tratto da lavoripubblici.it

Sanatoria edilizia e acquisizione al patrimonio comunale: gli effetti sull’ordine di demolizione

Cosa succede una volta trascorsi i 90 giorni dall’ingiunzione di demolizione? La Corte di Cassazione ricorda le previsioni dell’art. 31 del Testo Unico Edilizia

La sanatoria edilizia intervenuta dopo che siano trascorsi 90 giorni dall’ingiunzione a demolire è illegittima e il responsabile degli abusi edilizi non è nemmeno legittimato a richiedere l’annullamento dell’ordine di demolizione, dato che l’immobile ormai è acquisito al patrimonio comunale.

Sulla scansione procedimentale dell’art. 31 del Testo Unico Edilizia e sulla sussistenza dell’interesse a ricorrere da parte del proprietario/responsabile degli abusi edilizi, è intervenuta nuovamente la Corte di Cassazione con la sentenza del 21 novembre 2023, n. 46702, con la quale ha accolto il ricorso conbtro l’annullamento dell’ordine di demolizione di un manufatto sul quale era stato rilasciato un permesso di costruire in sanatoria olrre i 90 giorni concessi per l’esecuzione della demolizione e quindi quando ormai l’immobile era stato acquisito al patrimonio comunale.

Secondo il procuratore generale, il proprietario non era più legittimato né aveva interesse a sollevare l’ incidente di esecuzione. Il permesso di costruire in sanatoria, successivo all’acquisizione del bene al patrimonio immobiliare del comune, era infatti illegittimo, in quanto emesso a favore di un soggetto che non più titolare del bene.

Una tesi condivisa dagli ermellini che hanno ricordato quanto disposto dall’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) il quale prevede, quale conseguenza della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione, un’automatica fattispecie acquisitiva al patrimonio del comune dell’opera abusiva e della relativa area di sedime.

In particolare i commi 3 e 4 dispongono che:

  • “3. Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”.
  • “4. L’accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al comma 3, previa notifica all’interessato, costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente”.

Secondo consolidata giurisprudenza, l’ingiustificata inottemperanza all’ordine di demolizione dell’opera abusiva e rimessione in pristino dello stato dei luoghi entro novanta giorni dalla notifica dell’ingiunzione a demolire emessa dall’Autorità amministrativa, determina l’automatica acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’opera e dell’area pertinente.

L‘effetto acquisitivo si verifica senza che sia necessaria né la notifica all’interessato dell’accertamento dell’inottemperanza né la trascrizione, in quanto il primo atto ha solo funzione certificativa dell’avvenuto trasferimento del diritto di proprietà, costituendo titolo per l’immissione in possesso, mentre la trascrizione serve a rendere opponibile il trasferimento ai terzi a norma dell’art. 2644 del codice civile.

Sempre secondo consolidata giurisprudenza, il rilascio di concessione o permesso in sanatoria ex art. 36 del Testo Unico Ediilizia, non presuppone, quale atto implicito, la rinuncia da parte del Comune al diritto di proprietà sull’opera abusiva già acquisita al suo patrimonio a seguito del decorso del termine di 90 giorni dalla notifica dell’ordine di demolizione, non essendovi coincidenza, sul piano della competenza, tra l’organo adottante l’atto presupponente (permesso in sanatoria) – ufficio tecnico comunale – e l’organo competente alla adozione dell’atto presupposto implicito (rinuncia al diritto di proprietà), da individuarsi in distinti e superiori organi comunali.

Il permesso di costruire in sanatoria, successivo all’acquisizione al patrimonio immobiliare del comune, è illegittimo, in quanto emesso a favore di un soggetto che non era più titolare del bene, spettando al comune di stabilire se mantenere o demolire l’opera. Tale illegittimità può e deve essere rilevata dal giudice dell’esecuzione, considerato che il sindacato del giudice penale sul titolo abilitativo edilizio non costituisce esercizio del potere di disapplicazione, bensì doverosa verifica dell’integrazione della fattispecie penale.

Se è ben vero che l’ordine di demolizione legittimamente impartito dal giudice con la sentenza di condanna per un reato edilizio è suscettibile di revoca quando esso risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbiano conferito all’immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l’abusività, è altrettanto vero che il giudice dell’esecuzione ha il potere/dovere di verificare la legittimità e l’efficacia del titolo abilitativo, sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio, la corrispondenza di quanto autorizzato alle opere destinate alla demolizione e, qualora trovino applicazione disposizioni introdotte da leggi regionali, la conformità delle stesse ai principi generali fissati dalla legislazione nazionale.

In questo caso, il giudice dell’esecuzione avrebbe pertanto dovuto procedere ad una valutazione della procedura di condono o sanatoria, e, qualora il titolo fosse risultato illegittimo, rigettare l’istanza di revoca. Ciò, a maggior ragione, nel caso in cui, come quello in esame, il permesso a costruire è stato annullato in autotutela e l’immobile è stato acquisito formalmente al patrimonio del comune.

Di conseguenza, non essendo più proprietario del bene, il controinteressato non era legittimato a chiedere la revoca dell’ingiunzione a demolire, in quanto diventato ormai terzo estraneo alle vicende giuridiche dell’immobile.

Per altro, in tema di reati edilizi, dopo l’acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune, qualora il consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento del manufatto, ravvisando l’esistenza di prevalenti interessi pubblici, il condannato può chiedere la revoca dell’ordine di demolizione soltanto per provvedere spontaneamente all’esecuzione di tale provvedimento, essendo privo di interesse ad avanzare richieste diverse, in quanto il procedimento amministrativo sanzionatorio ha ormai come unico esito obbligato la demolizione della costruzione a spese del responsabile dell’abuso.

L’incompatibilità tra l’acquisizione gratuita e l’ordine di demolizione emesso dal giudice con la sentenza di condanna è ravvisabile soltanto se, con delibera consiliare, l’ente locale stabilisce di non demolire l’opera acquisita ai sensi dell’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) il quale prevede che «l’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico» .

Ne consegue che, qualora il Consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento dell’opera, il procedimento sanzionatorio amministrativo (per le opere realizzate in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali) ha come sbocco unico ed obbligato la demolizione a spese del responsabile dell’abuso. La legittimazione attiva, e il correlato interesse ad agire, del proprietario ablato, sono quindi limitati alla richiesta di provvedere a propria cura e spese alla demolizione. Ogni altra richiesta è priva di interesse.

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