La sentenza del Consiglio di Stato 8038/2025 affronta il tema della capacità edificatoria residua di particelle derivanti da un frazionamento catastale di un lotto già oggetto di permesso in sanatoria. Il caso solleva questioni su compatibilità urbanistica, vincolo di asservimento e rilevanza del silenzio-assenso in presenza di una decisione giudiziale.
Il caso
La controversia riguarda la possibilità di utilizzare due particelle derivanti dal frazionamento, avvenuto nel 1992, di un unico lotto originario. Su questo lotto era già stato rilasciato un permesso di costruire in sanatoria ai sensi della legge n. 47/1985, relativo a una pratica edilizia del 1986. La nuova richiesta di permesso di costruire, presentata nel 2023, riguardava la realizzazione di un parcheggio all’aperto.
Il Comune aveva inizialmente respinto la richiesta con un provvedimento notificato nel mese di agosto 2023. Successivamente, a seguito di un riesame del permesso, il diniego è stato confermato in via definitiva nel gennaio 2024.
L’istanza riguardava in particolare l’autorizzazione per realizzare e gestire un parcheggio su due particelle specifiche, derivate dal frazionamento del lotto originario.
Con il ricorso iniziale, la società richiedente contestava il primo diniego, motivato dall’incompatibilità dell’intervento con la destinazione urbanistica della zona e dal fatto che le particelle derivavano da un lotto già utilizzato per l’edificio oggetto del permesso in sanatoria.
Successivamente, con ordinanza del novembre 2023, il giudice di primo grado accolse una richiesta cautelare, disponendo il riesame del provvedimento di diniego. A seguito di tale riesame, il Comune confermò in parte i motivi ostativi già comunicati, riconoscendo comunque che le particelle avevano esaurito la capacità edificatoria residua, pur attenuando alcune criticità legate alla destinazione d’uso della zona.
Con la sentenza impugnata, il TAR Campania accolse il ricorso, rilevando la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990 e la carenza di motivazione e istruttoria da parte del Comune.
Il giudice di primo grado evidenziò che:
- la presunta incompatibilità del parcheggio con le destinazioni urbanistiche della zona non trovava riscontro nelle norme tecniche di attuazione, che consentono lo svolgimento di attività terziarie e complementari, valutando il parcheggio come attività commerciale compatibile con le attività residenziali e terziarie ammesse;
- il ricorso per motivi aggiunti era fondato, in quanto mancava un’adeguata istruttoria e motivazione sulla capacità edificatoria residua del lotto, in relazione al vincolo di asservimento pertinenziale. Non erano presenti elementi nell’atto impugnato che permettessero di accertare la superficie delle particelle oggetto della nuova istanza, né dalla documentazione catastale né dai grafici allegati al permesso in sanatoria depositato agli atti.
Avverso la sentenza del TAR Campania, il Comune ha presentato appello, contestando esclusivamente la parte della decisione che accoglieva il ricorso per motivi aggiunti relativo al secondo diniego del permesso di costruire. L’ente ha sostenuto violazioni di norme procedurali e edilizie, tra cui il Codice del Processo Amministrativo, il D.P.R. 380/2001, il D.M. 1444/1968, la legge 47/1985 e la legge 241/1990, oltre a presunti errori nella valutazione dei fatti, travisamenti, e difetti di motivazione.
A supporto dell’appello, il Comune ha depositato visure catastali storiche che documentano il frazionamento del lotto originario in tre particelle: una destinata all’edificio esistente e due subordinate ad essa. Secondo l’ente, questa documentazione dimostrerebbe chiaramente l’esaurimento della capacità edificatoria delle particelle oggetto della nuova richiesta.
I privati ricorrenti si sono costituiti in giudizio contestando le censure del Comune e chiedendo il rigetto dell’appello. Essi hanno inoltre sottolineato, in via preliminare, l’inammissibilità e l’improcedibilità dell’appello per sopravvenuto difetto di interesse. In particolare, sostengono che, non essendo intervenuto alcun nuovo provvedimento da parte del Comune dalla data della sentenza del TAR, si sarebbe formato il silenzio-assenso sulla domanda di permesso di costruire.
Quando è invocabile il silenzio assenso per il permesso di costruire in sanatoria?
Il Consiglio di Stato ha ritenuto fondato il ricorso dell’ente comunale.
Le contestazioni sollevate dai privati in merito al silenzio-assenso sono state respinte. La formazione del silenzio-assenso, prevista dall’art. 20 D.P.R. 380/2001, non si applica al caso in esame, in quanto è intervenuta una decisione esecutiva del giudice di primo grado. In questa situazione, i ricorrenti avrebbero potuto attivare un giudizio di ottemperanza, come effettivamente hanno fatto, ma non invocare il silenzio-assenso, che è una ipotesi ordinaria e non pertinente quando si tratta di dare attuazione a una decisione giurisdizionale.
Inoltre, il Consiglio ha ammesso ulteriore materiale probatorio, come visure catastali storiche e documentazione relativa al permesso in sanatoria, ritenendo tali elementi indispensabili ai sensi dell’art. 104 c.p.a. per decidere correttamente.
Un lotto già sanato può essere ulteriormente edificato dopo frazionamenti catastali?
Il provvedimento di diniego impugnato è stato ritenuto corretto, in quanto considera che i frazionamenti successivi del lotto non possono essere utilizzati per calcolare nuova capacità edificatoria.
Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. VI n. 2215/2019), quando un lotto urbanisticamente unitario ha già subito interventi edilizi, la volumetria residua va calcolata sottraendo quella già realizzata, senza tener conto di frazionamenti successivi o parziali alienazioni, per evitare che la superficie residua venga artificialmente gonfiata.
Inoltre, il rilascio di un titolo edilizio, come il permesso in sanatoria, determina un vincolo di asservimento pertinenziale: una volta esaurita la cubatura, le parti residue del lotto diventano di fatto inedificabili. Nel caso in esame, tale vincolo deriva dal permesso in sanatoria che ha legittimato l’edificio nella conformazione originaria, comprensiva dell’intero lotto.
Il provvedimento impugnato evidenzia che, al momento della richiesta di sanatoria, il lotto era unico e comprendeva anche le particelle che oggi si intenderebbero destinare a parcheggio. Di conseguenza, occorre fare riferimento al titolo edilizio originario per stabilire che le particelle frazionate successivamente sono già assoggettate al vincolo di asservimento.
In questo contesto, la questione relativa alla sufficienza dei parcheggi pertinenziali diventa irrilevante: ciò che conta è che la sanatoria ha interessato l’immobile nella sua configurazione originaria, senza considerare i frazionamenti successivi.
Alla luce di queste considerazioni, il Consiglio di Stato respinge il ricorso di primo grado, confermando la legittimità del diniego del permesso di costruire ed accoglie l’appello del Comune.

