tratto da biblus.acca.it

Nei cantieri temporanei o mobili, la sicurezza non può essere lasciata all’improvvisazione e ogni area di lavoro deve essere chiaramente delimitata e segnalata, specialmente quando vi siano porzioni dell’edificio instabili, pericolanti o oggetto di demolizione. La sola comunicazione verbale non basta: la cartellonistica e le barriere fisiche sono strumenti fondamentali per prevenire incidenti anche in fase di allestimento cantiere.

La sentenza n. 23320/2025 della Corte di Cassazione ribadisce con forza questo principio, confermando la responsabilità penale del datore di lavoro per la morte di un operaio, caduto durante le attività di predisposizione dei lavori in un edificio danneggiato. La causa dell’incidente? Una zona pericolante non adeguatamente isolata e segnalata.

Ogni datore di lavoro ha il dovere non solo di rispettare formalmente le norme, ma di creare un ambiente di lavoro dove i rischi siano visibili, segnalati e fisicamente evitabili, anche nei momenti preliminari come la fase di allestimento di un cantiere.

Il caso

Durante i lavori di rifacimento del tetto di un edificio gravemente danneggiato da un incendio — con struttura instabile e pericolante in diversi punti — si è verificato un grave incidente. Un operaio, impegnato nelle attività di montaggio del ponteggio in un’area adiacente alla stanza colpita dal rogo, è precipitato all’interno di un locale sottostante attraverso una voragine nel solaio interpiano, riportando lesioni mortali. La zona in cui è avvenuta la caduta era facilmente accessibile sia tramite una porta interna che attraverso la scala dell’edificio, e si trovava nelle immediate vicinanze dell’area di cantiere in fase di allestimento.

La stanza non era oggetto diretto di intervento, ma era comunque facilmente accessibile e collocata in prossimità delle attività di montaggio del ponteggio. Nonostante ciò, non risultava adeguatamente isolata, né presidiata da segnaletica che avvertisse del pericolo imminente rappresentato dal foro presente nel pavimento, in parte coperto da un tappeto.

Le uniche “barriere” predisposte consistevano in assi di legno alte circa un metro, facilmente superabili e l’ingresso alla stanza non era protetto da cartelli di divieto o segnalazioni visive del rischio di caduta.

Dopo la condanna pronunciata dalla Corte d’Appello di Catanzaro, che aveva rideterminato la pena per omicidio colposo a carico del datore di lavoro, quest’ultimo ha deciso di proporre ricorso per Cassazione, nel tentativo di ottenere l’annullamento della sentenza o una sua ulteriore revisione.

Nello specifico, al datore di lavoro veniva contestata:

  • l’omessa predisposizione di adeguati ponteggi idonei a prevenire il rischio di cadute dall’alto;
  • la mancata fornitura al lavoratore di informazioni adeguate e dei necessari dispositivi di protezione individuale;
  • l’aver consentito l’accesso del lavoratore al cantiere, e in particolare ai piani superiori dell’edificio, senza l’adozione di tutte le misure necessarie a segnalare la pericolosità dei luoghi;
  • l’omessa installazione di idonea segnaletica di cantiere.

La posizione della difesa: condotta imprevedibile del lavoratore?

Il datore di lavoro, ricorrente in Cassazione, ha sostenuto che il lavoratore avesse agito di propria iniziativa, allontanandosi dall’area operativa ed entrando in una stanza che non rientrava tra quelle oggetto di intervento. Secondo tale tesi, la condotta sarebbe stata “abnorme e imprevedibile”, tale da interrompere il nesso causale tra l’omissione e l’evento. La condotta posta in essere era totalmente al di fuori di ogni prevedibilità del datore di lavoro: la vittima aveva deliberatamente scavalcato lo sbarramento recandosi in un’area espressamente interdetta, contravvenendo alle specifiche disposizioni ricevute. Detta condotta aveva pertanto innegabilmente determinato l’interruzione del nesso causale, essendo del tutto eccezionale ed imprevedibile.

Tuttavia, la Corte ha escluso categoricamente questa ipotesi, osservando che l’accesso alla zona pericolosa non era né imprevedibile né estranea all’attività lavorativa, proprio in virtù della sua contiguità al cantiere. Anzi, ha ritenuto l’accesso perfettamente prevedibile e coerente con la dinamica operativa di un ambiente in cui si stavano allestendo strutture provvisorie.

La responsabilità del datore di lavoro: un dovere di protezione concreto

Gli ermellini hanno confermato che il datore di lavoro non ha adottato misure adeguate a impedire l’accesso a un’area pericolosa, omettendo sia l’apposizione di segnaletica conforme, sia l’installazione di barriere fisiche idonee a neutralizzare il rischio. Le assi di legno presenti non costituivano un ostacolo efficace né erano accompagnate da avvisi che specificassero la presenza di un pericolo imminente. La semplice comunicazione verbale, eventualmente fornita al singolo lavoratore, è stata giudicata insufficiente, soprattutto perché non estesa a tutti gli addetti presenti sul posto.

Inoltre, i giudici di merito hanno ben evidenziano che, data la situazione di fatto esistente, il luogo di lavoro doveva essere presidiato da segnalazioni idonee a salvaguardare la incolumità dei lavoratori; in proposito, le valutazioni di merito della Corte territoriale, riguardanti la insufficienza del mero sbarramento con assi di legno e della accessibilità della stanza non solo dalle scale dell’edificio ma anche da una entrata adiacente a quella ove il cantiere era in fase di allestimento, sono perfettamente in linea e coerenti con i principi costantemente affermati dalla Corte di legittimità.

In sintesi, il datore di lavoro ha omesso di governare un rischio perfettamente conoscibile e gestibile, venendo meno alla sua posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori.

Il principio ribadito dalla Cassazione

La Corte ha riaffermato un principio giurisprudenziale consolidato: il comportamento imprudente del lavoratore non esonera il datore dalla responsabilità, se questo rientra nel rischio tipico dell’attività e non è “eccentrico” rispetto al contesto operativo. L’evento è pertanto direttamente riconducibile all’omissione delle misure di prevenzione da parte del datore di lavoro, che avrebbe dovuto prevedere la possibilità che i lavoratori accedessero anche a locali adiacenti al cantiere e porre in atto idonei accorgimenti per proteggerne l’incolumità.

Infine, per la Cassazione il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

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