qualificato all’accesso in capo al Dirigente e, in più, l’atto sarebbe assoggettato all’art. 54-bis e quindi sottratto all’accesso. Non da ultimo ha invocato l’improcedibilità del giudizio in quanto il diritto di difesa del ricorrente sarebbe stato garantito ampiamente nel corso dell’istruttoria che ha portato alla delibera con cui l’ANAC ha concluso il procedimento scaturito dall’esposto.
Le precisazioni del TAR
La Corte ha accertato, innanzitutto, il diritto del ricorrente ad accedere agli atti richiesti richiamando in tal senso la sentenza del TAR del Lazio (31 ottobre 2019, n. 12541) nella quale si statuisce che “la legittimazione all’accesso agli atti della P.A. va riconosciuta a chi è in grado di dimostrare che gli atti oggetto dell’accesso hanno prodotto o possano produrre effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, a prescindere dalla lesione di una posizione giuridica”. Nel caso in questione è esistente un interesse diretto e concreto del ricorrente che ha chiesto l’ostensione degli atti al fine di eventuali “iniziative giudiziarie in sede civile e penale per la tutela dell’immagine di Avvocato e di Dirigente Pubblico, nonché per l’accertamento delle responsabilità dei soggetti coinvolti nel procedimento a titolo di dolo e/o colpa grave”, né può ritenersi che la partecipazione al procedimento presso l’ANAC sia stata fonte di integrale soddisfazione dei diritti del Dirigente, così come erroneamente dedotto dal controinteressato.
Sull’analisi dell’art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001 (disciplina del “whistleblowing”) il TAR dopo aver sottolineato che la normativa abbia dato uno stimolo fondamentale al controllo interno e diffuso dell’agire dei dipendenti pubblici in un’ottica di prevenzione della corruzione e della cattiva amministrazione, ha altresì rilevato che nel caso di specie ci sia stata “una erronea sovrapposizione fra la figura del “segnalante”, ossia il whistleblower, a presidio del cui anonimato sono dettate le prescrizioni innanzi ricordate, e colui che ha ricevuto la notizia dell’illecito” in quanto nell’esposto qui in oggetto non ha riportato le circostanze di fatto riferitegli dal “whistleblower” ma le ha “tradotte” inserendo personali considerazioni e valutazioni non indicate dal segnalante. Pertanto la Corte ha desunto che il redattore dell’esposto non fosse il “whistleblower” bensì il RPCT, il quale come da normativa e da espresso invito dell’ANAC avrebbe dovuto tutelare l’anonimato del segnalante.
Da quanto ciò detto, la Corte si è pronunciata nel senso dell’illegittimità del diniego opposto e ha stabilito l’obbligo per l’ANAC di ostendere gli atti richiesti “previo oscuramento dei dati riguardanti l’identità del segnalante e i fatti materiali ivi riportati, dai quali sia possibile risalire all’identità del segnalante”. La Corte ha affermato in merito che “l’accesso deve essere riconosciuto e garantito nella sua strumentalità rispetto ad ogni forma di “tutela”, sia giudiziale che stragiudiziale, anche solo meramente prospettica e potenziale: e ciò perché (…) l’accesso costituisce di per sé un bene della vita, meritevole di riconoscimento e salvaguardia indipendentemente dalla lesione della correlata e sottostante posizione giuridica (Cons. Stato, sez. III, 17 marzo 2017, n. 1213) e che la scelta in ordine ai rimedi da attivare, ritenendo il ricorrente lesa la propria situazione giuridica, non può essere rimessa all’Amministrazione, altrimenti si andrebbe con l’allargare l’ambito di applicazione dell’art. 54-bis D.Lgs. n. 165/2001, non rispettando così il canone generale per cui siano di stretta interpretazione le ipotesi di deroga o sottrazione all’accesso. Mentre la tutela della riservatezza del terzo segnalante sarebbe comunque mantenuta dall’oscuramento delle informazioni relative e/o riconducibili allo stesso.
La sentenza del TAR
Per questi motivi il TAR del Lazio ha dichiarato l’obbligo dell’ANAC di consentire alla parte ricorrente di prendere visione ed estrarre copia della documentazione richiesta con l’istanza di accesso di cui trattasi. Ha condannato l’ANAC e il controinteressato a corrispondere ciascuno al ricorrente € 1.000,00 (mille) oltre oneri di legge, a titolo di rifusione delle spese di lite.

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