Tratto da: Lavori Pubblici
Quali sono i confini dell’autotutela edilizia? In quali casi la perdita della “visuale panoramica” può legittimare un ricorso? E come si calcola correttamente l’altezza degli edifici su terreni non pianeggianti?
Sono queste le domande a cui ha risposto il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5423 del 23 giugno 2025, che fornisce un’importante chiave interpretativa sui limiti all’autotutela in presenza di SCIA edilizia, sui presupposti per agire in giudizio per lesione della vista panoramica e sulla corretta determinazione dell’altezza degli edifici rispetto al piano di campagna.
Il caso prende avvio da una denuncia avverso un intervento edilizio autorizzato mediante SCIA con la quale si è proceduto con il recupero di un sottotetto, benché la sopraelevazione non sarebbe stata possibile in base al regime urbanistico di zona.
Tali rilievi venivano formalizzati con un esposto con il quale veniva chiesta la verifica della regolarità dei lavori in questione, riscontrato formalmente dal Comune con una nota esplicativa delle ragioni della ritenuta regolarità delle opere e della conseguente non necessità di andare a rivedere gli effetti delle S.C.I.A.
A questo punto il vicino proponeva ricorso per annullare tale nota, lamentando la compromissione della propria vista panoramica e l’inerzia dell’Amministrazione.
Il Consiglio di Stato ha riconosciuto che la perdita di una “visuale panoramica”, pur non tutelata direttamente, può costituire fonte di interesse legittimo ad agire, purché si tratti di una visuale effettiva, preesistente, qualificata e oggettivamente apprezzabile, e non di un generico apprezzamento estetico soggettivo.
Non si tratta quindi di un’estensione del diritto dominicale, bensì dell’emersione di un interesse legittimo parallelo al diritto di proprietà, fondato sul pregiudizio subìto in termini di fruibilità e valore economico dell’immobile.
Relativamente alla SCIA edilizia, il Consiglio di Stato ha confermato che non si tratta di un provvedimento amministrativo, ma una dichiarazione del privato che abilita all’esercizio immediato dell’attività, fatta salva la possibilità per l’amministrazione di intervenire entro i termini stabiliti dalla legge.
Nel caso di specie, la denuncia non è sufficiente a riattivare il potere di controllo “sine die”. Secondo i giudici di Palazzo Spada, l’Amministrazione non può effettuare verifiche oltre i termini di legge previsti dall’art. 19 della Legge n. 241/1990, a meno che l’intervento denunciato non risulti in realtà estraneo al perimetro applicativo della SCIA, configurandosi quindi come privo di qualsiasi titolo edilizio e ricadente, quindi, nella disciplina dell’abuso edilizio in senso proprio. In tal caso, il potere sanzionatorio è sempre esercitabile.
Viene chiarito, infatti, che l’autotutela esercitabile in caso di SCIA non è quella ordinaria ex art. 21-nonies, ma quella prevista dal comma 4 dell’art. 19 della stessa legge, che ha natura doverosa, non discrezionale, e si configura come procedimento di primo grado e non di secondo.
La nota con cui il Comune ha comunicato l’assenza dei presupposti per annullare l’intervento edilizio non costituisce un provvedimento amministrativo: è una comunicazione priva di efficacia lesiva, meramente esplicativa e priva di istruttoria. In quanto tale, non è impugnabile, perché non incide su posizioni giuridiche soggettive.
Sul tema dell’altezza dell’edificio, il Consiglio conferma il principio secondo cui il riferimento corretto resta il piano di campagna originario, e non quello modificato. L’eventuale cambio di destinazione del piano seminterrato (es. da cantina ad abitazione) non incide sul piano di campagna, a meno che l’intervento non modifichi fisicamente le quote altimetriche esterne.
Viene, inoltre, ribadito che l’altezza edilizia può essere distinta tra:
- altezza “urbanisticamente rilevante”, misurata dal piano di campagna fino alla copertura;
- altezza “strutturale complessiva”, che tiene conto di tutti i livelli interni, anche sfalsati.
Il contesto giuridico in cui si inserisce la decisione del Consiglio di Stato è articolato e coinvolge diversi riferimenti normativi fondamentali. In primo luogo, l’art. 19 della Legge n. 241/1990 disciplina la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA), chiarendo i poteri di controllo attribuiti all’Amministrazione e fissando termini precisi entro i quali tali controlli possono essere legittimamente esercitati, nonché le condizioni che consentono un eventuale annullamento dell’intervento.
A differenza di quanto previsto per i provvedimenti amministrativi veri e propri, il potere di autotutela nel caso di SCIA non segue la disciplina generale dell’art. 21-nonies della stessa legge, che regola l’annullamento d’ufficio degli atti illegittimi. In ambito edilizio, infatti, l’autotutela si configura in modo peculiare, con un regime autonomo e più rigoroso sul piano temporale e procedurale.
Il Testo Unico dell’Edilizia (d.P.R. n. 380/2001) fornisce invece il riferimento per la disciplina urbanistica ed edilizia, inclusi i criteri tecnici per il calcolo delle altezze degli edifici, con particolare riguardo al parametro del piano di campagna originario.
Infine, la giurisprudenza amministrativa — in particolare quella del Consiglio di Stato — ha consolidato principi rilevanti sia sulla tutela della cosiddetta “visuale pregiata”, sia sulla distinzione tra provvedimenti veri e propri e meri atti comunicativi, chiarendo quando sia effettivamente possibile promuovere un ricorso e quando, invece, si è in presenza di atti non impugnabili.
L’elemento centrale della decisione è rappresentato dalla qualificazione della nota comunale come “atto di cortesia”. In un contesto sempre più sensibile al rispetto dei termini procedimentali e alla certezza dei titoli edilizi, il Consiglio di Stato rafforza il principio di non impugnabilità di atti che non incidono su situazioni giuridiche soggettive. Un semplice riscontro informale dell’Amministrazione, privo di effetti dispositivi, non può essere oggetto di contenzioso.
In secondo luogo, viene ribadito un limite sostanziale all’esercizio tardivo del potere di vigilanza edilizia, che può legittimamente esplicarsi solo quando si riscontri l’assenza totale di titolo e non per reinterpretazioni soggettive del contenuto di una SCIA già consolidata.
Il passaggio sulla “visuale panoramica” segna una novità rilevante: si riconosce l’esistenza di un interesse legittimo distinto dal diritto di proprietà, purché ancorato a un pregiudizio reale, dimostrabile e non meramente soggettivo. È un’evoluzione coerente con l’orientamento che valorizza la dimensione funzionale della proprietà, anche in chiave economico-ambientale.
Infine, sul fronte tecnico, la sentenza chiarisce in modo inequivoco che l’altezza edilizia si computa dal piano di campagna originario e che eventuali cambi di destinazione interni non giustificano deroghe, a meno di interventi morfologici espliciti.
Una lettura utile per tecnici, professionisti e amministrazioni che si confrontano quotidianamente con l’applicazione concreta della SCIA in contesti urbanisticamente sensibili.