tratto da biblus.acca.it

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, n. 28018 del 31 luglio 2025, trae origine da un grave infortunio occorso ad un lavoratore, il quale ha riportato ustioni estese sul corpo mentre era impegnato in attività di pulizia e recupero di polvere da sparo e bossoli esausti. L’evento si è verificato in prossimità di una macchina di caricamento cartucce, dove il distacco di un cavo di alimentazione, a seguito dell’uso di una scopa da parte del dipendente, ha innescato una miscela combustibile di polveri, generando un principio di incendio.

Il Tribunale di Alessandria, prima, e la Corte d’Appello di Torino, poi, hanno riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro per lesioni colpose gravi (art. 590, commi 2 e 3, c.p.), aggravata dalla violazione delle normative antinfortunistiche. La contestazione principale verteva sull’inosservanza dell’art. 85, comma 1, del D.Lgs. 81/2008, che impone la protezione dei macchinari dai pericoli legati a inneschi elettrici in ambienti con atmosfere potenzialmente esplosive.

La difesa del datore di lavoro, ricorrendo in Cassazione, ha incentrato le proprie argomentazioni su due punti salienti: l’interruzione del nesso causale dovuta alla presunta “condotta abnorme e imprevedibile” del lavoratore e la regolarità dei macchinari, attestata da precedenti ispezioni.

La Corte di Cassazione ha rigettato il primo motivo di ricorso, fornendo un’interpretazione rigorosa del concetto di causalità della colpa nel contesto della sicurezza sul lavoro. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la condotta del lavoratore, sebbene imprudente (uso della scopa con la macchina in funzione), non è stata ritenuta idonea ad interrompere il nesso causale. Nel caso specifico, l’attività di pulizia e bonifica rientrava pienamente nel ciclo produttivo e nelle mansioni del dipendente. L’infortunio è stato, di fatto, la conseguenza di un rischio prevedibile, ovvero l’interferenza tra le operazioni di pulizia e i componenti elettrici della macchina.

La Corte ha evidenziato che i sistemi di protezione esistenti (fotocellule) erano obsoleti e incompleti, non essendo in grado di impedire l’accesso all’area sottostante il macchinario con l’utilizzo di strumenti come una scopa. Questo difetto strutturale ha reso possibile la sequenza di eventi che ha portato all’infortunio, dimostrando che il rispetto della regola cautelare da parte del datore di lavoro avrebbe, con elevata probabilità, evitato l’evento lesivo.

Il secondo motivo di ricorso, relativo alla presunta regolarità del macchinario attestata da ispezioni della Commissione Esplosivi, è stato anch’esso respinto. La Corte ha ribadito un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la responsabilità penale del datore di lavoro non può essere elusa trincerandosi dietro eventuali carenze o superficialità emerse nel corso di visite ispettive. L’obbligo di sicurezza, infatti, è direttamente e personalmente in capo al datore di lavoro, il quale ha il dovere di accertare costantemente l’esistenza e l’efficacia delle misure preventive previste dalla normativa. La lacunosità dei sistemi di protezione in questione, come accertato dai giudici di merito, non poteva essere sanata da un’eventuale superficiale valutazione amministrativa, poiché l’efficienza degli impianti è un dovere costante e non delegabile.

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