Il mero decorso del tempo non consuma il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio illegittimo, e che, in ogni caso, il termine ragionevole decorre dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro; non è possibile che si formi un legittimo affidamento sulla stabilità di un titolo edilizio illegittimo, ma favorevole al privato, (concessione in sanatoria), ove sia frutto di una non veritiera rappresentazione dei fatti da parte dello stesso privato; che l’onere motivazionale circa il prevalente interesse pubblico alla rimozione dell’atto è sufficientemente assolto attraverso l’indicazione della disciplina che rende insanabile l’opera in considerazione
N. 00409/2020 REG.PROV.COLL.
N. 00709/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 709 del 2018, proposto da Tufanio Giuseppe e Listì Serafina, rappresentati e difesi dall’avvocato Benedetto Palazzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico presso il suo studio in Palermo, via G. Carducci, 6;
contro
Comune di Corleone, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Alberto Marolda, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
«1) della Determinazione n. 59 del 29.1.2018, notificata il 30.1.2018, avente ad oggetto: “diniego del permesso di costruire ai sensi dell’art. 14 l.r. 16/2016, presentata in data 23.10.2017, prot. gen. n. 26514; annullamento definitivo di agibilità provvisoria del 4/05/2005, concessione edilizia in sanatoria n. 98 del 25/07/2011 ex L. 326/03, concessione edilizia n. 67/15; ordinanza di demolizione del fabbricato realizzato su lotto di terreno censito al catasto al fg. 35, part.lla 1648 di cui alla Concessione Edilizia n. 67/15”;
2) della determinazione n. 111 del 8.2.2018, notificata il 9.2.2018, avente ad oggetto: “rimozione di manufatto con struttura prefabbricata sito in c.da Punzonotto. Sgombero e astensione all’utilizzo di costruzioni e piazzale oggetto della concessione edilizia in sanatoria n. 98 del 25.7.2011, ex l. 326/2003, e della concessione edilizia n. 67/15 annullate in autotutela”;
– nonché di ogni altro atto ad esse presupposto e/o consequenziale».
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Corleone;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 maggio 2019 il dott. Francesco Mulieri e uditi per le parti i difensori Palazzolo B. per il ricorrente, Monica Mattaliano giusta delega orale dell’avv.to Marolda;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, ritualmente notificato e depositato, i ricorrenti, premesso di essere proprietari di un fondo rustico sito nel Comune di Corleone, C.da Punzonotto (censito in catasto al fg. 35, partt. 1645 e 1648), espongono che:
1) all’interno di tale fondo, ricadente in zona agricola E del PRG comunale, nell’anno 2000, ricavavano, tramite la sistemazione del suolo (livellamento di una parte in pendenza), uno spiazzo a cielo aperto supportato da una serie di gabbionate in pietrame su un lato, successivamente completato con la realizzazione di un muro di contenimento ove collocavano un casotto prefabbricato metallico, di m 4 x 5,75, composto da pannelli componibili e fissato al suolo con delle viti;
2) più di recente costruivano un fabbricato di superficie coperta di mq 189,75 adiacente al predetto spiazzo e sorretto da una struttura di pilastri in c.a. eretta nella parte inferiore del fondo in modo tale che il fabbricato raggiungesse la quota del soprastante piazzale;
3) le predette opere ed interventi, ad eccezione del collocamento del box prefabbricato in lamiera, erano oggetto, da parte del Comune di Corleone:
a) di concessione edilizia in sanatoria n. 98/11 (istanza n. prot. 3653 del 30.3.2004), ex L. n. 326/03, con la quale era assentito il mutamento di destinazione d’uso da rurale a commerciale del fabbricato (già presente nel fondo al momento dell’acquisto da parte dei ricorrenti, poi accatastato alla part. 1648) e l’utilizzazione della superficie a cielo aperto di mq 1500 per il deposito e l’esposizione di automobili usate (oggetto di attività di vendita dei ricorrenti), definito piazzale adibito ad uso commerciale;
b) di concessione edilizia n. 67/15 (pratica n. 21/13), per la realizzazione del nuovo fabbricato di superficie coperta di mq 189,85, da adibire in parte ad attività commerciale (mq 32,50) ed in parte al deposito di attrezzi agricoli (mq 157,25), stabilendo che il piccolo fabbricato di cui alla concessione in sanatoria n. 98/11 fosse adibito a deposito di attrezzi agricoli, in quanto il precedente uso commerciale dello stesso veniva trasferito nei corrispondenti mq 32,50 del nuovo edifico da realizzare;
4) la richiesta di concessione edilizia (pratica n. 21/13) era stata avanzata nel quadro di un intervento produttivo in verde agricolo, disciplinato dall’art. 22 della L.r. n. 71/78 e a causa delle erronee direttive verbali dei tecnici comunali, che manifestavano l’impossibilità di esercizio in zona agricola di attività diverse da quelle propriamente agricole o connesse, i ricorrenti erano costretti a prevedere la destinazione ad uso commerciale solo di una parte del fabbricato, e cioè i mq 32,50, in considerazione del fatto che già esisteva per tale superficie un fabbricato a ciò destinato (quello della sanatoria n. 98/11), considerando l’uso commerciale come trasferibile dal vecchio fabbricato a parte della nuova costruzione per la stessa superficie;
5) nel corso dei lavori di realizzazione del nuovo fabbricato, infine, si rendeva necessario aumentare di circa m 1,50 lo scavo della struttura di fondazione e di realizzarla non in appoggio ma in aderenza al muro di contenimento (lasciando cioè una piccola intercapedine di cm 60 circa da ricoprire interamente), ragion per cui i ricorrenti chiedevano l’accertamento di conformità (ex art. 14, L.r. 16/16) sia per tale modesta variazione, sia per una diversa grandezza delle finestre ed una pressoché irrilevante variazione nella disposizione degli spazi interni, essendo rimaste in ogni caso immutate le dimensioni dell’edificio.
I ricorrenti lamentano che, con determinazioni n. 59 del 29.1.2018 e n. 111 del 8.2.2018, dopo 7 anni dalla sanatoria e dopo 3 anni dalla C.E. 67/15, il Comune di Corleone, i maniera illegittima avrebbe annullato le concessioni edilizie e rigettato la richiesta di accertamento di conformità, emettendo i consequenziali ordini di rimozione e demolizione delle opere, ritenute abusive, sull’assunto che:
– il piazzale non sarebbe stato sanabile in quanto, come emergerebbe da fotografie tratte da google earth, alla data del 31.3.2003 non era ultimato né risulterebbe il versamento degli oneri concessori e dell’oblazione;
– il piccolo fabbricato – già esistente nel fondo al momento dell’acquisto da parte dei ricorrenti – sarebbe stato riscontrato di superficie inferiore di mq 9 rispetto a quanto descritto, non dotato degli elementi strutturali dichiarati nella richiesta di sanatoria, né degli impianti elettrico ed idrico e la sua demolizione, spontaneamente eseguita dai ricorrenti non avrebbe sanato tali vizi;
– il nuovo fabbricato realizzato a seguito della C.E. 67/15 e parte del muro di contenimento del piazzale non rispetterebbero la distanza di 10 m dall’alveo di un torrente che scorre a valle del fondo; né il volume del fabbricato (già autorizzato con la predetta C.E.) sarebbe stato assentibile;
– in quella zona sarebbero consentite le sole costruzioni strumentali all’esercizio di attività agricola, mentre i ricorrenti non avrebbero prodotto la documentazione attestante l’esercizio di tale attività;
– la C.E. 67/15 sarebbe in ogni caso illegittima per derivazione dalla precedente concessione in sanatoria n. 98/11, a sua volta illegittima, in quanto, da una parte, la destinazione commerciale sarebbe stata trasferita dal vecchio fabbricato (quello ad oggi spontaneamente demolito dai ricorrenti), e dall’altra, neppure lo spiazzo a cielo aperto poteva essere sanato per le ragioni già dette;
– l’accertamento di conformità non sarebbe consentito perché si tratterebbe di variazioni essenziali e totali che avrebbero alterato la sagoma e l’altezza della costruzione;
– sebbene decorso un lungo lasso di tempo dall’adozione dei provvedimenti concessori, l’affidamento dei ricorrenti non sarebbe degno di tutela in quanto gli stessi avrebbero indotto in errore l’amministrazione dichiarando, contrariamente al vero, che lo spiazzo a cielo aperto e il vecchio fabbricato, oggetto della sanatoria n. 98/11 erano già definiti al 31.3.2003 (termine previsto dalla relativa l. 326/03), e che la nuova concessione edilizia n. 67/15 sarebbe gravata degli stessi vizi perché non è autonoma e distinta dalla Concessione edilizia in sanatoria n. 98/2011 in quanto il nuovo fabbricato ha ereditato la destinazione d’uso impressa con la prima concessione edilizia in sanatoria al fabbricato e al piazzale.
Dei suddetti provvedimenti i ricorrenti hanno chiesto l’annullamento, previa sospensiva, per i seguenti motivi:
1) “Insussistenza dei dedotti vizi di violazione dell’art. 21 nonies L. 241/1990, difetto di motivazione e carenza di istruttoria, violazione degli artt. 5 e 6 L.r. 37/1985 e dell’art. 24 D.P.R. 380/01”.
I ricorrenti contestano la legittimità dei provvedimenti di annullamento di autotutela della concessione in sanatoria n. 98/2011, nonché della concessione edilizia 67/2015 e lamentano che sarebbe stato superato il limite temporale di diciotto mesi indicato dall’art. 21 nonies della L. 241/1990 ritenendo – in mancanza di una sentenza penale, passata in giudicato, che abbia accertato la falsità delle dichiarazioni rese – non applicabile alla fattispecie in esame la deroga prevista dal comma 2-bis del medesimo articolo.
In ogni caso, gli atti impugnati sarebbero lesivi dell’affidamento ingenerato nei ricorrenti che hanno ottenuto il titolo abilitativo in base ai plurimi accertamenti positivi sulla legittimità della loro richiesta operati dalle diverse autorità competenti alla tutela dei vari interessi coinvolti.
I ricorrenti contestano inoltre quanto affermato dal Comune in ordine al fatto che il vecchio fabbricato avesse una superficie (mq 17,16) inferiore a quella dichiarata (mq 26,56), che fosse carente di alcuni elementi strutturali (mancanza di architravi sulle aperture e cordoli debolmente armati) e degli impianti elettrico e idrico e che non risultasse di fatto utilizzato per l’attività commerciale; e che il piazzale non risultasse ancora ultimato al 31.3.2003.
Ancora, sotto altro profilo, i ricorrenti sostengono che lo spiazzo a cielo aperto per il deposito e l’esposizione di merce sarebbe opera non richiedente preventivi titoli o comunicazioni, ai sensi dell’art. 6 della L.r. n. 37/1985, che menziona la “sistemazione di suoli agricoli, anche se occorrano strutture murarie”, mentre “il piccolo casotto prefabbricato in lamiera” sarebbe opera soggetta a mera autorizzazione ai sensi dell’art. 5 della L.r. n. 37/1985, applicabile ratione temporis, per la cui abusiva realizzazione non sarebbe prevista sanzione demolitoria.
2) “Violazione dell’art. 22 L.r. 71/78 e succ. mod. integr. E dell’art. 21 nonies, L. 241/90. Eccesso di potere per sviamento e per travisamento della realtà; incompetenza”.
I ricorrenti sostengono la legittimità delle opere realizzate in virtù delle previsioni in materia di interventi produttivi in verde agricolo introdotte dall’art. 22 L.r. 71/78, come modificato e integrato dalla L.r. 17/94, dalla L.r. 30/97 ed, infine, dall’art. 30 L.r. 2/2002. Tale normativa consentirebbe liberamente al privato l’edificazione finalizzata a qualsiasi scopo in zona agricola, in totale deroga alle previsioni dello strumento urbanistico comunale, con conseguente conformità alle prescrizioni urbanistiche dell’edificio realizzato in forza della concessione n. 67/2015.
Per resistere al ricorso si è costituito il Comune di Corleone il quale ha rilevato che la zona ricade nella fascia di rispetto del corso d’acqua denominato “Vallone Palomba”, restando per ciò assoggettata anche alla disciplina dell’art. 90 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G. del Comune di Corleone, nonché a quella del successivo art. 95, denominato “Aree di salvaguardia ambientale e paesaggistica”; ha evidenziato la rilevante consistenza delle opere realizzate, non inquadrabili tra quelle liberamente realizzabili o soggette a mera autorizzazione, la falsità delle informazioni fornite dai proprietari ai fini del rilascio dei titoli abilitativi, la violazione delle normative in materia di distanza dai corsi d’acqua, la violazione di molteplici previsioni urbanistiche.
Con ordinanza dell’8 maggio 2018 n. 389, la domanda cautelare dei ricorrenti è stata accolta ritenendo la Sezione sussistente l’allegato pregiudizio cagionato dagli effetti dei provvedimenti impugnati sulla loro attività imprenditoriale; detta ordinanza è stata confermata dal C.G.A. che, con ordinanza del 6 luglio 2018 n. 418, ha ritenuto che “indipendentemente dai profili di merito delle doglianze di parte appellante, nel caso di specie l’esecuzione dei provvedimenti impugnati comporta un pregiudizio per le attività imprenditoriali che si svolgono sul piazzale e il suddetto pregiudizio permane ove anche le suddette attività (vendita autoveicoli che sono esposti sul piazzale) – come asserisce la difesa del Comune – potrebbero consistere in vendita on line che si svolgono su uno spazio virtuale proprio del sito e della rete informatica”.
Con successive memorie le parti hanno diffusamente illustrato le rispettive posizioni e, alla pubblica udienza fissata per la decisione, dopo la discussione dei rispettivi procuratori, il ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
Viene in decisione il ricorso avente ad oggetto l’annullamento in autotutela di titoli abilitativi edilizi conseguiti dai ricorrenti in relazione ad opere realizzate su un lotto di terreno sito nel Comune di Corleone, ricadente in zona classificata dal vigente Piano Regolatore Comunale come zona agricola, E2, disciplinata dall’articolo 72 (“criteri di intervento nell’ambito E2, aree agricole delle Rocche di Rao”) delle relative Norme Tecniche di Attuazione.
La vicenda in esame trae origine dall’istanza del 30/03/2004 con la quale la parte ricorrente chiedeva, ai sensi del condono di cui alla L. 326/2003, la sanatoria di un piccolo fabbricato ad una elevazione fuori terra, oltre ad un piazzale adibito ad uso commerciale, dichiarando un uso commerciale dell’immobile, tipologia di abuso 1, data di ultimazione dell’abuso entro il 31/03/2003, oltre una superficie utile del fabbricato di mq. 26,56. Detto fabbricato conseguiva l’autorizzazione provvisoria di agibilità e allo scarico del 4/05/2005 sulla base delle dichiarazioni rese con perizia giurata del 14/04/2005 a firma del geom. Teodoro Grizzaffi, con la quale veniva attestato che i requisiti del fabbricato ne consentivano l’agibilità e l’esercizio dell’attività commerciale.
In seguito a sopralluogo del 14/09/2017, il Comune resistente accertava che il predetto fabbricato (oggetto di condono per una superficie pari a mq 32,50, e dichiarato nell’istanza di condono pari a mq 26,56) aveva una reale superficie di ingombro pari a mq 17,16 e che non presentava le rifiniture dichiarate nella relazione tecnica allegata al condono e nella perizia giurata necessaria per il conseguimento dell’agibilità provvisoria, con conseguente inidoneità dello stesso all’utilizzo a scopi commerciali quale ufficio.
Con nota del 06/10/2017 n. 24395 la ditta Tufanio comunicava la intervenuta demolizione del fabbricato oggetto del condono facendo con ciò venir meno il locale deputato all’esercizio dell’attività commerciale e, in data 23/10/2017, comunicava la cessazione definitiva della succitata attività commerciale, conseguente alla intervenuta demolizione del fabbricato destinato ad ufficio.
Con SCIA prot. 26451 del 23/10/2017, parte ricorrente segnalava l’avvio dell’attività di vendita tramite internet di autovetture nuove ed usate, con utilizzo quale deposito del piazzale di mq 1500.
A seguito di sopralluogo il Comune di Corleone accertava che la concessione edilizia in sanatoria n. 98/2011 risultava rilasciata sulla base di dichiarazioni non corrispondenti alla realtà in ordine alle effettive dimensioni dell’immobile, alla rappresentazione degli elementi strutturali esistenti, alla dotazione degli impianti, alla reale destinazione dell’immobile, all’avvenuto completamento delle opere di sistemazione del piazzale entro il 31 marzo 2003 (come prescritto dalla normativa sul condono edilizio sulla base della quale è stata rilasciata la Concessione in sanatoria n. 98/2011), al muro di contenimento e al versamento di quanto dovuto a titolo di oblazione e di oneri concessori per il piazzale realizzato.
Con la concessione edilizia n. 67/2015 veniva autorizzata la costruzione di un nuovo fabbricato da adibire in parte a locale deposito per mezzi agricoli e in parte ad attività commerciale, mediante trasferimento della precedente destinazione d’uso del fabbricato oggetto della concessione in sanatoria 98/2011.
A seguito di ulteriori accertamenti il Comune di Corleone adottava le determinazioni impugnate con le quali ha annullato le concessioni edilizie e rigettato la richiesta di accertamento di conformità, emettendo i consequenziali ordini di rimozione e demolizione delle opere, ritenute abusive.
Il primo motivo di ricorso è proposto in relazione all’annullamento definitivo di agibilità provvisoria del 4/05/2005, all’annullamento della Concessione edilizia in sanatoria n. 98/2011, ex L. 326/03, e alla demolizione del piazzale (Determinazione 59/18); alla rimozione del casotto metallico in struttura prefabbricata, allo sgombero e all’ordine di astensione da qualsiasi utilizzazione della costruzione e del piazzale (Determinazione n. 111/18).
I ricorrenti hanno sostenuto, in prima battuta, che l’annullamento della concessione in sanatoria, rilasciata al termine di una complessa e lunga istruttoria in data 25.7.2011, sarebbe illegittimo prima facie in quanto disposto il 29 gennaio 2018 e dunque oltre il termine di 18 mesi stabilito dall’art. 21 nonies della L. n. 241/90, posto dal Legislatore quale limite inderogabile per l’esercizio del potere di autotutela della p.a.; in ogni caso, poi, gli atti impugnati si porrebbero in palese contrasto con ogni criterio di ragionevolezza e sarebbero altresì lesivi dell’affidamento ingenerato nei ricorrenti che avrebbero ottenuto il titolo abilitativo in base ai plurimi accertamenti positivi sulla legittimità della loro richiesta operati dalle diverse autorità competenti alla tutela dei vari interessi coinvolti.
La censura è infondata.
Innanzi tutto, occorre precisare che la novella modificativa del citato articolo 21-nonies, che ha introdotto il termine di 18 mesi per procedere all’annullamento d’ufficio, non trova applicazione nel caso di specie.
La più recente giurisprudenza amministrativa, chiamata a pronunciarsi sull’argomento, ha, infatti, precisato che la predetta disposizione, introdotta dall’art. 6, comma 1, lettera d), n. 1, della Legge 7 agosto 2015 n. 124, non ha carattere sanante dei provvedimenti illegittimi rilasciati precedentemente ai 18 mesi antecedenti all’entrata in vigore della norma, ma ha carattere innovativo con la conseguenza che “si applica soltanto ai provvedimenti adottati successivamente alla sua entrata in vigore e quindi non può che riferirsi ai provvedimenti di annullamento in autotutela di provvedimenti di primo grado adottati successivamente alla vigenza della legge (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 18-07-2018, n. 4374 che a sua volta richiama Cons. Stato, Sez. VI, 13 luglio 2017, n. 3462 e Sez. III, 28 luglio 2017 n. 3780, nonché Ad Plen., 17 ottobre 2017, n. 8, specie 4.9.6. e 10.5).
Nel caso di specie, i titoli edilizi oggetto di autotutela si sono formati, rispettivamente, nel 2011 (concessione edilizia in sanatoria n. 98/2011) e in data 20 luglio 2015 dunque entrambi in epoca antecedente all’entrata in vigore della novella legislativa di cui sopra, introdotta, come ricordato, dalla legge n. 124 del 7 agosto 2015.
Pertanto, alla luce della giurisprudenza citata, il limite temporale di diciotto mesi dall’adozione dei provvedimenti da annullare in autotutela non è applicabile nel caso di specie.
In ogni caso anche a volerlo ritenere applicabile, il predetto termine decorrerebbe non già dall’adozione del provvedimento ma eventualmente dalla scoperta delle ragioni dell’illegittimità (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 8/2017); ed essendo le irregolarità dei provvedimenti edilizi in precedenza rilasciati in favore dei ricorrenti emerse a seguito dell’accertamento compiuto dall’Amministrazione comunale in data 22 settembre 2017, il termine previsto dal citato art. 21 nonies sarebbe comunque rispettato.
Non appare infine superfluo ricordare che il comma 2 bis dell’art. 21 nonies della L. n. 241/90, introdotto dalla summenzionata novella del 2015, ha fatto salvo l’annullamento d’ufficio, anche decorsi i 18 mesi, dei provvedimenti amministravi rilasciati sia in presenza di false rappresentazione dei fatti o, alternativamente, in caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci.
Orbene, rileva il Collegio che nel caso di specie, la concessione edilizia in sanatoria n. 98/2011 è stata rilasciata sulla base di una falsa rappresentazione dei fatti fornita dagli interessati, risultante dal complesso della documentazione presentata, con riferimento in particolare alle dichiarazioni degli istanti relative alle dimensioni del fabbricato da condonare, agli elementi strutturali esistenti, alla dotazione degli impianti, alla reale destinazione dell’immobile, alla realizzazione delle opere di sistemazione del piazzale entro il termine di legge del 31 marzo 2003.
Le circostanze sopra riferite escludono la configurabilità di una posizione di legittimo affidamento dei ricorrenti meritevole di tutela giuridica attraverso il mantenimento dei provvedimenti illegittimi, come pure la sussistenza di un onere motivazionale particolarmente rafforzato.
Le superiori conclusioni risultano conformi ai principi recentemente affermati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 8 del 2017 dalla cui complessiva lettura e segnatamente dai principi espressi nella sua parte finale “emerge che il mero decorso del tempo non consuma il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio illegittimo, e che, in ogni caso, il termine ragionevole decorre dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro; che non è possibile che si formi un legittimo affidamento sulla stabilità di un titolo edilizio illegittimo, ma favorevole al privato, (concessione in sanatoria), ove sia frutto di una non veritiera rappresentazione dei fatti da parte dello stesso privato; che l’onere motivazionale circa il prevalente interesse pubblico alla rimozione dell’atto è sufficientemente assolto attraverso l’indicazione della disciplina che rende insanabile l’opera in considerazione” (cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 05/08/2019 n. 2040).
Risulta altresì infondata la censura con la quale i ricorrenti hanno sostenuto che, contrariamente a quanto riscontrato dal Comune di Corleone, che le strutture abusivamente realizzate sarebbero state rappresentate così come esistenti al momento della richiesta di concessione in sanatoria ed in particolare il piazzale sarebbe stato completato nell’anno 2000.
L’affermazione è smentita dalle immagini satellitari prodotte dal Comune di Corleone (documento n. 9, a, b, c, d, e allegato alla memoria di costituzione depositata il 4 maggio 2018) che dimostrano come, quanto meno prima del 2004, il presunto piazzale non esistesse affatto, non risultando all’epoca eseguite neppure le opere di sbancamento e spianamento che hanno materialmente creato lo spiazzo. Le immagini prodotte evidenziano chiaramente come, ancora alla data del 1 gennaio 2004, il terreno dei ricorrenti seguisse il pendio naturale proprio dei terreni circostanti e fosse coperto da vegetazione spontanea. Appare dunque evidente la falsa rappresentazione dei fatti fornita dai ricorrenti all’atto della presentazione dell’istanza di condono.
Peraltro, sarebbe stato onere dei ricorrenti produrre elementi di prova certi atti a dimostrare che le opere oggetto di sanatoria risultassero ultimate entro il 31 marzo 2003, onde evitare l’annullamento in autotutela del provvedimento illegittimamente rilasciato (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 03/06/2019, n. 3696). Ne consegue che in difetto di tale prova, stante il contrasto accertato tra lo stato dei fatti ed il contenuto della dichiarazione, il provvedimento di autotutela risulta pienamente legittimo.
Anche la censura con la quale i ricorrenti hanno sostenuto che gli interventi realizzati rientrerebbero tra le attività edilizie liberamente realizzabili o soggette a semplice autorizzazione risulta infondata.
Secondo parte ricorrente lo “spiazzo a cielo aperto” per il deposito e l’esposizione di merce sarebbe opera non richiedente preventivi titoli o comunicazioni, ai sensi dell’art. 6 della L.r. n. 37/1985 secondo cui la “sistemazione di suoli agricoli, anche se occorrano strutture murarie” non sarebbe soggetta “a concessione, ad autorizzazione, a comunicazione al sindaco” mentre il piccolo casotto prefabbricato in lamiera sarebbe opera soggetta a mera autorizzazione ai sensi dell’art. 5 della L.r. n. 37/1985, applicabile ratione temporis, per la cui abusiva realizzazione non sarebbe prevista sanzione demolitoria.
Tuttavia, come dedotto in maniera condivisibile dalla difesa del Comune resistente, con riferimento al piazzale, le opere eseguite (consistenti nello sbancamento e livellamento di un terreno di circa 1.500 mq, con successiva realizzazione di un muro di contenimento in cemento armato alto circa quattro metri e lungo oltre 22 metri, apposizione di pavimentazione in mattoni autobloccanti e apposizione di una ringhiera delimitativa) non possono rientrare nella definizione di “sistemazione di suoli agricoli” di cui al citato art. 6, che va invece riferita esclusivamente la sistemazione di fondi effettivamente destinati ad uso agricolo. Nel caso di specie, come ammesso dagli stessi ricorrenti, il terreno in questione non è mai stato utilizzato a scopi agricoli, ma commerciali, posto che lo stesso è stato interamente pavimentato ed utilizzato come area espositiva per rivendita di automobili.
Analogamente deve ritenersi che la realizzazione di muri di contenimento di altezza superiore ai 3 metri è soggetta a concessione edilizia e che la realizzazione di strutture anche prefabbricate non è soggetta a concessione soltanto ove destinata a soddisfare esigenze meramente provvisorie e non, come nel caso di specie, continuative.
La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che:
– “le opere di scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno, finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli, in quanto incidono sul tessuto urbanistico del territorio, sono assoggettate a titolo abilitativo edilizio” (Cass. pen. Sez. III, 13 novembre 2014, n. 4916; Cass. pen., Sez. III, 24 febbraio 2009, n. 8064; T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 4 settembre 2019, n. 1491);
– “il muro di contenimento che crei un nuovo dislivello o aumenti quello esistente costituisce una nuova costruzione, soggetta al rilascio del permesso di costruire, allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell’area relativa, lo stesso sia tale da modificare l’assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli interventi di “nuova costruzione”. Quest’ultimo concetto è infatti comprensivo di qualunque manufatto autonomo ovvero modificativo di altro preesistente, che sia stabilmente infisso al suolo o ai muri di quella preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo durevole l’area coperta, ovvero ancora le opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi” (Cons. Stato Sez. VI, 9 luglio 2018, n. 4169).
– l’installazione di un prefabbricato, ad uso non abitativo, è soggetta al preventivo rilascio della concessione edilizia e non della mera autorizzazione allorché esso sia destinato a soddisfare un’esigenza continuativa e non meramente provvisoria; e “affinché si possa parlare di impianti di prefabbricato con una sola elevazione non adibiti ad uso abitativo, è necessario che si tratti di costruzioni di modeste dimensioni, adagiate sul suolo e facilmente rimovibili, tali da non alterare stabilmente l’assetto del territorio, destinate ad un uso realmente precario e temporaneo” (TAR Sicilia, Catania, sez. I, 30 luglio 2015, n. 2105).
Quanto alla violazione delle prescrizioni urbanistiche, sia in materia di inedificabilità che in materia di destinazione d’uso, dettate per la fascia di rispetto del corso d’acqua denominato “Vallone Palomba”, in disparte ogni considerazione sulla consistenza di tale corso d’acqua, risulta troncante il fatto che le opere realizzate, anche se solo parzialmente ricadenti entro il limite di inedificabilità assoluta, risultano in ogni caso incompatibili con le destinazioni d’uso ammesse dall’art. 90 delle Norme Tecniche di Attuazione al PRG (in atti) che non consente il mantenimento delle strutture abusivamente realizzate.
Con il secondo motivo – riguardante l’annullamento della C.E. 67/15, il diniego del permesso di costruire/accertamento di conformità di cui all’art. 14, L.r. n. 16/16, ed il conseguente ordine di demolizione del fabbricato realizzato in forza della suddetta C.E. 67/15 e del piazzale antistante (Determinazione n. 59/18) – i ricorrenti hanno sostenuto la legittimità delle opere realizzate in virtù delle previsioni in materia di interventi produttivi in verde agricolo introdotte dall’art. 22 L.r. 71/78, come modificato e integrato dalla L.r. 17/94, dalla L.r. 30/97 ed, infine, dall’art. 30 L.r. 2/2002, normativa che, nella prospettazione di parte ricorrente, consentirebbe liberamente l’edificazione finalizzata a qualsiasi scopo in zona agricola, in deroga alle previsioni dello strumento urbanistico comunale, con conseguente conformità alle prescrizioni urbanistiche dell’edificio realizzato in forza della C.E. n. 67/2015.
La censura è infondata.
L’art. 22 L.r. 71/78, come modificato e integrato dalla L.r. 17/94, prevede che “nelle zone destinate a verde agricolo dai piani regolatori generali sono ammessi impianti o manufatti edilizi destinati alla lavorazione o trasformazione di prodotti agricoli o zootecnici locali ovvero allo sfruttamento a carattere artigianale di risorse naturali locali tassativamente individuate nello strumento urbanistico”, stabilendo al comma 2 una serie di condizioni al cui rispetto è subordinato il rilascio delle concessioni edilizie.
Per effetto della successiva legge n. 30/1997, il Legislatore regionale ha consentito la realizzazione, in verde agricolo, anche di interventi produttivi di diverso tipo.
La L.r. 3-5-2001, n. 6 all’art. 89 c. 3 ha, in una prima versione, stabilito che: “Le disposizioni previste dall’articolo 35 della legge regionale 7 agosto 1997, n. 30, relativa agli insediamenti produttivi in verde agricolo si applicano a tutti gli interventi comunque previsti e finanziati nei patti territoriali, nei contratti d’area e negli altri strumenti di programmazione negoziata, statali e regionali. Le stesse disposizioni si applicano per le iniziative imprenditoriali che abbiano ottenuto il finanziamento pubblico per la realizzazione dei relativi investimenti qualora non siano disponibili aree per insediamenti produttivi previste dagli strumenti urbanistici comunali o nelle aree attrezzate artigianali ed industriali. L’approvazione da parte dei consigli comunali costituisce variante agli strumenti urbanistici”.
Per effetto di successive modificazioni legislative, la portata della deroga di cui alla citata disposizione è stata praticamente generalizzata, in quanto l’allocazione delle iniziative imprenditoriali private in zone diverse da quelle a ciò destinate per volontà della legge (urbanistica) e degli strumenti urbanistici non presuppone più neppure un finanziamento pubblico, requisito che evidentemente selezionava il novero delle iniziative autorizzabili.
Ebbene, per effetto delle modifiche introdotte sul testo originario dell’art. 89 della L.R. 3-5-2001 n. 6, dall’art. 30, comma 1, L.R. 26 marzo 2002, n. 2, a decorrere dal 1° gennaio 2002, come prevede l’art. 131, comma 2, della stessa legge (vedi anche il comma 3 del suddetto art. 30), poi modificato dall’art. 38, L.R. 19 maggio 2003, n. 7, come modificato dall’art. 76, comma 22, L.R. 3 dicembre 2003, n. 20, il testo vigente dell’art. 89 così recita:
“3. Le disposizioni previste dall’articolo 35 della legge regionale 7 agosto 197, n. 30, relative agli insediamenti produttivi in verde agricolo, si applicano a tutti gli interventi inseriti oltre che nei contratti d’area ed in altri analoghi strumenti di programmazione negoziata approvati dal CIPE o relativi ad interventi finanziati dallo Stato con la legge 19 dicembre 1992, n. 488, o concernenti interventi finanziati dall’Unione europea, anche a singole iniziative imprenditoriali private da realizzarsi con fondi propri, nell’ipotesi in cui non siano disponibili aree per insediamenti produttivi previste dagli strumenti urbanistici comunali né aree attrezzate dagli strumenti urbanistici comunali né aree attrezzate artigianali e industriali o su porzioni dell’area interessata insistano precedenti insediamenti produttivi”.
Ora, rileva il Collegio che la sopra citata normativa, nel consentire la realizzazione in area agricola di iniziative imprenditoriali private, ne ha condizionato l’assentibilità alla mancanza o indisponibilità di aree destinate ad insediamenti produttivi, individuate dagli strumenti urbanistici.
La difesa del Comune di Corleone ha puntualmente dedotto, senza ricevere contestazione alcuna sul punto da parte della difesa dei ricorrenti, che lo strumento urbanistico del Comune di Corleone prevede l’individuazione di apposite aree destinate ad insediamenti produttivi (cfr. artt. 48, 49 e 50 delle N.T.A. del P.R.G. di Corleone; in atti).
Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la normativa invocata non può ritenersi operante nel caso di specie.
Risulta peraltro condivisibile la tesi sostenuta dal Comune di Corleone che ha evidenziato come – avendo lo stesso Comune dettato una normativa maggiormente vincolistica per le aree agricole in genere e, in particolare, per la zona in cui ricade la proprietà dei ricorrenti, soggetta a vincoli di salvaguardia ambientale e paesaggistica – gli interventi realizzabili in area agricola restano quelli individuati dalle rispettive norme del PRG, che consentono la realizzazione di insediamenti produttivi in verde agricolo soltanto in presenza di un effettivo e comprovato vincolo con l’attività agricola, nel rispetto dei limiti di cui al comma 2 dell’art. 22 L.r. 71/78 e degli ulteriori limiti previsti dal piano regolatore comunale (in particolare le costruzioni devono rispettare la distanza minima di 200 mt dagli insediamenti abitativi esistenti, devono prevedere l’individuazione delle aree da vincolare a parcheggio, devono essere soggetti a verifica di compatibilità ambientale con il procedimento di VIA e devono essere collegati ad un piano di sviluppo agricolo del fondo).
In definitiva la mancanza di conformità del progetto oggetto della Concessione 67/2015 rispetto alle citate prescrizioni urbanistiche e normative, fa sì che anche la censura in esame risulti infondata.
In conclusione il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese di lite che liquida, in favore del Comune di Corleone, nella complessiva somma di €. 1.500,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nelle camere di consiglio dei giorni 17 maggio 2019, 7 maggio 2019, 7 maggio 2018, con l’intervento dei magistrati:
Cosimo Di Paola, Presidente
Francesco Mulieri, Primo Referendario, Estensore
Raffaella Sara Russo, Referendario
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