02/01/2016 – Dirigenza pubblica a rischio caos

Dirigenza pubblica a rischio caos

 
31.12.15
 
 

La legge delega di riforma della pubblica amministrazione rischia di gettare nel caos la dirigenza pubblica. Senza correttivi, potrebbe dar luogo a una precarizzazione permanente dei dirigenti con conseguenze pericolose per l’imparzialità dell’azione amministrativa. La questione della valutazione.

Fine del diritto all’incarico

Nella legge delega n. 124 del 2015 di riforma della pubblica amministrazione approvata lo scorso agosto è centrale la questione del conferimento dell’incarico dirigenziale nel quadro del funzionamento del nuovo ruolo unico, ovvero quel contenitore in cui far confluire tutti i dirigenti pubblici, oggi confinati nei ruoli delle amministrazioni di appartenenza, così da realizzare un mercato competitivo e favorire la mobilità delle professionalità su basi meritocratiche, secondo il principio per il quale la persona giusta vada al posto giusto.

La concreta applicazione dei principi presenta, tuttavia, fortissime criticità. Occorre partire, infatti, da un elemento dirimente: la riforma cancella il diritto all’incarico per il dirigente, prima previsto dal contratto collettivo nazionale. Allo scadere del contratto individuale legato a una determinata funzione, quindi, il datore di lavoro pubblico non sarà più obbligato ad affidare un ufficio al dirigente. Anche oggi, alla normale scadenza dell’incarico, esperita la prevista procedura comparativa dei candidati, può non seguire l’assegnazione desiderata. Tuttavia, l’amministrazione ha il dovere di collocare il dirigente in una posizione disponibile. D’ora in poi, eliminato il diritto all’incarico, si potrà restare senza assegnazione e, automaticamente, si avvierà la procedura che potrà condurre al licenziamento.

Si tratta, in altre parole, di una sorta di gioco della sedia: al fischio finale chi resta in piedi rischia di venire eliminato. Occorre ricordare, peraltro, che nel concreto si dà vita a tre ruoli “unificati e coordinati” per i dirigenti dello Stato, delle regioni e degli enti locali, e che è prevista la “piena mobilità” fra i ruoli: ciò significa che, nel caso di disponibilità di una qualsiasi posizione, potrebbe pervenire un numero altissimo di domande dalle più svariate amministrazioni. Se a questo si aggiunge l’obbligatorietà della rotazione dei dirigenti voluta dalla legge anti-corruzione, ci si troverà di fronte a una sorta di girandola in cui non solo è illusoria ogni valutazione seria ai fini dell’affidamento, ma che rischia di dar vita a una gara permanente fra precari (seppur vincitori di concorso pubblico) in cui tutti cercano di accaparrarsi un posto. A qualsiasi costo, per evitare un possibile licenziamento.

E se non può che essere essenziale il tema della valutazione del dirigente ai fini della sua carriera, non si comprende il riferimento della legge alla decadenza dal ruolo a seguito di un periodo di collocamento in disponibilità “successivo a valutazione negativa”: quest’ultima è causa del mancato incarico e, quindi, del collocamento in disponibilità? E come si lega ai numerosi casi di responsabilità dirigenziale già previsti dalla legge? E, ancora, si tratta di valutazione una tantum, che potrebbe rappresentare una formidabile arma di pressione rispetto al dirigente, o di uno strumento articolato su una necessaria gradualità? Il quadro, da questo punto di vista, si presta a interpretazioni assai diverse, con profili di dubbia costituzionalità, su cui il prossimo decreto legislativo dovrà far chiarezza.

In un simile contesto, peraltro, desta perplessità la previsione della eventuale revisione delle percentuali per i dirigenti cooptati dalla politica “in modo sostenibile per le amministrazioni non statali”. Traduzione: l’innalzamento sino al 30 per cento, previsto dal decreto legge n. 90 del 2014, potrà essere ulteriormente rivisto al rialzo per gli enti locali. Avanti, c’è posto, si direbbe.

Conseguenze della precarizzazione

Il rischio è quello di dar vita a un meccanismo a espulsione in base al quale per un dirigente di ruolo, vincitore di concorso pubblico, non ottenere un incarico porta all’uscita dal ruolo e al licenziamento. Senza gli indispensabili correttivi in sede di decreto delegato, ad esempio introducendo forme di contenimento alla permeabilità fra i ruoli e rafforzando le opportunità di conferimento dell’incarico legate a un meccanismo di valutazione articolato, il risultato sarà una pericolosa precarizzazione della dirigenza, ponendo fine a ogni velleità di costruzione di un esprit de corps amministrativo. Due le possibili, gravi conseguenze: la fidelizzazione del dirigente al nominante (politico o alto burocrate poco importa), così da assicurarsi un nuovo incarico; e un colpo mortale all’imparzialità dell’azione amministrativa, in cui ogni autonomia potrebbe essere subordinata alla conservazione della sedia.

La fondamentale caratteristica di ogni organizzazione pubblica è quella di saper tutelare gli interessi di tutti: se viene intaccato questo fondamentale principio, si apriranno scenari imprevedibili, a tutto danno dei cittadini.

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