Tratto da: Lavori Pubblici
Quali relazioni sussistono tra classificazione acustica e destinazioni urbanistiche? La vicinanza con aree residenziali giustifica limiti più stringenti? E come si valutano le scelte comunali?
Nella gestione del territorio, il principio di coerenza tra zonizzazione urbanistica e classificazione acustica è uno dei temi più delicati per i tecnici e le amministrazioni. Quando un’area ha destinazione industriale ma confina con zone residenziali, può davvero essere riclassificata in una classe acustica meno rumorosa? A rispondere è il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5529 del 25 giugno 2025.
Il contenzioso nasce dall’approvazione del Piano di Classificazione Acustica del Comune, che ha attribuito alla zona in cui insisteva lo stabilimento dell’appellante la classe V – aree prevalentemente industriali, anziché la classe VI, solitamente riservata a insediamenti esclusivamente produttivi.
Secondo la società ricorrente, in assenza di una precedente classificazione comunale, l’area – da sempre a vocazione industriale – doveva essere ricondotta, ai sensi del D.P.C.M. 1 marzo 1991 e dell’art. 15 della legge n. 447/1995, alla classe VI, con limiti acustici di 70 dBA sia di giorno che di notte e con esclusione dell’obbligo di rispettare il criterio differenziale.
Il Comune, tuttavia, aveva adottato nel 2018 una variante generale al P.R.G., riclassificando le aree della società come zona “Ta1” per attività produttive e, per un’altra porzione, come “aree soggette a disciplina attuativa pregressa”. Parallelamente, era stata approvata la proposta preliminare del Piano Acustico, che prevedeva:
- classe IV per lo stabilimento produttivo;
- classe V per il fabbricato attiguo e le relative pertinenze.
La società ha presentato osservazioni chiedendo la classificazione in classe VI, ma il Comune le ha accolte solo parzialmente, mantenendo la classe V. Da qui il ricorso al TAR contro l’adozione del piano acustico, articolato in due motivi.
Il TAR, con sentenza n. 817/2022:
- ha dichiarato inammissibile il ricorso nella parte riferita alla variante urbanistica, per difetto di motivi specifici;
- ha respinto le censure relative al piano acustico;
- ha condannato la ricorrente alle spese.
La società ha quindi impugnato la decisione con tre motivi di appello, mentre il Comune si è costituito in giudizio eccependo l’inammissibilità del gravame.
Il primo motivo di appello si fonda sull’asserita incoerenza tra la classificazione acustica adottata dal Comune e la reale destinazione urbanistica dell’area interessata. Secondo la società, il giudice di primo grado avrebbe travisato il contenuto delle norme tecniche di attuazione (NTA) del PRG, omettendo di considerare lo stato effettivo dei luoghi e il fatto che la zona fosse priva di insediamenti abitativi.
L’appellante ha evidenziato come l’area sia da sempre a vocazione esclusivamente industriale e che l’inserimento nella classe V (aree prevalentemente industriali) avrebbe comportato un’ingiustificata penalizzazione, anche per effetto del cosiddetto “salto di classe” rispetto alle zone circostanti. Inoltre, la nuova classificazione acustica avrebbe inciso negativamente sulla possibilità di prosecuzione dell’attività produttiva, in violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.
Il Consiglio di Stato ha accolto la censura, ribadendo che la zonizzazione acustica – ai sensi della legge n. 447/1995 e del d.P.C.M. 14 novembre 1997 – deve basarsi sulla coerenza tra destinazione urbanistica e caratteristiche acustiche dell’area, tenendo conto sia della pianificazione vigente sia della realtà insediativa.
Nel caso di specie, l’area ricadeva nella sottozona “Ta1 – Tessuti prevalentemente per attività produttive”, definita dalle NTA come porzione di insediamenti industriali o artigianali con caratteri funzionali integri e senza residenze ammesse. Il TAR aveva ritenuto che la dizione “prevalentemente” potesse giustificare una classe acustica meno permissiva (classe V), ma il Consiglio ha chiarito che la formulazione normativa e tabellare esclude ogni uso abitativo. In tal senso, la classe VI – aree esclusivamente industriali risulta la più congruente.
Non solo: dalle osservazioni comunali non emergeva alcuna presenza significativa di edifici residenziali. Le aree limitrofe risultavano anch’esse occupate da attività produttive, commerciali o agricole.
Il Consiglio ha quindi annullato il provvedimento comunale di approvazione del Piano di Classificazione Acustica nella parte riguardante la zona oggetto di appello, invitando l’Amministrazione a rivalutare l’intera configurazione anche rispetto alle aree circostanti. I restanti motivi di appello sono stati dichiarati assorbiti.
Il principio guida è contenuto nel D.P.C.M. 14 novembre 1997, che disciplina i criteri per la classificazione acustica del territorio comunale. La norma prevede una suddivisione in sei classi, da I (aree particolarmente protette) a VI (aree esclusivamente industriali).
In parallelo, le destinazioni urbanistiche sono individuate negli strumenti urbanistici generali, secondo quanto previsto:
- dalla legge urbanistica n. 1150/1942 e s.m.i. (come modificata dalla legge n. 765/1967),
- dal D.M. 1444/1968 per la definizione delle zone omogenee,
- e, più in generale, dai principi di buon andamento e proporzionalità sanciti dalla legge n. 241/1990.
Il confronto tra zonizzazione acustica e urbanistica deve quindi avvenire nel rispetto del principio di coerenza funzionale tra strumenti di pianificazione.