tratto da biblus.acca.it

Può un amministratore essere ritenuto responsabile per un infortunio sul lavoro anche se non gestisce operativamente l’azienda? La Corte di Cassazione conferma gli obblighi di sicurezza.

In materia di sicurezza sul lavoro, la responsabilità dell’amministratore di una società è un tema particolarmente importante, soprattutto nel caso di infortuni sul lavoro. La sentenza n. 34162/2025 della Corte di Cassazione offre un’importante riflessione su come la qualifica di amministratore, anche se assunta per motivazioni non strettamente operative, comporti comunque un’assunzione di responsabilità diretta, soprattutto quando vi è omessa l’adozione di misure previste dalla normativa in materia di salute e sicurezza.

La Corte di Cassazione ha esaminato il caso sul ricorso di un amministratore, contro la sentenza del Tribunale di Verona che lo aveva condannato per la mancata nomina del medico competente in merito alla sorveglianza sanitaria  così come come previsto dal D.lgs. n. 81/2008.

Il caso fa riferimento ad un infortunio mortale, avvenuto nel 2021 ed ha portato all’accusa di negligenza da parte dell’imputato che, pur ricoprendo formalmente il ruolo di amministratore, non aveva adempiuto agli obblighi previsti dalla legge.

Scopriamo i motivi di accusa

Il Tribunale di Verona ha ritenuto che l’amministratore fosse colpevole dei reati previsti dagli articoli 18, comma 1, lett. a), e 55, comma 5, lett. d), del D.lgs. n. 81/2008, non avendo provveduto alla nomina di un medico competente fino al giorno successivo all’incidente. Inoltre, non aveva sottoposto il dipendente alla sorveglianza sanitaria, obbligo previsto dalla legge per garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori. La condotta omissiva ha integrato il reato di colpa in materia di sicurezza sul lavoro, con una pena pecuniaria di 5.000 €.

L’imputato, pur rivestendo formalmente la carica di amministratore unico, sosteneva di aver avuto un ruolo gestionale limitato alla sfera contabile e di aver accettato l’incarico per ragioni di amicizia e prospettive future, non essendo quindi l’effettivo gestore operativo dell’impresa.

Tuttavia, la difesa dell’amministratore, ha presentato ricorso in cassazione, sollevando due motivi principali:

  • violazione di legge per inutilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali: la difesa ha contestato le modalità con cui il Giudice aveva condotto l’esame dei testimoni, sostenendo che le domande erano state suggestive e pregiudizievoli per l’attendibilità delle testimonianze;
  • erronea attribuzione della responsabilità: il ricorrente ha sostenuto che la sua figura di amministratore, seppur formale, non fosse sufficiente a giustificare la condanna. La difesa ha anche argomentato che l’imputato non avesse una gestione attiva dell’impresa, limitandosi ad operazioni contabili.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la condanna. La Corte ha ritenuto che, nonostante le critiche sollevate riguardo alla condotta del Giudice durante l’esame dei testimoni, le dichiarazioni in oggetto non fossero determinanti ai fini della condanna e l’affermazione di responsabilità è stata, infatti, fondata principalmente sulle ammissioni dello stesso imputato riguardo al suo ruolo nella società. Inoltre, gli ermellini hanno ribadito che la qualifica di amministratore, anche se non esercitata attivamente, implica comunque una posizione di garanzia in merito alla sicurezza sul lavoro e la mancata adozione di misure di sorveglianza sanitaria è stata considerata una grave negligenza.

Anche la motivazione personale dell’imputato (assunzione del ruolo per amicizia e in vista di un futuro coinvolgimento attivo nella gestione) non è stata ritenuta rilevante, poiché l’accettazione dell’incarico implicava comunque l’assunzione delle relative responsabilità.

 

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