Secondo un pacifico indirizzo giurisprudenziale, «(…) l’istanza di accesso a documenti amministrativi deve riferirsi a ben specifici documenti e non può comportare la necessità di un’attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta e che, inoltre, l’ostensione degli atti non può costituire uno strumento di controllo generalizzato sull’operato della pubblica amministrazione nei cui confronti l’accesso viene esercitato, con la conseguenza che l’onere della prova anche dell’esistenza dei documenti, rispetto ai quali si esercita il diritto di accesso, incombe sulla parte che agisce in giudizio, tuttavia una volta indicati puntualmente per categoria i documenti rispetto ai quali è formulata la domanda ostensiva e aver dimostrato che detti documenti, in virtù di obiettive ragioni collegate alle competenze dell’amministrazione, costituiscono ordinariamente patrimonio dell’archivio dell’ente (anche con riferimento ad uno specifico procedimento), l’onere della prova può dirsi assolto dalla parte interessato, incombendo in capo all’amministrazione il dovere (in ragione del principio di leale collaborazione tra l’amministrazione e il privato ora scolpito nell’art. 1, comma 2-bis, l. 241/1990, evidente precipitato del principio costituzionale di cui all’art. 97 Cost.) di assumersi la responsabilità di dichiarare la mancata detenzione o custodia dei documenti richiesti (onde evitare che la richiesta di accesso sia formulata inutilmente e “al buio” da parte dell’accedente, non potendo quest’ultimo, per espresso divieto recato dall’art. 24, comma 3, l. 241/1990, formulare una richiesta meramente perlustrativa e di controllo)»; così Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza n. 2005/2021
Tar Lombardia, sez. IV, sentenza n. 2016 del 24 settembre 2021
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