Tratto da: Lavori Pubblici
È sufficiente una licenza di abitabilità degli anni ’50 per dimostrare lo stato legittimo di un immobile privo di titolo edilizio? Qual è il valore probatorio delle certificazioni comunali e degli accatastamenti storici? E come si ricostruisce oggi la legittimità edilizia in assenza di documentazione d’archivio?
Ha risposto a queste domande la Direzione Generale Cura del Territorio e dell’Ambiente dell’Emilia Romagna che, con il parere prot. n. 354086 dell’8 aprile 2025, ha affrontato un caso emblematico di ricostruzione dello stato legittimo di un fabbricato risalente agli anni ’50 e ’70.
Il caso sottoposto all’Amministrazione Regionale riguarda un fabbricato composto da due unità abitative costruite in epoche diverse (1958-59 e 1972). Per il primo edificio non è stato reperito alcun titolo edilizio, mentre per il secondo risulta una regolare pratica edilizia. Nonostante ciò, il fabbricato originario risulta in possesso di una licenza di abitabilità del 1959, corredata da una certificazione comunale del 1964 e da una foto aerea del 1969, elementi che sembrerebbero confermare la preesistenza e la consistenza del manufatto.
Innanzitutto, è importante chiarire che abitabilità e agibilità non sono la stessa cosa, pur essendo spesso confuse o usate come sinonimi in ambito tecnico. Oggi, infatti, il concetto di abitabilità è confluito nel più ampio certificato di agibilità, introdotto dal d.lgs. 222/2016 che ha uniformato la terminologia nel Testo Unico dell’Edilizia.
Queste le differenze:
- l’abitabilità, originariamente legata agli immobili ad uso residenziale, certificava il rispetto dei requisiti igienico‑sanitari e dimensionali specifici per le abitazioni;
- l’agibilità, invece, è più ampia: attesta la conformità dell’edificio – sia residenziale che di altra destinazione – alle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico e conformità al progetto approvato.
Per il Consiglio di Stato e la giurisprudenza amministrativa, l’agibilità non presuppone la regolarità urbanistica: un edificio può essere agibile – quindi conforme da un punto di vista sanitario e tecnico – ma risultare irregolare rispetto al titolo edilizio.
Nel contesto dello stato legittimo di un immobile, queste distinzioni assumono rilievo: il rilascio del certificato di agibilità (o la segnalazione certificata di agibilità) non attesta la legittimità urbanistica, e quindi non può sostituire un titolo edilizio (permesso o condono) o costituire di per sé prova dello stato legittimo.
Il parere si colloca all’interno di un sistema normativo articolato, che negli ultimi anni ha visto una crescente attenzione alla corretta ricostruzione dello stato legittimo degli immobili, anche in assenza dei titoli edilizi originari.
Il concetto di stato legittimo dell’immobile, introdotto formalmente nell’art. 9‑bis del d.P.R. n. 380/2001, ha subito una profonda trasformazione con il Decreto “Salva Casa” (D.L. n. 69/2024, convertito con L. n. 105/2024).
Nella versione previgente, vigente fino al 28 maggio 2024, la norma prevedeva una ricostruzione documentale rigida e cumulativa: per attestare la legittimità edilizia era necessario disporre dei seguenti documenti:
- titolo edilizio originario che aveva autorizzato la costruzione;
- titolo relativo all’ultimo intervento sull’immobile, purché riferito all’intera unità o fabbricato.
Solo in assenza di tali titoli era ammessa la possibilità di ricorrere a documentazione alternativa (planimetrie catastali, atti pubblici, fotografie aeree, documenti d’archivio) a patto che fossero attendibili e coerenti. Questo impianto rendeva particolarmente difficile – se non impossibile – la ricostruzione dello stato legittimo per immobili datati, soprattutto realizzati prima del 1967 o per i quali la documentazione edilizia era andata perduta.
Con l’entrata in vigore del Salva Casa, il comma 1‑bis dell’art. 9‑bis è stato riscritto secondo un approccio più flessibile e funzionale. Oggi lo stato legittimo può essere dimostrato:
- tramite il titolo edilizio che ha previsto la costruzione dell’immobile;
- oppure, in alternativa, attraverso l’ultimo titolo che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, a condizione che l’amministrazione abbia verificato la regolarità dei titoli precedenti (principio della “verifica a ritroso”).
La norma valorizza anche i titoli speciali come i provvedimenti di sanatoria (artt. 36, 36‑bis, 38) e le tolleranze costruttive (art. 34‑bis), purché perfezionati con il pagamento delle relative sanzioni. Restano invece esclusi dal perimetro del “legittimante” le sole fiscalizzazioni dell’abuso (artt. 33, 34, 37), che mantengono la funzione di alternativa alla demolizione ma non sanano l’abuso ai fini urbanistici.
Infine, per gli immobili privi di titolo – perché costruiti in epoca anteriore all’obbligo o in caso di perdita della documentazione – la legittimità può essere ricostruita attraverso elementi probatori alternativi (primo accatastamento, foto storiche, certificazioni comunali, estratti cartografici), purché coerenti tra loro e riferibili all’assetto attuale dell’edificio. È questa la logica oggi accolta dalla giurisprudenza e dalla prassi amministrativa: una verifica documentale unitaria, coerente e non atomistica, che consente – senza sanatorie implicite – di attestare la conformità urbanistica anche in assenza del titolo originario.
Tornando al parere in esame, sono tre i profili che vengono messi in evidenza:
- il valore probatorio della documentazione storica;
- la legittimità edilizia e la ricostruzione dello stato legittimo;
- l’affidamento del privato, basato sulla presunzione di verifica implicita.
Nel caso specifico, la Regione riconosce che l’abitabilità del 1959, la certificazione del Sindaco del 1964 (contenente date di inizio/fine lavori e superficie costruita) e l’iscrizione catastale del 1972 rappresentano un “principio di prova scritto” della preesistenza dell’immobile.
Tali elementi, se letti in combinazione con ulteriori evidenze come la foto aerea del 1969 e lo stato attuale conforme alla planimetria, permettono una ricostruzione attendibile della consistenza originaria del fabbricato.
La Regione evidenzia che l’assenza del titolo edilizio non preclude automaticamente la possibilità di accertare la legittimità, purché ricorrano una serie di presupposti documentali coerenti. In tal senso, l’accatastamento storico e gli atti comunali possono concorrere a dimostrare lo stato legittimo ai sensi della normativa vigente.
Tuttavia, si esclude espressamente la possibilità di riconoscere valore sostitutivo al certificato di abitabilità in assenza di altri elementi probanti, così come non si può pensare che dato che sono trascorsi così tanti anni dalla costruzione dell’unità immobiliare originaria (avvenuta nel 1959) opera il principio di tutela dell’affidamento dei privati.
In altre parole, si ricorda che le norme speciali in materia di ricostruzione dello stato legittimo, di tolleranze costruttive e di sanatoria edilizia sono di stretta applicazione e trovano pertanto applicazione nei soli casi in cui ricorrano i requisiti, le condizioni ed i limiti stabiliti dalla legge.
Il parere richiama l’art. 10-bis , comma 4, della L.R. Emilia-Romagna n. 15/2013 e contesta fermamente due tesi spesso invocate nei casi di documentazione incompleta:
- che il rilascio dell’agibilità implichi automaticamente la verifica della regolarità urbanistica;
- che il lungo decorso temporale dall’intervento edilizio, senza contestazioni da parte della P.A., generi una sorta di “condono implicito” o una sanatoria tacita.
La Regione chiarisce che si tratta di principi eccezionali previsti in casi ben delimitati (ad es. condoni, tolleranze costruttive, regolarizzazioni ex art. 36), e che pertanto non possono essere applicati per analogia. Le norme derogatorie alla disciplina edilizia ordinaria vanno interpretate in modo restrittivo e rigoroso.
Il parere regionale consente di trarre alcune indicazioni utili per i tecnici impegnati nella ricostruzione dello stato legittimo:
- l’accatastamento storico può essere utilizzato come elemento probatorio in assenza del titolo edilizio, purché coerente con altre fonti (foto aeree, certificazioni comunali, stato di fatto).
- la sola abitabilità non è sufficiente a dimostrare la legittimità edilizia.
- non è ammissibile invocare i principi dell’affidamento o della sanatoria implicita in via analogica.
- le norme speciali (sulle tolleranze, sulla sanatoria, ecc.) non sono estensibili ad altri casi non espressamente previsti.