La sentenza in commento (TAR Campania, Napoli, 826 del 8.02.2021) ritiene legittime le delibere consiliari di un Comune con cui è stata dichiarata la decadenza di un consigliere comunale ai sensi dell’art. 43, comma 4, del D.Lgs. n. 267/2000, e respinge, pertanto, tutte le giustificazioni formulate dall’amministratore locale.
Il TAR partenopeo ha stabilito in particolare che “l’astensionismo ingiustificato di un consigliere comunale costituisce legittima causa di decadenza sul presupposto del disinteresse e della negligenza che l’amministratore mostra nell’adempiere il proprio mandato, con ciò generando non solo difficoltà di funzionamento dell’organo collegiale cui appartiene ma violando, altresì, l’impegno assunto con il corpo elettorale che lo ha eletto e che ripone in lui la dovuta fiducia politico – amministrativa (T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 638/2011)”.
Si passa poi all’analisi della vicenda.
La protesta politica.
Orbene, per una seduta di consiglio comunale il ricorrente ha giustificato la propria assenza con il dissenso rispetto alla decisione della maggioranza di approvare in Consiglio Comunale un ordine del giorno difforme rispetto a quello indicato nell’atto di convocazione.
Pertanto, il consigliere ha ritenuto, come forma di protesta, di non partecipare alla seduta.
Il TAR Campania sostiene che “non vi sono ragioni per discostarsi dall’orientamento giurisprudenziale (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 743/2017) secondo cui la mera protesta politica, dichiarata a posteriori, non è idonea a costituire valida giustificazione delle assenze dalle sedute consiliari, in quanto, a tale scopo, occorre che il comportamento ed il significato di protesta che il consigliere comunale intende annettervi siano in qualche modo esternati al Consiglio o resi pubblici in concomitanza alla estrema manifestazione di dissenso, di cui la diserzione delle sedute costituisce espressione”.
E’ quindi legittima la decadenza dalla carica di consigliere comunale per assenza ingiustificata, qualora la giustificazione addotta dall’interessato, come nel caso in esame, è relegata alla sfera mentale soggettiva di colui che la adduce, così da impedire qualsiasi accertamento sulla fondatezza, serietà e rilevanza del motivo.
L’astensionismo deve essere preventivamente comunicato e non può essere addotto solo successivamente e su richiesta di giustificazione per la mancata partecipazione ai lavori consiliari.
I problemi familiari.
In riferimento alla mancata partecipazione ad altra seduta il consigliere giustifica la propria assenza con problematiche familiari.
Il giudice precisa, nel caso di specie, che l’impedimento familiare deve essere documentato e ben specificato. Inoltre “non può escludersi che l’adozione di opportune cautele avrebbe consentito all’istante di organizzarsi per raggiungere in tempo il Comune al fine di adempiere gli impegni istituzionali connessi all’esercizio della propria funzione”.
I problemi di salute.
Il Consigliere adduce a giustificazione della sua assenza, in un’altra riunione assembleare, un impedimento di salute, asseritamente comprovato da un certificato.
Interessante la posizione del giudice che segnala come non vi sia “prova che il ricorrente sia iscritto nell’elenco degli assistiti del medico – chirurgo ed odontoiatra che ha rilasciato la certificazione”.
Il certificato medico, sostiene il TAR, è stato redatto nell’esercizio dell’attività libero – professionale del sanitario, alla quale va ricondotta l’attività del medico di base quando agisce al di fuori della funzione “pubblica” che gli è propria (solo in tale ipotesi, infatti, quest’ultimo opera come soggetto terminale del servizio sanitario nazionale).
Difatti, il medico di base non è un pubblico dipendente, ma un libero professionista che svolge l’attività per conto del Servizio Sanitario Nazionale in regime di convenzione e i suoi atti hanno rilevanza pubblicistica solo in quanto compiuti alle condizioni e nei modi previsti dalla convenzione medesima; quest’ultima prevede, com’è noto, che l’attività convenzionata si svolga unicamente nei confronti degli assistiti iscritti nell’apposito elenco.
Diverso è invece il caso delle prestazioni sanitarie rese direttamente dalle strutture delle AA.SS.LL. e dalle Aziende Ospedaliere (servizi di pronto soccorso, ricoveri, etc.), le quali non possono discriminare fra gli utenti in ragione del loro status.
In altri termini, “non si può considerare rilasciato nell’esercizio di pubbliche funzioni un certificato medico redatto in regime di attività libero – professionale dal medico di medicina generale, i cui atti hanno rilevanza pubblicistica solo se previsti dalla convenzione, per la quale l’attività va svolta unicamente nei confronti degli assistiti iscritti nell’apposito elenco” (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4933/2016, n. 2408/2015).
Ne consegue che detto certificato non può costituire valida/comprovante documentazione, stante l’inidoneità della certificazione medica non rilasciata da una struttura pubblica (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, n. 536/2021).
Oltre a tale rilievo, in punto di fatto, dalla pronuncia emerge che il certificato medico non riportava neppure una effettiva e concreta impossibilità per il paziente di raggiungere la sede del Consiglio Comunale per svolgere il proprio incarico istituzionale, né risultava documentato un eventuale rischio di peggioramento delle condizioni di salute.
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