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Le principali pronunce e indirizzi della Corte dei Conti-15/30 novembre 2019
di Cristina Montanari – Responsabile dell’Area Finanziaria e Vicesegretario del Comune di Serramazzoni
La Giurisprudenza Consultiva
CONTABILITA’ E CONTROLLI
– Non può essere considerata a controllo pubblico una società nella quale per la modifica dello Statuto e per qualsiasi altra deliberazione dell’assemblea ordinaria e straordinaria è previsto il voto decisivo del socio privato. Non può essere riconosciuta la qualità di società a controllo pubblico ad una società in cui siano esercitabili in assemblea poteri di veto sia dal socio pubblico che dal socio privato. Non può essere qualificata a controllo pubblico una società in presenza di elementi quali: la maggioranza azionaria di un socio privato; la presenza necessaria del voto del socio privato per qualsiasi decisione assembleare in seduta sia ordinaria che straordinaria; la nomina da parte del socio privato della maggioranza degli amministratori; la nomina da parte del socio privato del Consigliere delegato a cui lo statuto assegna ampi poteri gestori.
– La situazione di controllo pubblico non può essere presunta ex lege in presenza di una partecipazione maggioritaria di più p.a., ciascuna delle quali dispone di quote inferiori al 51%, né può essere desunta da comportamenti di fatto, fermo restando che siffatta partecipazione pubblica maggioritaria, unitamente ad altri indizi gravi, precisi e concordanti, può essere valutata come un indizio di partecipazione di controllo, ai sensi dell’art. 2729 c.c. In presenza di partecipazioni pubbliche maggioritarie, in capo ai comuni sussiste l’obbligo di stipulare un patto parasociale ovvero favorire altre forme di aggregazione e coordinamento tra gli enti, finalizzati alla puntuale attuazione delle disposizioni del TUSP, che consentano ai Comuni soci di esercitare il controllo pubblico; la mancata partecipazione a siffatte iniziative di aggregazione e coordinamento funzionali all’esercizio del controllo pubblico, ove ricorrano tutti i presupposti di legge, potrebbe evidenziare un profilo di responsabilità amministrativa, considerato che non si tratta, nel caso di specie, di esercitare liberi diritti privati quali azionisti, ma avere proprie potestà pubbliche che rendono doveroso un comportamento a tutela dei propri poteri pubblici di controllo. Il tema delle conseguenze che potrebbero riconnettersi all’eventualità che gli enti partecipanti non intendessero partecipare alla sottoscrizione di un patto parasociale o ad analoghe iniziative di aggregazione e coordinamento tra enti partecipanti atte ad esercitare il controllo pubblico funzionale all’attuazione delle previsioni del TUSP, dev’essere affrontato avendo presente il carattere precettivo di dette previsioni, la cui applicazione va comunque assicurata dagli enti destinatari al fine di uniformare la gestione delle loro partecipazioni al superiore interesse pubblico che ha ispirato il legislatore del TUSP nella declinazione dei singoli adempimenti prescritti. Al pari di numerose altre disposizioni normative in materia di finanza pubblica, le previsioni del TUSP impattano direttamente sugli esiti della gestione delle partecipate e, di riflesso, sul bilancio consolidato e sull’equilibrio finanziario degli enti. Sotto quest’aspetto, le conseguenze enucleabili a fronte di eventuali inosservanze di tali disposizioni possono collocarsi sullo stesso piano dei comportamenti che violano la generalità delle norme in tema di finanza pubblica e, al pari di questi, concorrere al verificarsi di situazioni che giustificano in particolare l’applicazione delle misure restrittive previste dal TUEL, non esclusa la rilevazione di possibili profili di responsabilità amministrativa, anche di tipo sanzionatorio ai sensi dell’art. 148, commi 1 e 4, dello stesso D.Lgs. n. 267/2000. Eventuali vincoli statutari che “per decisioni di straordinaria amministrazione” prevedano “il consenso del socio privato” sono di ostacolo all’esercizio del controllo pubblico da parte delle amministrazioni partecipanti.
– In linea con quanto già sostenuto sulla latitudine del divieto di assunzione in caso di mancato rispetto dell’allora patto di stabilità interno, va chiarito che: i) il divieto non opera con riferimento a un’assunzione obbligatoria quale quella del Segretario provinciale ex art. 97, comma 1, TUEL; ii) la normativa sanzionatoria in questione non osta a che le funzioni di Direttore generale siano attribuite al Segretario, trattandosi di un conferimento di funzioni a unità di personale in servizio presso l’ente e non di una nuova assunzione di un Direttore generale; iii) ad analoghe conclusioni si giunge con riferimento all’incarico di Presidente del nucleo di valutazione interno (ergo delle performance), organo necessario in base all’art. 7, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 150/2009, per effetto del rinvio ad esso effettuato dall’art. 16 per quanto concerne le autonomie territoriali. Pertanto, anche in relazione all’incarico di presidenza dell’organismo, come a quello di componente esterno non può applicarsi il divieto di assunzione. In relazione alla nomina del Segretario comunale quale Responsabile per la Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (in ossequio alla preferenza espressa in favore di tale soggetto dall’art. 1, comma 7, L. n. 190/2012), si ritiene opportuno esprimere l’avviso sulla difficoltosa conciliabilità della contemporanea intestazione al medesimo segretario, oltre che delle funzioni di Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT), anche di componente del Nucleo di valutazione (o dell’organo diversamente denominato). La necessità di una distinzione fra le due figure emerge, infatti, dal c. 8-bis dello stesso art. 1L. n. 190/2012, che attribuisce all’OIV il compito di verificare che i piani triennali per la prevenzione della corruzione siano coerenti con gli obiettivi stabiliti nei documenti di programmazione strategico-gestionale e che nella misurazione e valutazione delle performance si tenga conto degli obiettivi connessi all’anticorruzione e alla trasparenza, nonché di verificare – in rapporto agli obiettivi inerenti alla prevenzione della corruzione e alla trasparenza – i contenuti della relazione che il RPCT deve trasmettere entro il 15 dicembre di ogni anno allo stesso OIV (e all’organo d’indirizzo dell’amministrazione) sui risultati dell’attività svolta, potendo a tal fine chiedere allo stesso RPCT le informazioni e i documenti necessari per lo svolgimento del controllo. Ne consegue che la coincidenza delle due figure (OIV/struttura con funzioni analoghe e RPCT) farebbe venir meno la necessaria separazione di ruoli in ambito di prevenzione del rischio corruzione prevista dal vigente quadro normativo. Conclusivamente, non può che confermarsi quanto già esposto sulla non operatività del divieto d’assunzione per il mancato rispetto del pareggio di bilancio con riferimento alle nomine dei necessari soggetti esterni previsti nel regolamento dell’ente per assicurare l’obbligatoria e valida costituzione dell’organismo, OIV ex art. 14 o altro, chiamato a svolgere le funzioni di cui all’art. 7, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 150/2009.
– Tralasciando ogni considerazione di diritto in ordine alla possibilità, da parte del Comune, di acquisire, ex art. 4, comma 2, lett. e), D.Lgs. n. 175/2016, una partecipazione in un ulteriore soggetto per lo svolgimento di servizi di committenza, l’Ente non si può sottrarre, in assenza di deroghe previste espressamente dal legislatore, all’obbligo generale di adozione di un piano di razionalizzazione ricorrendo una o più delle fattispecie previste dall’art. 20, comma 2, ivi inclusa la presenza nel proprio portafogli di partecipazioni in società che svolgono attività analoghe tra loro. Come ricordato dalla Sezione delle Autonomie (deliberazione n. 19/2017/INPR), “il processo di razionalizzazione – nella sua formulazione straordinaria e periodica – rappresenta il punto di sintesi di una valutazione complessiva della convenienza dell’ente territoriale a mantenere in essere partecipazioni societarie rispetto ad altre soluzioni”, ribadendo come all’atto ricognitivo possa corrispondere un esito rimesso “alla discrezionalità delle amministrazioni partecipanti, le quali sono tenute a motivare espressamente sulla scelta effettuata (alienazione/razionalizzazione/fusione/mantenimento della partecipazione senza interventi)“. Spetta al Comune, sulla base della normativa vigente e dei principi espressi dalla giurisprudenza, valutare, tra le alternative disponibili previste dall’art. 33D.Lgs. n. 163/2006, quella che assicuri il migliore esercizio del proprio potere di determinazione discrezionale in riferimento alla gestione del processo di acquisizione di lavori, servizi e forniture.
– Il servizio di esumazione e di estumulazione ha natura di servizio pubblico a pagamento a carico di privati (salvo i casi in cui le famiglie siano bisognose o non interessate al destino della salma, e i casi di intervento dell’autorità giudiziaria), ex art. 117 TUEL, in relazione al quale paiono sussistere margini di autonomia nella decisione su come tradurre i costi in tariffe, anche in considerazione dell’assenza di corrispettivo a seguito di gratuità nei casi previsti. Sarà quindi compito dell’Ente, nell’ambito della propria autonomia, valutare come concretamente gestire i servizi cimiteriali, anche nei modi specifici in cui stabilire la tariffazione in relazione ai costi effettivamente sostenuti o da sostenere in prospettiva per le operazioni di esumazione e di estumulazione in modo da assicurarne l’equilibrio economico-finanziario.
– Il quesito posto dal Comune riguarda la definizione del perimetro di applicazione soggettiva dell’art. 14, comma 5, Tusp, con particolare riferimento alle società e ai consorzi. Sull’applicabilità della norma in esame alle società, va richiamato il disposto di cui all’art. 2, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 175/2016, secondo il quale, ai fini dell’applicazione del decreto stesso, per società s’intendono “gli organismi di cui ai titoli V e VI, capo I, del libro V del codice civile, anche aventi come oggetto sociale lo svolgimento di attività consortili, ai sensi dell’art. 2615-ter del codice civile“. Il successivo art. 3 precisa che “le amministrazioni pubbliche possono partecipare esclusivamente a società, anche consortili, costituite in forma di società per azioni o società a responsabilità limitata, anche in forma cooperativa“. Ne deriva che, per espressa previsione legislativa e ferma restando la sussistenza del requisito della partecipazione pubblica, la disposizione in esame è applicabile alle società delle tipologie richiamate dalla citata normativa, ivi comprese le società consortili di cui all’art. 2615-ter c.c. Con riferimento all’applicabilità della norma ai consorzi, il Collegio ritiene pienamente condivisibile il consolidato orientamento della giurisprudenza contabile secondo cui, sebbene il perimetro di diretta applicazione della norma non contempli direttamente i consorzi, ma si riferisca esclusivamente agli organismi partecipati aventi struttura societaria, dal suo tenore emerge un principio generale di “divieto di soccorso finanziario”, fondato su esigenze di tutela dell’economicità gestionale e della concorrenza, estensibile anche ai consorzi, quali realtà operative inserite a tutti gli effetti nel contesto della finanza territoriale. Tale interpretazione, infatti, appare conforme ai principi espressi dalla legislazione ordinaria, volti al rispetto dei criteri di economicità e razionalità nell’utilizzo delle risorse pubbliche, nonché dalla normativa comunitaria, a tutela della concorrenza e del mercato. Ne consegue, in conclusione, che il c.d. divieto di soccorso finanziario “appare espressivo di un vero e proprio principio di ordine pubblico economico, fondato su esigenze di economicità e razionalità nell’utilizzo delle risorse pubbliche e di tutela della concorrenza e del mercato. Tale principio s’impone alle amministrazioni pubbliche prescindendo, a tutela dell’effettività del precetto, dalle forme giuridiche prescelte per la partecipazione in organismi privati che finirebbero, altrimenti, col prestarsi a facile elusione del chiaro dettato normativo” (Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 296/2019/PAR).
– L’utilizzo, da parte dell’Ente, di contratti di godimento in funzione di successiva alienazione di immobili, pur non apparendo precluso all’Ente, nell’ambito della generale capacità di diritto privato ad esso riconosciuta – sia pure nel doveroso rispetto della funzionalizzazione della propria autonomia negoziale alla realizzazione del fine pubblico dallo stesso perseguito – rappresenta una scelta rimessa esclusivamente alla discrezionalità e al prudente apprezzamento dell’Ente, che dovrà considerare le possibili conseguenze di un tale atto gestionale nonché dar conto, nei provvedimenti in concreto adottati, delle finalità d’interesse pubblico e della compatibilità finanziaria dell’operazione.
– I debiti (fuori bilancio) derivanti da una sentenza di condanna al risarcimento dei danni, intervenuta negli esercizi successivi a quelli della dichiarazione di dissesto dell’ente acclarando l’efficienza causale – nella produzione di quei danni – di fatti gestionali verificatisi in epoca anteriore alla stessa dichiarazione, pur ricadendo nella gestione straordinaria dell’OSL (ex art. 5, comma 2 D.L. n. 80/2004) postulano il preventivo riconoscimento dell’Ente ex art. 194 TUEL.
– Il portato innovativo dell’art. 13D.L. n. 52/2012, pur se non di rilevante portata, consiste nell’aver legittimato ex lege, in presenza dei requisiti ivi previsti – cioè di un procedimento di gara interamente svolto su piattaforme informatiche ed attraverso strumenti di acquisto informatici – la non esigibilità dei diritti, diversamente obbligatori, e precedentemente elidibili solo attraverso la responsabile e motivata scelta delle parti di non avvalersi della forma pubblica amministrativa, pur considerate le particolari caratteristiche di affidabilità di tale categoria di atti.
– Le disposizioni contenute nell’O.P.C.M. n. 3803/2009art. 8, comma 2, come modificato dall’O.P.C.M. n. 3817/2009, stabiliscono che “I compensi spettanti agli amministratori di condominio per le prestazioni professionali rese ai sensi delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri emanate per consentire la riparazione o la ricostruzione delle parti comuni degli immobili danneggiati o distrutti dagli eventi sismici del 6 aprile 2009, rientrano tra le spese ammissibili a contributo, nel limite massimo complessivo del 2% della somma ammessa a contributo“. Da una lettura testuale delle disposizioni sopraenunciate, emerge che possano rientrare tra le spese ammesse a contributo solo le prestazioni professionali. I compensi pattuiti da amministratori di condominio non professionisti non possono rientrare, quindi, tra le spese ammissibili a contributo ai sensi della suddetta norma, in quanto le disposizioni che prevedono contributi a carico delle finanze pubbliche, come quella in esame, non consentono un’interpretazione estensiva, ma devono ritenersi di “stretta interpretazione”. In conclusione, dal tenore dell’art. 8 citato, si evince che il suo ambito d’applicazione è circoscritto alle “prestazioni professionali” rese dagli amministratori di condominio. Per completezza, si rileva che l’art. 8, decreto USCR n. 1/2014, punto 6, lett. c), che equipara il compenso spettante all’amministratore di condominio (art. 8O.P.C.M. n. 3803/2009) a quello del rappresentante per le parti comuni, al Presidente di Consorzio ed al Procuratore speciale, fa riferimento solo “alle prestazioni professionali” espressamente previste dall’art. 8, O.P.C.M. citato, al quale rinvia. Circa il regime fiscale dei compensi ammessi a contributo ex art. 8, O.P.C.M. citato, la Sezione rinvia a quanto già espresso con la delibera n. 118/2019/PAR del 27 settembre 2019.
– Il pagamento di un debito fuori bilancio riveniente da una sentenza esecutiva deve, sempre, essere preceduto dall’approvazione da parte del Consiglio dell’ente della relativa deliberazione di riconoscimento.
– L’Ente chiede se sia o meno configurabile un diritto al rimborso delle spese sostenute per garantire il servizio mensa ad un alunno non residente nel proprio territorio comunale. Come noto, il servizio mensa viene qualificato anche dalla più recente normativa (D.Lgs. n. 63/2017artt. 23 e 6; prima ancora si veda il D.M. 31 dicembre 1983 e art. 6, comma 3, D.L. n. 55/1983 e tutt’ora vigente) come servizio pubblico a domanda individuale, in quanto tale rilevante ai fini degli equilibri di bilancio (attese le prescrizioni contenute nel TUELartt. 112117172243251). In un’ottica di fattiva collaborazione, la Sezione ritiene utile segnalare – anche in considerazione della presenza di un vuoto normativo sul punto – come questo tipo di rapporti possa trovare un’idonea regolamentazione, nonché una giusta composizione di interessi, attraverso l’istituto della convenzione, disciplinata dall’art. 30 TUEL.
– Il giudice si esprime sula possibilità di utilizzo degli istituti di cui all’art. 12L. n. 241/1990 al fine, tra l’altro, di dare attuazione alle politiche agevolative a favore delle famiglie, per garantire la sostanziale gratuità dei servizi educativi dell’infanzia forniti dagli istituti presenti sul territorio di propria competenza.
ORGANI DI GOVERNO
– Il giudice dei conti affronta il problema della corretta individuazione della fonte normativa e della misura delle indennità spettanti al sindaco e ai componenti della giunta nei comuni con popolazione inferiore ai tremila abitanti.
– L’uso del mezzo di trasporto personale è ammissibile solo se finalizzato allo svolgimento di funzioni proprie o delegate e ne sia accertata la convenienza economica, ovverosia qualora l’alternativa del trasporto pubblico non sussista o sia di difficile fruizione. Conseguentemente è da escludersi la rimborsabilità delle spese di viaggio sostenute per le presenze in ufficio discrezionalmente rimesse all’amministratore locale, quali quelle occorse in giorni diversi da quelli delle sedute degli organi di rappresentanza, essendo per tali costi già prevista l’indennità di funzione di cui all’art. 82 TUEL. Sussistendo siffatte condizioni di ammissibilità, il rimborso della relativa spesa può essere fissato, con regolamentazione interna dell’ente locale, nel costo di un quinto del costo della benzina per ogni chilometro (art. 77-bis, comma 13, D.L. n. 112/2008). Il legislatore ha tracciato una disciplina rigorosa per quanto attiene alle spese di missione di cui all’art. 84, comma 1, TUEL, le quali – anche dopo la modifica introdotta dall’art. 6, comma 12, D.L. n. 78/2010, che ha escluso un rimborso forfetario – potranno essere reintegrate in quanto siano state effettivamente sostenute nella misura fissata con decreto del Ministro dell’interno, d’intesa con la Conferenza stato-città ed autonomie locali (nel caso di specie il D.M. Interno 4 agosto 2011). Trattasi, va chiarito, di spese legate all’attività politica istituzionale, essenziale ed indefettibile dell’ente pubblico, che rientrano nella competenza del comune (e non di altri enti, quali Stato e Regione, secondo la ripartizione di competenze fissata dall’art. 117 Cost.) e che comportano un indispensabile spostamento dalla sede del comune. Non ricorrendo siffatte condizioni, per le altre tipologie di “missione”, dispone la norma restrittiva di cui all’art. 6, comma 12, D.L. n. 78/2010, che le ha in linea di massima escluse, con talune eccezioni. Per quanto concerne l’ultimo quesito posto dall’ente locale, ossia se le spese di viaggio e di missione degli amministratori locali siano soggette al principio d’invarianza introdotto dalla L. n. 56/2014, soccorre il principio fissato dalla Sezione delle Autonomie con deliberazione n. 35/2016, secondo la quale gli oneri di natura variabile connessi allo status di amministratore, previsti nel Titolo III, parte IV, TUEL (comprese quindi le spese de quibus) sono soggette ad invarianza ai sensi dell’art. 1, comma 136 della stessa normativa, assumendo come parametro di riferimento quello “storico” del complesso delle spese sostenute nell’esercizio precedente a quello dell’entrata in vigore della L. n. 56/2014. Il tetto di spesa complessivo da prendere in considerazione, peraltro, deve escludere le spese per l’indennità di funzione ex art. 82 TUEL che, secondo la stessa sezione delle Autonomie, non è soggetta ad invarianza di spesa.
PERSONALE E PREVIDENZA
– Circa la rimborsabilità delle spese di viaggio di un dipendente di un comune incaricato ex art. 1, comma 557L. n. 311/2004, il Collegio ritiene che possa essere consentito agli enti locali, con un atto di espressione della potestà regolamentare che tuttavia non si presenti elusivo degli intenti perseguiti dal legislatore, di adattare il vincolo imposto dall’art. 6, comma 12, ultimo periodo, D.L. n. 78/2010, considerato che lo stesso concorre a determinare il tetto dei risparmi di spesa che essi devono conseguire ai sensi del comma 12, primo periodo. Pertanto, impregiudicate le superiori esigenze di tutela della finanza pubblica volte ad evitare qualsiasi possibilità di danno erariale, qualora esigenze di funzionamento rendessero gli effetti del richiamato divieto contrari al principio di buon andamento, gli enti locali potrebbero rimodulare, con atto regolamentare, i limiti indicati dall’art. 6, comma 12, ultimo periodo, sempre nel rispetto del tetto di spesa previsto dal primo periodo del medesimo comma 12. La Sezione precisa che, per assicurare la compatibilità del sistema coi principi di risparmio di spesa fissati dal D.L. n. 78/2010, è necessario la previa verifica dell’assenza di idonei mezzi di trasporto pubblico fra gli enti interessati nonché prevedere misure volte a circoscrivere gli spostamenti del personale tra il comune di provenienza e il comune ricevente attraverso una rigorosa pianificazione delle attività e una programmazione delle presenze che riduca al minimo indispensabile gli oneri per il rimborso.
– Il pagamento dell’IRAP dovuta dal Comune sui compensi professionali dei propri avvocati non deve comportare una corrispondente decurtazione della somma finale corrisposta al singolo avvocato a titolo di compenso professionale, con la conseguenza che l’Amministrazione non può operare, sugli importi corrisposti agli avvocati comunali a titolo di compensi professionali, la trattenuta dell’IRAP. Per quanto invece riguarda la copertura degli oneri derivanti dal tributo stesso, in quanto è l’ente pubblico ad essere debitore d’imposta, il medesimo è tenuto a costituire, nel rispetto dell’ordinamento contabile, la provvista necessaria al pagamento della medesima. In particolare, in aderenza alla necessità di garantire adeguata copertura ad una qualunque spesa gravante sulle amministrazioni pubbliche e di rispettare il principio del pareggio di bilancio posto dall’art. 81 Cost., le somme destinate al pagamento dell’IRAP devono trovare preventiva copertura finanziaria in sede di costituzione dei fondi destinati a compensare l’attività dell’avvocatura comunale. Pertanto, ai fini della quantificazione dei fondi per l’incentivazione e per le avvocature interne, vanno accantonate, a fini di copertura, rendendole indisponibili, le somme che gravano sull’ente per oneri fiscali, nella specie, a titolo di Irap. Quantificati i fondi nel modo indicato, i compensi vanno corrisposti al netto, rispettivamente, degli “oneri assicurativi e previdenziali” e degli “oneri riflessi”, che non includono, per le ragioni sopra indicate, l’Irap. Può concludersi nel senso che, mentre sul piano dell’obbligazione giuridica, rimane chiarito che l’Irap grava sull’amministrazione, su un piano strettamente contabile, tenuto conto delle modalità di copertura di “tutti gli oneri”, l’amministrazione non potrà che quantificare le disponibilità destinabili ad avvocati e professionisti, accantonando le risorse necessarie a fronteggiare l’onere Irap, come avviene anche per il pagamento delle altre retribuzioni del personale pubblico (primo blocco delle citate disposizioni). Pertanto, le disposizioni sulla provvista e la copertura degli oneri di personale (tra cui l’Irap) si riflette, in sostanza, sulle disponibilità dei fondi per la progettazione e per l’avvocatura interna ripartibili nei confronti dei dipendenti aventi titolo, da calcolare al netto delle risorse necessarie alla copertura dell’onere Irap gravante sull’amministrazione. La recente sentenza della Corte di Cassazione-sez. lav., n. 21398/2019, conferma appieno questi stessi orientamenti. Infatti, con riferimento al soggetto passivo dell’onere fiscale afferma: “la circostanza che l’ammontare dell’imposta debba essere quantificato assumendo a base di calcolo, ex art. 10 del richiamato D.Lgs. n. 446/1997, le retribuzioni spettanti al personale dipendente ed i compensi corrisposti ai collaboratori autonomi, non incide sulla natura del tributo, che non colpisce il reddito bensì il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate; ciò induce il Collegio a ritenere condivisibile l’orientamento espresso dalla giurisprudenza contabile (Corte dei Conti, Sezioni Riunite in sede di controllo, 7.10.2010 n. 33) secondo cui, in ragione dei presupposti impositivi, l’onere fiscale non può gravare sul lavoratore dipendente e, pertanto, si deve escludere che i commi 207 e 208 dell’art. 1 L. n. 266/2005, nella parte in cui si riferiscono, rispettivamente, agli «oneri assistenziali e previdenziali a carico dell’amministrazione» e, quanto al personale delle avvocature interne degli enti pubblici, agli «oneri riflessi», possano essere interpretati nel senso di ricomprendere anche la maggiore imposta che il datore di lavoro dovrà corrispondere a titolo di maggiorazione IRAP, in ragione del compenso aggiuntivo corrisposto al proprio personale;”. Con riferimento alla questione della copertura degli oneri derivanti dal tributo afferma: “il Collegio, pertanto, condivide e fa proprie le conclusioni alle quali sono già pervenuti i giudici contabili secondo cui, in sede interpretativa, l’art. 1, comma 207della L. n. 266/2005 e l’art. 92D.Lgs. n. 163/2006, che del primo ripete il contenuto, vanno armonizzati con i principi che regolano la costituzione dei fondi, con la conseguenza che le amministrazioni dovranno quantificare le somme che gravano sull’ente a titolo di IRAP, rendendole indisponibili, e successivamente procedere alla ripartizione dell’incentivo, corrispondendo lo stesso ai dipendenti interessati al netto degli oneri assicurativi e previdenziali; in altri termini «le disposizioni sulla provvista e la copertura degli oneri di personale (tra cui l’IRAP) si riflettono in sostanza sulle disponibilità dei fondi per la progettazione e per l’avvocatura interna, ripartibili nei confronti dei dipendenti aventi titolo, da calcolare al netto delle risorse necessarie alla copertura dell’onere IRAP gravante sull’amministrazione» (Corte dei conti n. 33/2010 cit.)“.
– L’indennità sostitutiva del mancato preavviso va computata tra le spese di personale ai fini del rispetto dei relativi vincoli di finanza pubblica, in considerazione della natura retributiva che connota tale emolumento. Il Comune, tuttavia, non può sottrarsi al pagamento della spesa, non derivante da una volontà espansiva della dinamica retributiva, ma causata da un sopravvenuto evento straordinario quale il decesso di un dipendente, e, pertanto, rientra nelle autonome determinazioni dell’Ente provvedere al pagamento dell’indennità in parola secondo modalità esecutive che risultino compatibili con i vincoli di finanza pubblica in tema di spesa del personale, ivi compreso l’utilizzo della quota libera dell’avanzo di amministrazione dell’esercizio precedente, accertato nel rendiconto, ai sensi dell’art. 187 TUEL, trattandosi di spesa corrente a carattere non permanente.
– La Sezione decide, in conformità all’orientamento giurisprudenziale in materia espresso nel parere reso dalla Sezione regionale dell’Emilia-Romagna (delibera n. 52/2019/PAR) secondo cui il termine d’approvazione del bilancio da considerare quale condizione d’applicabilità dell’art. 1, comma 1091L. n. 145/2018 “…è da intendersi il 31/12 dell’anno di riferimento di cui all’art. 163, comma 1, del D.Lgs. n. 267/2000 e non anche il termine differito di cui all’art. 163, comma 3, del D.Lgs. n. 267/2000“.
– Gli incentivi tecnici maturati tra la data d’entrata in vigore del D.Lgs. n. 50/2016 e il giorno anteriore all’entrata in vigore del comma 5-bis, art. 113D.Lgs. n. 50/2016 (1° gennaio 2018), sono da includere nel tetto dei trattamenti accessori ex art. 1, comma 236L. n. 208/2015, successivamente modificato dall’art. 23D.Lgs. n. 75/2017, anche se la provvista dei predetti incentivi sia già stata predeterminata nei quadri economici dei singoli appalti, servizi e forniture.
– Il giudice dei conti si esprime sulla possibilità di conferire un incarico di direttore generale ad un candidato lavoratore autonomo che abbia raggiunto il limite anagrafico contemplato dall’art. 33, comma 3, D.L. n. 223/2006.
– In merito alla trasformazione di contratti di lavoro da tempo parziale a tempo pieno e all’incidenza di tale trasformazione sulle capacità assunzionali dell’Ente, la Sezione ritiene che il Comune dovrà considerare come costo del personale la differenza oraria fra l’originaria prestazione a tempo parziale (al netto dei successivi incrementi orari) e quella che deriva dal nuovo contratto a tempo pieno, differenza che inciderà integralmente sulle facoltà assunzionali dell’Ente.
Gli atti di indirizzo-programmazione e verifica delle Sezioni Regionali
CONTABILITA’ E CONTROLLI
– Tra Corte conti e Ministero per l’innovazione per la trasformazione della PA è stato siglato un protocollo d’intesa “Per la promozione e il monitoraggio della trasformazione digitale della Pubblica amministrazione“. Partendo dalla considerazione che la trasformazione digitale costituisce un’importante leva per aumentare l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa mediante la realizzazione di servizi più semplici e inclusivi per i cittadini, l’incremento della produttività, l’aumento di trasparenza e controlli sulle attività degli enti pubblici e l’uso di dati condivisi per contrastare i fenomeni corruttivi, i due enti hanno delineato un percorso di azioni comuni da promuovere, che ben s’inscrivono nel perimetro delle competenze della magistratura contabile.
– Referto in materia di informatica pubblica.
Le principali sentenze in materia di danno erariale
– Il giudice tratta del danno erariale derivante dai comportamenti illeciti dei cosiddetti “furbetti del cartellino“.
– Il conferimento di incarico dirigenziale ex art. 110, comma 1, D.Lgs. n. 267/2000, a dipendente non laureato, costituisce responsabilità erariale, caratterizzata da colpa grave.

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