Tratto da: Sentenzeappalti
Consiglio di Stato, sez. III, 12.06.2025 n. 5089
A prescindere, pertanto, dal nomen iuris utilizzato dall’Amministrazione, le suddette manifestazioni di consenso alla prosecuzione della fornitura non costituiscono meri atti di proroga del medesimo rapporto alle medesime condizioni, ma vere e proprie rinegoziazioni concernenti il rinnovo del rapporto a diverse condizioni, costituendo il prezzo un aliquid novi rispetto al precedente assetto negoziale dei rapporti tra le parti.
A tal riguardo, deve richiamarsi il consolidato orientamento di questo plesso giurisdizionale, che ha chiarito come “nel caso in cui l’appaltatore abbia espresso la propria volontà di rinnovare il rapporto contrattuale è in re ipsa che lo stesso accetti la nuova determinazione del prezzo e non avrà diritto alla sua revisione, che invece spetterà nel caso in cui si sia concordato il mero slittamento temporale del termine del servizio. La revisione dei prezzi dei contratti si applica, infatti, solo alle proroghe contrattuali, come tali previste ab origine negli atti di gara ed oggetto di consenso “a monte”, ma non anche agli atti successivi al contratto originario con cui, mediante specifiche manifestazioni di volontà, è stato dato corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto identico a quello originario per quanto concerne la remunerazione del servizio, senza che sia stata avanzata alcuna proposta di modifica del corrispettivo (Consiglio di Stato, Sez. III, 22 gennaio 2016, n. 209: in termini: Consiglio di Stato, Sez. III, 18 dicembre 2015, n. 5779; Consiglio di Stato, Sez. V, 25 novembre 2015, n. 5356; Consiglio di Stato, Sez. III, 11 luglio 2014, n. 3585). Il criterio distintivo tra proroga e rinnovo va individuato, dunque, nell’elemento della novità: ricorre un’ipotesi di proroga solo allorquando vi sia integrale conferma delle precedenti condizioni (fatta salva la modifica di quelle non più attuali), con il solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, per il resto regolato dall’atto originario (cfr. in termini Cons. di Stato, III, 9 maggio 2012, n. 2862; Cons. di Stato, III, 23 marzo 2012, n. 1687). Anche la sola modifica del prezzo comporta, invece, un’ipotesi di rinnovo, nella quale non ha luogo la revisione del prezzo (il cui scopo è già realizzato in virtù del suo adeguamento). Insomma, se cambia la fonte del rapporto e sussistendo una nuova negoziazione, l’appaltatore non potrà invocare l’adeguamento dei prezzi, pur se la prestazione persiste nei termini precedenti” (Cons. Stato, Sez. V, 16 giugno 2020, n. 3874).
10. Infondata risulta, infine, anche la censura relativa all’utilizzo del coefficiente di rivalutazione, dovendosi al riguardo osservare che l’Amministrazione ha dedotto di aver fatto applicazione dell’indice di variazione dei prezzi per le famiglie di operai e impiegati (c.d. indice FOI), ritenuto dalla giurisprudenza parametro generale di riferimento, derogabile solo dietro dimostrazione dell’appaltatore di circostanze eccezionali idonee a fondare la spettanza di un maggior compenso revisionale fondato su criteri differenti, ma in ogni caso sempre tale da non superare i valori che potrebbe conseguire utilizzando i suddetti parametri (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 febbraio 2023, n. 2096), dimostrazione non fornita dall’appellante.