Dal sito lasettimanagiuridica.it un articolo di Vito Antonio Bonanno , Segretario generale del Comune di Alcamo

Da alcuni giorni la stampa da conto delle affermazioni del Ministro della Pubblica Amministrazione di un imminente cambio di rotta sullo smart working finalizzato a porre fine all’esperienza del lavoro agile come modalità ordinaria di organizzazione del lavoro pubblico,  richiamando in ufficio tutti i dipendenti pubblici anche con l’obiettivo di velocizzare i procedimenti e dare maggiore impulso alla crescita del PIL. Ma è vero che il lavoro agile è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa?

In piena pandemia, il Governo anche per limitare la diffusione dei contagi –certamente favorita dallo spostamento giornaliero di milioni di dipendenti pubblici con i mezzi di trasporto pubblico- ha stabilito che il lavoro agile è una delle modalità ordinarie di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni le quali, sulla base delle previsioni dell’art. 87, comma 1, del decreto legge n. 18/2020,  a) “limitano la presenza del personale nei luoghi di lavoro per assicurare esclusivamente le attività che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente tale presenza” e b) “prescindono dagli accordi” previsti dalla normativa ordinaria sul lavoro agile, autorizzando i dipendenti ad utilizzare anche strumenti informatici nella loro disponibilità.  La priorità di tale modalità di erogazione della prestazione lavorativa si desumeva  anche dal comma 3 dell’art. 87 il quale, nei casi in cui non risultava possibile organizzare la prestazione lavorativa in modalità agile, una volta concesse le eventuali ferie pregresse o esaurito il ricorso alla banca delle ore o risultata non percorribile la rotazione, prevedeva che il dipendente  fosse esentato dal lavoro, senza penalizzazioni retributive e contributive.

Tuttavia, già con il decreto-legge n. 34/2020 l’approccio del legislatore all’organizzazione del lavoro pubblico subì un mutamento di prospettiva, in coerenza con la filosofia cui erano ispirati i provvedimenti sulla cd. fase 2. L’art. 263 dispone che le pubbliche amministrazioni “adeguano l’operatività di tutti gli uffici pubblici alle esigenze dei cittadini e delle imprese connesse al graduale riavvio delle attività produttive e commerciale”. La norma, pur non intervenendo sull’art. 87 del d.l. 18/2020, prevede che le amministrazioni organizzano il lavoro puntando sulla flessibilità giornaliera e settimanale e “introducendo modalità di interlocuzione programmata, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza con l’utenza”. Fu la legge n. 77 del 20 luglio 2020, con cui il decreto venne convertito, che introdusse le prime sostanziali modifiche alla disciplina dello smart working emergenziale attraverso una completa riscrittura dell’art. 263. Da un lato, la nuova norma ha disposto che l’organizzazione dell’attività lavorativa e dei servizi pubblici attraverso la flessibilità e forme di interlocuzione programmata con l’utenza per il tramite di strumenti digitali, dovesse avvenire in deroga all’art. 87, comma 1, lett. a) e comma 3 del d.l. 18/2020 e, dall’altro, ha disposto l’abrogazione a decorrere dal 15 settembre 2020  proprio del comma 1, lett. a) dell’art. 87, cioè della norma che aveva disposto che lo smart working fosse la modalità ordinaria di disimpegno dell’attività lavorativa per i pubblici dipendenti.  Infine, l’art. 263 novellato ha disposto che il lavoro agile, nella forma semplificata ( cioè, senza l’accordo individuale tra le parti) venisse applicato al 50% del personale impiegato nelle attività  che possono essere svolte in tale modalità.

Facendo sintesi, dal 15 settembre 2020 lo smart working emergenziale risulta abrogato e, quindi, il lavoro agile non costituisce più la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni, le quali sono chiamate a garantire la celere conclusione dei procedimenti per rispondere alle esigenze di cittadini ed imprese nella fase di riavvio delle attività produttive e commerciali. Lo smart working semplificato resta uno strumento utilizzabile  ma è applicabile esclusivamente al personale addetto ad attività che in concreto possono essere svolte in modalità agile. E’ questa la svolta, forse non valorizzata appieno, che ha chiamato in causa i dirigenti pubblici a tradurre in atti organizzativi e disposizioni datoriali le indicazioni del legislatore. Non a caso il comma 3 dell’art. 263 tuttora in vigore dispone che le amministrazioni “assicurano adeguate forme di aggiornamento professionale alla dirigenza”, prevedendo che l’attuazione delle misure organizzative previste dalla norma “è valutata ai fini della performance”. Il decreto 19 ottobre 2020 della Funzione Pubblica ha dettato norme di dettaglio, indicando il corretto metodo di lavoro per dare attuazione al lavoro agile semplificato, che passa attraverso una completa mappatura dei processi lavorativi per individuare quelli che possono essere svolti anche in modalità agile, senza arrecare ritardi e rallentamenti, e attraverso l’individuazione del personale addetto a tali processi lavorativi, al fine di individuare –anche attraverso forme di rotazione periodica- i dipendenti da porre in smart working rispettando la percentuale minima del 50% di quelli addetti alle attività smartabili o che consentono una interlocuzione a distanza con gli utenti. Ne consegue che, stando al testo di legge, laddove i dirigenti non individuino servizi organizzati in modo da poter essere gestiti da dipendenti posti in lavoro agile, lo smart workingnon poteva ( e non può) essere autorizzato. E laddove esso è autorizzato occorre dare atto che non crea ritardi e rallentamenti nei termini procedimentali o solo nella interlocuzione coi cittadini e le imprese.

Con l’art. 1 del d.l. 56/2021 ( il cui testo è confluito nella legge 17.6.2021, n. 87 di conversione del d.l. 52/2021), l’art. 263 ha subito  ulteriori modifiche:

  1. da un lato è stato abolito il riferimento al 50% del personale addetto alle attività smartabili, per cui il dirigente non è più obbligato –pur in presenza di un’analisi di contesto interno che individua attività da potersvolgere in modalità agile-  ad autorizzare lo smart working ad un contingente minimo di personale;
  2. dall’altro, è stato chiarito che l’autorizzazione allo svolgimento del lavoro agile semplificato può avvenire “ a condizione che l’erogazione dei servizi rivolti ai cittadini e alle imprese avvenga con regolarità, continuità ed efficienza nonché nel rigoroso rispetto dei tempi previsti dalla normativa vigente”.

Tale normativa, in vigore fino alla disciplina in seno ai contratti collettivi dell’istituto del lavoro agile e comunque fino al 31 dicembre 2021 ( data fino alla quale il successivo d.l. 105/2021 ha prorogato lo stato di emergenza connesso alla pandemia), non giustifica inefficienze organizzative, procedurali e temporali connesse all’organizzazione della prestazione lavorativa in modalità agile, in quanto il dirigente non può autorizzare lo smart working se ciò provoca inefficienze e criticità nei rapporti coi cittadini e le imprese e ritardi nei procedimenti. I dirigenti pubblici, insomma, sono il punto di caduta dell’attuale sistema, in quanto sono chiamati ad organizzare gli uffici in modo tale che tutte le attività vengano disimpegnate con “regolarità, continuità ed efficienza”. Lo smart working in questa fase non è un diritto del dipendente, ma uno strumento del dirigente da utilizzare –insieme ad altri istituti- sulla base della situazione e del contesto organizzativo, e non più come strumento prioritario di contrasto alla diffusione del virus. A tale fine, invece, le pubbliche amministrazioni debbono fare riferimento alle disposizioni degli artt. 5, comma 1, lett. f) e 6, commi 2, 3, e 4 del DPCM 2 marzo 2021, la cui efficacia è stata prorogata fino al 31.12.2021 dall’art. 12 del d.l. 105/2021, in corso di conversione.

Se questo è il quadro normativo vigente, non si comprende quale sia l’obiettivo della campagna di comunicazione del Ministro per “il rientro immediato in ufficio” dei dipendenti pubblici; bisognerebbe prima verificare la situazione concreta delle varie pubbliche amministrazioni e, in caso di accertate situazioni di smart working massivo ed emergenziale,   indagare sulle responsabilità dei dirigenti  ovvero degli organi di indirizzo politico che, violando il comma 3 dell’art. 263 del d.l. 34/2020, non hanno fornito le risorse per la formazione obbligatoria in tale materia ovvero hanno valutato positivamente la performance dirigenziale pur nell’accertata violazione delle norme sul lavoro agile. Ma, ovviamente, è più facile scatenare una campagna di odio contro gli imboscati; senza sapere se essi davvero esistono e, in caso positivo, senza sapere perché.

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