Tratta da: Lavori Pubblici  

Quali effetti ha un errore catastale su un ordine di demolizione? È possibile far valere l’istanza di sanatoria precedente all’ordine di demolizione e “non ancora decisa”? Il decorso del tempo tra la realizzazione dell’abuso edilizio e l’ordine di demolizione può generare una qualsiasi forma di legittima aspettativa sulla liceità dell’intervento tale da richiedere da parte del Comune un’adeguata e puntuale motivazione?

 

Ha risposto a queste domande il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana che, con la sentenza n. 492 del 20 giugno 2025, è intervenuto su un tema molto dibattuto nella prassi edilizia: la validità di un’ordinanza di demolizione contenente un’errata indicazione dei dati catastali, se intervenuta a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso e se emessa in pendenza di una “presunta” istanza di sanatoria non ancora evasa dalla pubblica amministrazione.

La vicenda nasce da un’ordinanza comunale che disponeva la demolizione di un fabbricato abusivo realizzato in zona a vincolo paesaggistico. Il manufatto, descritto come un edificio su due livelli in cemento armato, era stato costruito senza titolo abilitativo.

In primo grado, il destinatario ha contestato il provvedimento demolitorio deducendo:

  • l’esistenza di una domanda di sanatoria;
  • l’illegittimità del provvedimento per carenza di motivazione.

Motivazioni respinte dal TAR che hanno successivamente condotto al ricorso al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sulla base delle stesse motivazioni e, in più, sull’erroneità dei dati catastali dell’immobile contenuti nell’ordine di demolizione.

Preliminarmente il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ha dichiarato la parziale inammissibilità del motivo relativo agli errori catastali nell’ordine di demolizione. Questo motivo, infatti, non era stato sollevato col ricorso in primo grado per cui non era ammissibile in appello.

Ciò premesso, tale motivazione è stata considerata infondata atteso che in materia di ordini di demolizione di opere abusive, l’erronea indicazione dei dati catastali relativi all’immobile oggetto del provvedimento costituisce una mera irregolarità formale che non inficia la validità dell’atto, qualora lo stesso contenga una dettagliata descrizione delle opere per le quali si ingiunge la demolizione tale da consentirne l’esatta individuazione ai fini dell’esecuzione dei lavori di ripristino; infatti, eventuali rettifiche delle indicazioni catastali potranno essere valutate nella successiva fase di acquisizione delle aree in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione.

Nel caso di specie, il Comune ha indicato i riferimenti catastali del terreno e non i nuovi dati dell’immobile a seguito dell’accatastamento, ma ha descritto analiticamente le opere abusive ordinandone la demolizione.

Di fatto, il vizio catastale è stato qualificato come mera irregolarità formale, non idonea a inficiare la validità dell’ordinanza, purché l’opera abusiva sia individuabile sulla base della descrizione contenuta nel provvedimento.

Con riferimento alla presunta istanza di sanatoria presentata prima dell’emissione dell’ordine di demolizione, è necessario chiarire un principio operativo ormai consolidato:

  • se l’ordinanza viene adottata in pendenza di un’istanza non ancora decisa, il provvedimento è illegittimo per violazione del principio di leale cooperazione procedimentale;
  • se, invece, l’istanza è presentata successivamente all’ordinanza, essa può sospendere gli effetti e le scadenze del provvedimento, ma non incide sulla sua legittimità originaria.

Nel caso esaminato dal CGARS, l’istanza di sanatoria risultava effettivamente presentata, ma era già stata rigettata per silentium, in base al meccanismo previsto dall’art. 36, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001. Tale disposizione stabilisce che, decorso il termine di 60 giorni senza un provvedimento espresso, la domanda si intende automaticamente respinta.

Pertanto, al momento della notifica dell’ordinanza di demolizione, non vi era alcuna istanza pendente e il Comune era pienamente legittimato ad avviare l’azione repressiva.

Il CGARS ha quindi confermato che il rigetto tacito della domanda escludeva qualsiasi obbligo di sospensione o differimento del provvedimento, rendendo infondata la censura sollevata.

Relativamente alla contestazione che “il decorso del tempo tra la realizzazione dell’immobile e il provvedimento impugnato avrebbe ingenerato nello stesso una legittima aspettativa sulla liceità dell’intervento edilizio che avrebbe richiesto quanto meno da parte del Comune un’adeguata e puntuale motivazione”, il CGARS ha confermato un principio granitico sulla demolizione degli abusi edilizi.

Sulla natura dell’ordine di demolizione esiste una copiosa giurisprudenza per cui lo stesso:

  • è un atto vincolato la cui motivazione risiede proprio nella realizzazione di un intervento abusivo;
  • non richiede alcuna comunicazione di avvio del procedimento (anche se la più recente giurisprudenza ne ha confermato la necessità soprattutto nei casi dubbi o di abusi risalenti nel tempo).

Una volta accertata l’abusività di un’opera edilizia, al Comune non spetta neanche la valutazione sulla doppia conformità e può emettere l’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi.

Ciò premesso, il principio del legittimo affidamento non si applica a interventi realizzati in totale assenza di titolo edilizio, nemmeno se l’ordinanza interviene a distanza di tempo dalla realizzazione dell’opera.

La sentenza richiama e applica diversi riferimenti normativi:

  • art. 31 e 36 del d.P.R. n. 380/2001, in materia di repressione degli abusi edilizi e accertamento di conformità;
  • art. 104 c.p.a., in tema di divieto di “ius novorum” in appello;
  • art. 21-nonies della legge n. 241/1990, riguardante l’annullamento d’ufficio e la necessaria ponderazione dell’interesse pubblico;
  • la giurisprudenza consolidata sul principio per cui gli abusi realizzati sine titulo non possono consolidare posizioni di vantaggio, neppure per effetto del tempo trascorso.

    La sentenza approfondisce in modo netto due aspetti fondamentali:

    1. Individuabilità delle opere e irrilevanza dell’errore catastale
      Il CGARS chiarisce che l’errata indicazione di particella o numero civico non incide sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione se il provvedimento descrive in modo preciso l’intervento edilizio da reprimere. Il riferimento catastale ha funzione ricognitiva e non è vincolante qualora l’opera sia concretamente identificabile sul territorio.
    2. Effetti del silenzio-rigetto sulla domanda di sanatoria
      Il Collegio rileva che, alla data di notifica dell’ordinanza, la richiesta di accertamento di conformità si era già intesa respinta, per mancata risposta nel termine di legge. L’amministrazione, pertanto, non aveva l’obbligo di esaminare nuovamente l’istanza prima di procedere alla demolizione.
    3. Irrilevanza del tempo trascorso e insussistenza del legittimo affidamento
      Il ritardo dell’amministrazione nell’avviare l’azione repressiva non fa sorgere alcuna posizione tutelabile in capo al trasgressore. Per opere realizzate in totale assenza di titolo, l’ordine di demolizione è un atto vincolato, che non richiede una motivazione ulteriore sull’interesse pubblico né può essere ostacolato da aspettative di stabilizzazione.

      La sentenza n. 492/2025 del CGARS rappresenta un importante chiarimento per i tecnici che si confrontano con l’applicazione delle misure repressive in ambito edilizio, confermando la piena legittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata.

      In primo luogo, viene ribadito che l’erronea indicazione dei dati catastali non incide sulla validità del provvedimento, purché quest’ultimo consenta l’esatta individuazione delle opere da demolire. Il dato catastale, infatti, ha funzione meramente ricognitiva e può essere corretto in sede esecutiva.

      In secondo luogo, il Collegio ha escluso che la presentazione di una domanda di sanatoria, già rigettata per silentium ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, possa costituire un ostacolo all’emissione dell’ordinanza. In assenza di impugnazione del rigetto implicito, la procedura repressiva è pienamente legittima.

      Infine, viene definitivamente superata l’idea che il semplice decorso del tempo possa generare un legittimo affidamento idoneo a bloccare l’azione amministrativa: l’ordine di demolizione di opere sine titulo è un atto vincolato, che non richiede una motivazione ulteriore sull’interesse pubblico né può essere sindacato alla luce di aspettative soggettive del trasgressore.

      Punti chiave per l’applicazione operativa:

      • l’errata indicazione catastale non è causa di invalidità se l’opera è chiaramente descritta nel provvedimento;
      • il rigetto per silenzio dell’istanza di sanatoria impedisce qualsiasi sospensione automatica del procedimento repressivo;
      • il tempo trascorso non legittima l’abuso e non fa sorgere diritti o aspettative tutelabili;
      • l’ordine di demolizione resta un atto vincolato e non discrezionale, anche in assenza di comunicazione di avvio del procedimento.

      Una pronuncia che richiama alla necessaria precisione nella redazione degli atti, ma che al tempo stesso rafforza l’autorità dell’azione amministrativa nei confronti di abusi conclamati e privi di possibilità di regolarizzazione.

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