L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 29167 affronta un tema di rilevante: la natura e l’estensione della responsabilità del Direttore dei Lavori (D.L.) in caso di vizi e difetti esecutivi dell’opera. Il contenzioso origina da un contratto di appalto per la costruzione di una villetta unifamiliare.
Il caso
L’origine della controversia risiede nella costruzione di un edificio che, a pochi anni dalla consegna, presentava gravi difetti strutturali e di finitura — infiltrazioni, crepe e distacchi d’intonaco — riconducibili a carenze esecutive e a difetti nei materiali. Il committente ha citato in giudizio sia l’impresa esecutrice sia il direttore dei lavori, ritenendo che la vigilanza in cantiere fosse stata solo formale e priva di effettiva incidenza preventiva.
Il giudice di merito ha riconosciuto la corresponsabilità tra impresa e direttore dei lavori, sottolineando come quest’ultimo non avesse dimostrato di aver esercitato un controllo tecnico continuativo né di aver segnalato le anomalie riscontrabili. La condotta omissiva è stata qualificata come violazione della diligenza professionale qualificata, con conseguente condanna solidale.
In primo grado, il Tribunale di Pavia, pur rigettando le domande risarcitorie del committente nei confronti della D.L. per i vizi lamentati, aveva riconosciuto la sua responsabilità unicamente per non aver predisposto la documentazione necessaria alla regolarizzazione e all’abitabilità dell’unità abitativa. La Corte d’Appello di Milano, accogliendo l’appello principale del committente, aveva invece esteso la responsabilità della D.L., ritenendo che i numerosi vizi emersi e la sua prolungata assenza (stimata in circa nove mesi) costituissero fondamento dell’inadempimento delle sue obbligazioni qualificanti ed essenziali. La D.L. ha proposto ricorso in Cassazione avverso tale pronuncia.
Le posizioni di garanzia e le violazioni contestate
La Corte di Cassazione, confermando le decisioni di merito, ribadisce che la direzione lavori costituisce un’obbligazione di mezzi, ma che l’attività del professionista deve essere tecnicamente idonea a garantire il risultato atteso dal committente.
La diligenza qualificata come criterio di imputazione della colpa
La Cassazione riafferma che la culpa in vigilando del direttore dei lavori sussiste ogniqualvolta non venga esercitato un controllo effettivo e proporzionato all’incarico. Non è sufficiente sostenere l’estraneità alle cause del danno: il professionista deve provare di aver adottato comportamenti attivi, documentati e coerenti con le regole tecniche della professione.
In particolare, la diligenza qualificata richiede:
- sopralluoghi periodici, documentati nei registri di cantiere;
- coordinamento operativo con impresa, progettisti e figure della sicurezza;
- tracciabilità delle segnalazioni e delle istruzioni impartite;
- verifica della qualità dei materiali e dei dettagli costruttivi.
La “latitanza” quale prova presuntiva dell’inadempimento
La pronuncia dedica rilievo anche alla latitanza documentale e materiale della direttrice dei lavori calcolata in almeno 9 mesi, latitanza che genera un “eloquente vuoto probatorio” sulla prova dell’adempimento delle obbligazioni essenziali di vigilanza e alta sorveglianza e giustifica la responsabilità solidale.
La circostanza della prolungata inattività in cantiere e l’assenza di tracce documentali di controlli, istruzioni operative, contestazioni tempestive o verbali intermedi costituiscono per la Corte elementi decisivi per affermare la culpa in vigilando.

