29/09/2016 – Con la riforma della dirigenza pubblica i Comuni pagheranno il doppio

Con la riforma della dirigenza pubblica i Comuni pagheranno il doppio

Pubblicato: 28/09/2016 16:10 CEST Aggiornato: 28/09/2016 
 

Prendi uno e paghi due. Banalizzo, ma sarà così nel futuro “mercato della dirigenza” pubblica italiana. Alle amministrazioni, quindi anche ai Comuni, sarà consentito fare un concorso per acquisire il dirigente più consono alle funzioni da ricoprire, se il dirigente in carica non avrà raggiunto gli obiettivi posti al suo incarico, o se avrà raggiunto il limite massimo di anni di incarico presso l’amministrazione. Peccato che toccherà al Comune pagare anche il dirigente “in uscita”, finché questi non avrà trovato un nuovo incarico. Si paga il doppio! Modello sostenibile, forse, per le grandi amministrazioni centrali dello Stato, non per gli Enti locali, con bilanci “magri” per natura e quasi esangui dopo la cura dimagrante dei tagli di spesa imposti da Monti, Letta e Renzi.

È uno dei casi che emergono dall’analisi dello schema di decreto legislativo sulla disciplina della dirigenza pubblica analizzato in questi giorni dall’associazione nazionale Comuni d’Italia e opportunamente criticato dai sindaci del direttivo nazionale riunitisi a Roma per la valutazione del provvedimento. Un bell’esempio di valutazione tecnica, non condizionata dalla politica.

Ancora una volta, anche in questo aspetto non irrilevante della riforma Madia, emerge un “tic” da Stato centrale e centralizzatore, che non avremmo voluto vedere mai, tanto meno in un governo che ha come premier un “ex sindaco” che aveva detto di voler essere il “sindaco d’Italia”.

La riforma della dirigenza pubblica si pone obiettivi sacrosanti, peccato che dimentica la reale organizzazione della pubblica amministrazione, che non è tutta fotocopia dei ministeri e dei grandi istituti o agenzie basati a Roma. L’amministrazione locale è trascurata, per versi tradita, nel suo ruolo fondamentale e sussidiario. Dalla lettura dello schema di decreto emerge una “forte centralizzazione della gestione della dirigenza” che non tiene in debito conto la specificità del comparto locale (“enti di diversa tipologia, complessità organizzativa e dimensione in termini di numeri di personale) e la necessità di garantire l’autonomia politica e organizzativa degli enti locali.

La logica che sembra guidare la riforma, come detto, è condivisibile nelle sue finalità astratte: la tutela dell’autonomia dei sindaci nella individuazione delle figure dirigenziali e la rimozione degli ostacoli alla mobilità del personale dirigenziale tra le pubbliche amministrazioni, in modo da consentire ai più meritevoli di ambire alle posizioni di maggior rilievo. Purtroppo però il decreto nella sua concreta esplicazione vanifica quelle finalità esaltando, ancora una volta, la logica del controllo centralistico della spesa. E con ciò il ministro Madia sembra dimenticare che proprio l’amministrazione centrale è difettosa in questo punto – i tagli sono stati fatti ed eseguiti solo a scapito dei Comuni – e trascura un altro obiettivo che la pubblica amministrazione dovrebbe darsi: produttività ed efficacia dell’azione, senza le quali sarà il cittadino a subire le conseguenze di disservizi e cattive gestioni pubbliche. Ma questo sembra trascurabile per chi a volte predispone norme e riforme. Quali sono i fabbisogni di dirigenza locale? Lo stabiliscono la funzione pubblica, a Roma, e laragioneria generale dello Stato, a Roma, ovviamente.

Un’ultima nota, tra le tante possibili dalla lettura della proposta di decreto contro cui l’Anci darà battaglia, riguarda la commissione per la dirigenza locale. Anche l’organo previsto per la gestione delle migliaia di posizioni dirigenziali territoriali è previsto, nella sua composizione, nell’assoluto controllo “centrale”: cinque dei sette componenti sono previsti dalla norma legislativa. Tra questi cinque c’è l’incredibile presenza del Segretario generale del ministero degli Affari Esteri, che poco avrebbe a che fare con gli enti locali, credo. E il presidente della Crui, la conferenza dei rettori italiani, che raramente è docente di materie amministrative e ancora più raramente è tenuto a conoscere l’organizzazione degli enti locali italiani.

Di centralismo esasperato può morire il paese, e certamente possono esasperarsi i cittadini.

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