La sentenza n. 2771/2025 del Consiglio di Stato specifica che le tolleranze costruttive previste dall’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001 devono essere calcolate in riferimento alla singola unità immobiliare che beneficia dell’intervento e non su aggregati più ampi. La verifica della legittimità deve avvenire sulla base della normativa vigente al momento dell’adozione del provvedimento amministrativo (principio del “tempus regit actum”), restando inapplicabili retroattivamente eventuali modifiche normative sopravvenute, come quelle introdotte dal D.L. 69/2024.
Il caso
Il caso in esame riguarda una disputa tra privati in un contesto residenziale. Negli anni ’70, i genitori dell’attuale appellante avevano acquistato due appartamenti adiacenti, collegandoli con una passerella di circa 4 m2. Alla loro morte, gli immobili sono stati divisi tra i figli.
Il Comune, considerato il ridotto impatto dell’opera (meno del 2% della superficie totale di circa 300 m2), ha archiviato il procedimento sanzionatorio, ritenendola una tolleranza costruttiva.
Tuttavia, il proprietario dell’appartamento sottostante ha contestato la decisione, sostenendo che il vano, costruito senza autorizzazione, limita luce, aria e vista, e causa cattivi odori provenienti dallo scarico del bagno. Ha quindi fatto ricorso al TAR.
Il TAR gli ha dato ragione, annullando l’archiviazione comunale. Secondo il Tribunale:
- l’opera non è una mera irregolarità perché serve solo uno dei due appartamenti;
- il 2% va calcolato sulla singola unità che ne trae beneficio (150 m2), non sull’intera proprietà originaria;
- i 4 m2 superano tale soglia (2,66%) e quindi non rientrano nelle tolleranze edilizie consentite.
L’appellante, cioè il proprietario dell’appartamento superiore, ha deciso di fare ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione del TAR, sostenendo varie motivazioni. In primo luogo, ha invocato la litispendenza, affermando che fosse già in corso una causa civile su questioni simili, e che, quindi, il TAR avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso amministrativo. Inoltre, ha sollevato la questione della carenza di legittimazione del vicino, sostenendo che il vicino stesso non fosse sufficientemente danneggiato da avere il diritto di impugnare il provvedimento. Il ricorrente ha poi sostenuto che il ricorso fosse fuori tempo massimo, perché presentato oltre i 60 giorni dalla data del provvedimento. Infine, ha argomentato che il TAR avesse applicato in modo errato la normativa edilizia, ritenendo che l’intervento fosse invece conforme alle tolleranze costruttive previste dalla legge.
Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello confermando la decisione del TAR. In merito alla litispendenza, il Consiglio ha spiegato che tale principio si applica solo quando ci sono due cause pendenti davanti allo stesso tipo di giudice (sia civile che amministrativo), ma nel caso in esame il ricorso amministrativo era distinto dalla causa civile, per cui non si poteva parlare di litispendenza. Eventuali conflitti tra le giurisdizioni, ha precisato, vanno risolti dalla Cassazione, e non con l’estinzione automatica del processo.
Per quanto riguarda la legittimazione del vicino, il Consiglio ha ritenuto che quest’ultimo fosse legittimato a ricorrere, in quanto la documentazione prodotta dimostrava un danno concreto e diretto.
Sul tema del ricorso tempestivo, il Consiglio ha osservato che, sebbene il provvedimento comunale fosse datato maggio 2017, il vicino lo aveva ricevuto ufficialmente solo a dicembre. Il termine di 60 giorni per presentare il ricorso non decorre dalla data di firma dell’atto, ma dalla data in cui l’interessato ha effettivamente preso conoscenza dell’atto, applicando così il principio della “conoscenza effettiva”. Pertanto, il ricorso è stato ritenuto tempestivo.
Tolleranze costruttive del Salva Casa: si applicano retroattivamente?
Riguardo all’applicazione delle tolleranze edilizie, il Consiglio di Stato non ha accolto l’interpretazione dell’appellante secondo cui, poiché la superficie complessiva dei due appartamenti supera i 300 m2, l’incremento di 4 m2 sarebbe inferiore alla soglia ammessa. Di fatti, il Consiglio osserva che l’ampliamento serve solo uno dei due appartamenti che ha una superficie di circa 150 m2. Pertanto, l’ampliamento va calcolato solo rispetto a quest’unità, non sull’intera superficie dei due immobili. Il risultato è che l’aumento del volume incide per il 2,66%, superando il limite del 2% previsto dalla norma, e dunque l’intervento non può essere considerato tollerabile.
Questo è sufficiente, secondo il Consiglio, per respingere integralmente l’appello.
Tuttavia, per completezza viene evidenziato che il recente Decreto Salva Casa (D.L. 69/2024) ha modificato l’articolo 34-bis, introducendo nuovi limiti di tolleranza differenziati in base alla superficie dell’unità immobiliare. Per unità tra 100 e 300 m2, come nel caso in esame, la tolleranza è salita al 4%. Dunque, oggi un intervento come quello oggetto del giudizio potrebbe teoricamente rientrare nei nuovi limiti di legge.
Tuttavia, queste modifiche non si applicano retroattivamente ai procedimenti già conclusi o in corso al momento della loro entrata in vigore. Lo ha chiarito lo stesso Consiglio di Stato in una recente sentenza (n. 8542/2024), precisando che spetta al Comune – eventualmente su iniziativa del cittadino – valutare se riaprire la questione alla luce delle nuove disposizioni.
In ogni caso, il superamento della soglia del 2% prevista per le tolleranze costruttive non implica automaticamente la qualificazione dell’intervento come variazione essenziale. È necessaria una valutazione concreta da parte dell’amministrazione comunale, volta ad accertare se le caratteristiche specifiche dell’abuso comportino effettivamente una trasformazione edilizia rilevante, tale da giustificare l’adozione di misure sanzionatorie di tipo ripristinatorio.