La sentenza del Consiglio di Stato n. 3593/2025 affronta alcune delle questioni più controverse in materia di condono edilizio in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, con particolare riferimento alla distinzione tra abusi “maggiori” e “minori”, alla nozione di volume tecnico e all’applicabilità delle tolleranze costruttive del 2% previste dall’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001.
Il caso trae origine da una serie di opere realizzate in assenza di titolo abilitativo all’interno di un complesso commerciale e oggetto di quattro distinte istanze di condono.
In tema di condono edilizio ex art. 32 del D.L. 269/2003, non sono sanabili gli abusi “maggiori” (categorie 1, 2 e 3 dell’allegato 1) realizzati su immobili soggetti a vincolo paesaggistico, anche in presenza di vincoli relativi e a prescindere dalla compatibilità urbanistica. Il limite del 2% previsto dall’art. 34-bis del D.P.R. n. 380/2001 per le “tolleranze esecutive” si applica esclusivamente a difformità minime rispetto a titoli edilizi esistenti e non può essere invocato per sanare aumenti volumetrici autonomi, né per interventi su immobili già condonati.
Il caso
Il giudizio ha origine da un complesso edilizio composto da due capannoni ad uso commerciale, locati a terzi per la vendita di materiali idrosanitari e situati in zona soggetta a vincoli paesaggistici. In relazione a questo immobile, la proprietaria – poi deceduta e sostituita in giudizio dalle figlie – aveva presentato quattro distinte istanze di condono edilizio per sanare altrettanti interventi edilizi realizzati in assenza di titolo abilitativo, tutti riferibili al terzo condono edilizio ex D.L. 269/2003.
Le opere abusive erano le seguenti:
- ampliamento di un capannone;
- ampliamento secondario;
- realizzazione di una tettoia in metallo;
- costruzione di una bussola tecnica.
Tutte le istanze sono state rigettate dal Comune. Le ricorrenti hanno impugnato i provvedimenti dinanzi al TAR Lazio, che ha respinto i ricorsi riuniti. Da qui, l’appello al Consiglio di Stato con un unico motivo articolato, che si scompone in più profili:
- contraddittorietà dei provvedimenti comunali, che talvolta imputano l’impossibilità di sanatoria all’assenza del parere paesaggistico e altre volte a un’insanabilità assoluta;
- violazione del procedimento: si ritiene che il Comune avrebbe dovuto attivare il subprocedimento per ottenere il parere paesaggistico;
- errata qualificazione degli abusi come “maggiori”, mentre si trattava – secondo le appellanti – di interventi minori compatibili con il vincolo paesaggistico;
- falsa affermazione che l’area fosse all’interno di un Parco o area naturale protetta;
- sottovalutazione del fatto che le opere erano modeste o avevano natura tecnica e quindi rientravano tra gli abusi minori sanabili.
Quando un abuso edilizio è considerato “maggiore” e quindi insanabile?
Secondo la normativa applicabile (art. 32 D.L. 269/2003), gli abusi edilizi realizzati su immobili vincolati non sono sanabili se appartengono alle tipologie 1, 2 o 3 dell’Allegato 1 del decreto (ampliamenti, nuove costruzioni, ristrutturazioni pesanti), cioè i cosiddetti abusi “maggiori”.
In particolare la presenza del vincolo paesaggistico, anche se relativo e non assoluto, è sufficiente a precludere la sanatoria se l’intervento comporta incremento volumetrico.
Gli unici interventi condonabili in zona vincolata sono quelli “minori” (tipi 4, 5 e 6), come manutenzioni straordinarie, restauri o volumi tecnici, e solo previo parere favorevole dell’Autorità preposta.
Quando vale il limite del 2% per le tolleranze costruttive?
Il Consiglio di Stato ha confermato l’impostazione del TAR Lazio secondo cui le opere realizzate sono interventi volumetrici significativi, riconducibili alle categorie 1-3, e perciò non sanabili in zona vincolata, anche se compatibili con la disciplina urbanistica o se il vincolo non comporta inedificabilità assoluta.
Il limite del 2% previsto dall’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001 si applica esclusivamente alle cosiddette “tolleranze di cantiere”, ovvero modeste difformità rispetto a un progetto già autorizzato da permesso di costruire.
Nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha chiarito che l’ampliamento non può beneficiare di tale soglia perché non c’è un permesso edilizio pregresso, ma solo un precedente condono del 1998, l’ampliamento è solo una parte di un insieme più ampio di abusi che devono essere valutati congiuntamente.
Dunque, il limite del 2% non vale per sanare abusi autonomi o per giustificare nuovi volumi realizzati su immobili già oggetto di condono, e non sostituisce la disciplina del condono edilizio.
I volumi tecnici in area vincolata sono condonabili?
Diverso esito ha avuto l’esame del quarto diniego, relativo alla “bussola” realizzata in corrispondenza dell’ingresso del capannone.
Il Consiglio ha riconosciuto che si tratta di un volume tecnico, privo di autonomia funzionale, finalizzato a regolare il microclima tra interno ed esterno.
La struttura rientra quindi nel concetto di abuso “minore”, ai sensi della tipologia 5 (risanamento conservativo) del D.L. 269/2003.
Secondo la giurisprudenza prevalente, i volumi tecnici non comportano incremento volumetrico rilevante, quindi non ostano al rilascio del condono, nemmeno in zona vincolata.
Il diniego di condono è stato annullato per questa sola opera, e il Comune dovrà riesaminare la domanda, tenendo conto della sua qualificazione come volume tecnico, e quindi come abuso minore condonabile in area vincolata, previo eventuale parere paesaggistico.
In conclusione, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello in relazione ai tre dinieghi di condono per abusi maggiori e accolto parzialmente l’appello con riferimento al diniego sulla “bussola” tecnica.