Tratto da: Lavori Pubblici 

L’esistenza di un vincolo paesaggistico, specie in caso di opere di pubblica utilità come le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all’art. 16, comma 7, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), non è di per sé condizione sufficiente a determinare l’incompatibilità di qualsivoglia intervento sul territorio con i valori oggetto di tutela.

L’Autorità preposta alla tutela del vincolo è infatti tenuta a esprimere una valutazione calibrata sulla concreta situazione di fatto e non limitata ad affermazioni generiche e stereotipate.

Non solo: l’eventuale decorso di 60 giorni sull’istanza di compatibilità configura la formazione del silenzio assenso, contro il quale l’Amministrazione può agire solo con un provvedimento di annullamento – anche questo adeguatamente motivato – in autotutela.

Sono questi i principi sui quali il TAR Sicilia, con la sentenza del 5 settembre 2024, n. 2981, ha accolto il ricorso di una società contro il diniego per il rilascio di un’autorizzazione ex artt. 43-44-49 del d.lgs. n. 259/2003 per l’installazione di un’infrastrutturadi telecomunicazione.

Secondo la ricorrente il diniego si sarebbe fondato su un provvedimento “espresso con una mera asserzione steoreotipata, generica ed in alcun modo circostanziata, che non consente di cogliere le ragioni e, men che meno, l’iter logico seguito nel percorso valutativo foriero della scelta preclusiva”. Per altro, in circostanze identiche, la stessa Soprintendenza aveva rilasciato ben cinque autorizzazioni ad altri operatori, consentendo la realizzazione di impianti a distanza ravvicinatissima rispetto ad altri impianti esistenti, configurando così anche una violazione della tutela della concorrenza.

Il TAR ha accolto il ricorso, osservando preliminarmente che, per costante e condiviso orientamento interpretativo, l’esistenza di un vincolo paesaggistico, in special modo qualora si verta in tema di opere di pubblica utilità come nel caso di specie, non è sufficiente di per sé a determinare l’incompatibilità di qualunque intervento sul territorio con i valori oggetto di tutela, essendo necessaria una valutazione dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo calibrata sulla concreta situazione di fatto e non limitata ad affermazioni generiche e stereotipate.

L’Amministrazione deve specificare le ragioni del rigetto dell’istanza con riferimento concreto alla fattispecie coinvolta, ovvero – previo l’esame delle sue caratteristiche concrete e l’analitica individuazione degli elementi di contrasto con il vincolo da tutelare – esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell’area interessata dall’apposizione del vincolo mediante l’esternazione delle specifiche ragioni per le quali si ritiene che un’opera non sia idonea a inserirsi nell’ambiente circostante.

Nel caso in esame, la generica motivazione spesa a supporto del negativo parere espresso dalla Soprintendenza resistente non affronta nello specifico i profili di effettiva incompatibilità del progetto con il contesto paesaggistico nel quale si inserisce.

Le argomentazioni proposte sono infatti fondate su affermazioni generiche e stereotipate, per cui non possono sorreggere, sotto il profilo motivazionale, il diniego impugnato. Si tratta di mere formule di stile evocatrici di un astratto conflitto con i valori protetti ma del tutto inidonee a far comprendere, in concreto, i termini dell’asserito contrasto con i valori tutelati dal vincolo paesaggistico e il conseguente pregiudizio che ad essi deriverebbe dall’intervento de quo.

Un orientamento confermato dal diritto eurounitario, che, nella specifica materia, pur riconoscendo la legittimità di un contemperamento fra le esigenze di copertura del territorio con altri interessi generali da realizzarsi mediante previsione di titoli abilitativi da rilasciarsi a cura delle Autorità preposte alla tutela degli stessi, impone in ogni caso che l’amministrazione sia tenuta «a giustificare il rifiuto del rilascio delle autorizzazioni di loro competenza, secondo criteri e condizioni oggettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati».

Se astrattamente può aderirsi all’idea che in un contesto già compromesso dalla presenza di infrastrutture, l’installazione di un nuovo impianto possa determinare un impatto cumulativo sull’area vincolata tale da pregiudicarne l’integrità, appare tuttavia necessario che, a fronte di situazioni che all’apparenza si presentano del tutto identiche, l’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo spieghi le ragioni concrete, in rapporto al contesto di riferimento, per cui, non debba invece esserne autorizzata una seconda identica per tipologia costruttiva e funzione, che, quantomeno sulla base delle rappresentazioni progettuali e salva ogni successiva valutazione da parte dell’ente competente, appare incidere in modo similare sul territorio, anche considerando cumulativamente l’impatto paesaggistico delle due opere, cosa che nel caso in esame non è avvenuta.

 

Inoltre la Soprintendenza resistente ha adottato l’atto di diniego dopo i 60 giorni previsti dall’art. 44, comma 10, del d.lgs. n. 259/2003, per cui si era formato il silenzio assenso. Ne consegue che l’Amministrazione avrebbe dovuto agire in autotutela ex art. 21 nonies della legge n. 241/1990, fatto che non è avvenuto, determinandosi l’illegittimità degli atti impugnati.

Questa norma infatti supera quell’orientamento giurisprudenziale – formatosi sull’originario dato normativo – per cui, ove l’area sia sottoposta ad un vincolo paesaggistico, la presenza del parere favorevole della preposta autorità sulla compatibilità paesaggistica, nel configurarsi come un presupposto di validità dell’autorizzazione all’installazione di impianti di telefonia mobile, appare necessaria anche ai fini della decorrenza del termine per la formazione del silenzio assenso.

La competenza sulla decisione è dell’Ente locale e solo il “parere negativo da parte dell’organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all’articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, ove ne sia previsto l’intervento” o il “dissenso, congruamente motivato, da parte di un’Amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale o dei beni culturali” sono atti idonei ad impedire la formazione del silenzio assenso oltre, naturalmente, l’esito negativo della conferenza di servizi o il diniego da parte dell’Ente locale.

In questo caso non è intervenuto alcun atto idoneo ad impedire la formazione del silenzio assenso entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda.

Laddove non pervenga nei termini l’espresso dissenso, “congruamente motivato”  dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, il silenzio assenso deve ritenersi perfezionato, senza che a tale conclusione possa ostare la mancata convocazione della conferenza di servizi ad opera del responsabile del procedimento, tenuto conto delle finalità acceleratorie e semplificatorie proprie della disciplina in tema di comunicazioni elettroniche.

Il ricorso è stato quindi accolto, annullando l’illegittimo provvedimento di diniego che era stato approvato dopo la formazione del silenzio assenso e per altro non adeguatamente motivato.

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