tratto da strategieamministrative.it
5 Settembre 2019
Le superfici di suolo pubblico occupate da aree di sosta sono soggette alla Tarsu. Lo ha stabilito l’Ordinanza n. 20768, 1 agosto 2019, della Corte di Cassazione, sezione V.
Nella fattispecie, la Società gestore delle aree destinate a parcheggio a pagamento di un Comune lombardo aveva impugnato l’avviso di accertamento avente ad oggetto il pagamento della Tassa.
La Corte ha osservato che “il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, stabilisce che la tassa è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali e aree scoperte, a qualsiasi uso adibite, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie ad abitazioni. Tale previsione ha carattere generale e subisce solo le deroghe indicate nel comma secondo dello stesso articolo le quali non operano automaticamente al verificarsi delle situazioni previste, ma devono essere di volta in volta dedotte ed accertate con un procedimento amministrativo, la cui conclusione deve essere basata su elementi obiettivi direttamente rilevabili o su idonea documentazione. Presupposto della Tarsu è, dunque, la produzione di rifiuti che può derivare anche dall’occupazione di suolo pubblico per effetto di convenzione con il Comune, produzione alla cui raccolta e smaltimento sono tenuti a contribuire tutti coloro che occupano aree scoperte, come appunto stabilisce il D.Lgs. n. 507 cit., art. 62, comma 1”.
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