Quando e quale titolo abilitativo occorre per un soppalco? In caso di abuso su chi grava la responsabilità?
La sentenza n. 10332/2025 del Tar Lazio sancisce che un soppalco interno assume rilevanza urbanistica – e dunque necessita di titolo edilizio – quando comporta un incremento effettivo della superficie utile dell’immobile (SUL).
L’assenza di tale titolo legittima l’adozione dell’ordine di demolizione e, in tal caso, la responsabilità dell’abuso grava anche su chi, pur non essendone autore materiale, abbia la disponibilità dell’immobile e non abbia attivato iniziative per ripristinare la legalità urbanistica.
Il caso
Il caso in esame riguarda un ricorso presentato nel marzo 2023 dal proprietario e dalla conduttrice di un immobile sito al piano terra, adibito a deposito magazzino, con l’obiettivo di ottenere l’annullamento di una determinazione dirigenziale che disponeva la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi, in quanto ritenuti abusivi gli interventi edilizi realizzati, nello specifico un soppalco interno al locale.
Secondo i ricorrenti, tale soppalco sarebbe stato costruito tra il 1945 e il 1960, e pertanto non dovrebbe essere considerato un abuso edilizio recente. Inoltre, essi sostengono che l’intervento non avrebbe modificato la struttura portante dell’edificio né comportato un aumento della cubatura, limitandosi ad ampliare la superficie interna utile. Alla luce di ciò, ritengono sproporzionato l’ordine di demolizione e sostengono che l’Amministrazione avrebbe potuto, al massimo, irrogare una sanzione pecuniaria.
Quando i soppalchi sono da considerarsi irrilevanti a livello urbanistico?
Il Tar Lazio respinge il ricorso.
Come affermato dalla giurisprudenza amministrativa (TAR Napoli, sent. n. 2457/2022), “l’irrilevanza dei soppalchi, ai fini della sanzione demolitoria, si configura soltanto allorché l’opera sia tale da non incrementare la superficie fruibile dell’immobile”.
In particolare, non è necessario alcun titolo abilitativo per quei soppalchi costituiti da vani difficilmente accessibili, privi di aperture e caratterizzati da un’altezza interna modesta.
Nel caso in esame, tuttavia, il provvedimento impugnato fa riferimento a un soppalco che determina un incremento della superficie pari a 20 m2, con un’altezza di 2,5 metri dal suolo e ulteriori 2,5 metri fino al soffitto. Tali caratteristiche escludono che l’opera possa essere ritenuta ediliziamente irrilevante.
Che titolo abilitativo è richiesto?
La sentenza ribadisce che la realizzazione di un soppalco che comporta un effettivo incremento della superficie utile (SUL) richiede il rilascio di un permesso di costruire o, in alternativa, la presentazione di una SCIA alternativa.
Chi è responsabile dell’abuso?
L’eccezione sollevata dal ricorrente, secondo cui egli non sarebbe l’autore materiale dell’abuso, non può essere accolta. Come costantemente affermato dalla giurisprudenza, il proprietario di un immobile risponde comunque della presenza di opere abusive, anche se non le ha personalmente realizzate, quando ha la disponibilità del bene e non ha provveduto alla loro rimozione.
La legittimità dell’ordine di rimozione di un manufatto abusivo richiede solo la prova – presente nel caso in esame – che esista un soggetto che utilizzi tale manufatto. In tal senso, la giurisprudenza amministrativa, condivisa dal Collegio, ha affermato che è responsabile dell’abuso non solo chi ha materialmente posto in essere la violazione, ma anche chi, subentrando nella titolarità o nella disponibilità del bene, ne trae utilità senza titolo e non adempie all’obbligo di ripristino, pur non essendo l’autore materiale dell’abuso.
Inoltre, ai sensi dell’art. 27 del TUE, l’interesse pubblico al ripristino dell’ordine urbanistico violato prevale sugli interessi privati. Va aggiunto che il carattere abusivo di un’opera edilizia è una qualità di natura reale e oggettiva, che si trasferisce con l’immobile stesso, indipendentemente dal fatto che il proprietario attuale sia o meno l’autore dell’abuso. Di conseguenza, la demolizione è un atto dovuto, che non dipende né dal possesso attuale né dalla buona fede del proprietario.
Quest’ultimo potrà andare esente dalla responsabilità di tal fatta solo provando di essere del tutto estraneo all’abuso, in maniera che risulti, in modo inequivocabile, che, essendone venuto a conoscenza, il proprietario si sia poi adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall’ordinamento. Nel caso in esame, tale prova non è stata fornita.
Alla luce di quanto esposto, il Tar Lazio definitivamente pronunciando sul ricorso, lo respinge.