Nella Pa occorre dotare in fretta le amministrazioni di quelle indispensabili basi tecnologiche all’avanguardia che consentano di integrare il lavoro agile nelle proprie culture organizzative. L’approfondimento di Alfredo Ferrante, dirigente ministeriale, dopo la circolare Brunetta-Orlando
In esito alla riunione del Consiglio dei Ministri del 5 gennaio, durante il quale è stato approvato un decreto-legge che introduce nuove misure urgenti per fronteggiare l’emergenza sanitaria, in particolare nei luoghi di lavoro e nelle scuole, è stata data notizia che i ministri per la Pubblica amministrazione e del Lavoro e delle politiche sociali hanno firmato una circolare per sensibilizzare le amministrazioni pubbliche e i datori di lavoro privati a usare pienamente tutti gli schemi di lavoro agile già presenti all’interno delle rispettive regolazioni contrattuali e normative.
È noto, infatti, che l’innalzamento della curva del contagio, dovuta alla diffusione della variante Omicron del Covid-19, ha necessariamente spinto a rivalutare, in particolar modo per il settore pubblico, la decisione, di cui all’articolo 1 del decreto ministeriale 8 ottobre 2021, del “rientro in presenza di tutto il personale”.
Sappiamo, poi, che nella realtà le diverse amministrazioni hanno in gran parte dato seguito al decreto, e alle successive linee guida, con adeguata prudenza, rendendo disponibile un’ampia gamma di attività accessibili alla richiesta di smart working e prevedendo, generalmente, una adeguata rotazione del personale, evitando, per quanto possibile, compresenze nei medesimi spazi, posta l’obbligatorietà della esibizione del green pass per l’accesso agli uffici. La rapida impennata dei contagi, tuttavia, ha mescolato le carte in tavola: ecco allora la decisione di far sì che i dipendenti delle PA continuino ad essere tenuti a lavorare la maggioranza del tempo in presenza ma facendo i conti non sul mero segmento settimanale (3 giorni in presenza, due in remoto), come nella stragrande maggioranza dei casi si era provveduto a fare, ma sull’anno o, in ogni caso, su un periodo plurimensile, così come anticipato dal Dipartimento per la Funzione Pubblica in risposta ad una FAQ del 4 gennaio scorso: “Ogni amministrazione può programmare il lavoro agile con una rotazione del personale settimanale, mensile o plurimensile. Ciò consente di prevedere l’utilizzo dello smart workingcon ampia flessibilità, anche modulandolo, se necessario, sulla base dell’andamento dei contagi, tenuto conto che la prevalenza del lavoro in presenza contenuta nelle linee guida potrà essere raggiunta anche al termine della programmazione. In sintesi, ciascuna amministrazione potrà equilibrare lavoro agile e in presenza secondo le modalità organizzative più congeniali alla propria situazione, anche considerando l’andamento epidemiologico nel breve e nel medio periodo” e, aggiunge la circolare, “delle contingenze che possono riguardare i propri dipendenti (come nel caso di quarantene breve da contatti con soggetti postivi al coronavirus)”.
Ricapitoliamo: resta in piedi il principio che debba essere prevalente, per ciascun lavoratore che acceda all’istituto del lavoro agile (che è e rimane scelta volontaria, regolata da un contratto sottoposto a diverse condizionalità), l’esecuzione della prestazione in presenza come prevista all’art. 1, co. 3, lett. b), del decreto ministeriale 8 ottobre 2021. Si fa però appello, nella alla circolare, a “flessibilità ed intelligenza”, quali “principali pilastri sui quali ciascuna amministrazione è libera di organizzare la propria attività, mantenendo invariati i servizi resi all’utenza”.
Sfortunatamente, si tratta di flessibilità assai limitata, come ha spiegato, in maniera articolata, Luigi Oliveri: è vero che, in linea teorica, si potrebbe decidere anche di tenere i dipendenti in smart working al 100% per periodi anche lunghi, di qualche mese, ma resta in ogni caso l’esigenza di far sì che, su base annuale, venga globalmente computata, per i dipendenti, la maggior parte del tempo in presenza. E, si chiede Oliveri, “che succede se un dipendente concordi uno smart working di 3 mesi, tra gennaio e marzo, per fronteggiare l’emergenza e, poi, in autunno, vi fosse un’ennesima ondata tale da consigliare altri 3 mesi, per un complessivo 50% e più di lavoro remoto?”.
È evidente che i suggerimenti contenuti nella circolare non possono e non intendono travalicare una contingenza e trascurano necessariamente il lungo periodo, che resta in carico al precedente decreto.
È certamente da registrare che in massima parte, grazie all’ampia copertura vaccinale, la recente ondata epidemica sembra non procurare effetti gravi: restano, nondimeno, da considerare non solo le comprensibili preoccupazioni dei singoli per sé stessi e per i propri cari, ma anche l’effetto moltiplicatore delle possibili quarantene e dell’assenza dal posto di lavoro.
Non si può che condividere l’aspirazione a strutturare in modo intelligente (e, sperabilmente, sufficientemente elastico) l’istituto del lavoro agile e renderlo una leva integrata dell’organizzazione del lavoro pubblico, lasciandoci alle spalle l’esperienza emergenziale dei mesi più duri della pandemia.
Ed è più che corretto ribadire che, in quanto leva organizzativa, lo smart working va utilizzato, secondo le specifiche e peculiari esigenze della singola struttura che decida di adottarlo, nell’ottica di lavorare meglio e con migliori risultati, tenendo sempre a mente le ricadute sui fruitori dei servizi, le cittadine e i cittadini.
Il virus, tuttavia, va per conto proprio e segue strade che non coincidono con il quadro che stiamo dipingendo da mesi. Se lo scopo comune è non solo e non tanto quello di tornare alla normalità, tentando di convivere col Covid usando la formidabile arma dei vaccini, è altrettanto indispensabile mantenere un alto grado di adattabilità per fronteggiare, in modo efficace, la mutevole straordinarietà della situazione.
Sappiamo bene che una PA più moderna ed efficiente è la spina dorsale dell’auspicato successo delle riforme del Piano Nazionale di ripresa e resilienza: in uno scenario in cui il quadro generale evolve con velocità impressionante, non serve ancorarsi a pregiudiziali ideologiche, da parte di nessuno, ma occorre puntare, ad esempio, con sempre maggior decisione, a dotare in fretta le amministrazioni di quelle indispensabili basi tecnologiche ed informatiche all’avanguardia che consentano di integrare efficacemente il lavoro agile nelle proprie culture organizzative e strategie di lungo periodo.
L’alternativa è intrattenersi in dispute di retroguardia che la storia ha da tempo reso obsolete: non possiamo permettercelo.
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