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Ricorrente da anni ormai è la denuncia dell’oscurità delle leggi. Con l’aggiunta che, se fossero state chiare, il prodotto interno lordo italiano (PIL) sarebbe ora più alto di almeno il 10%. È l’incipit di un articolo di Sabino Cassese per il Corriere della Sera che richiama la stima fatta da un gruppo di economisti del Politecnico di Milano e dell’istituto Einaudi per l’economia e la finanza, guidati da Luigi Guiso e Claudio Michelacci, che hanno misurato la qualità della scrittura delle leggi e ne hanno stimato gli effetti economici. La critica è alla lunghezza dei testi, alla complessità delle frasi, al numero degli aggettivi, alle citazioni di altre leggi e ad altri elementi di complessità che dimostrano l’ambiguità e l’incertezza delle leggi con effetti sullo sviluppo e la crescita economica.
Una denuncia antica, come ho detto, che si riteneva sarebbe stata superata da una maggiore attenzione per la legislazione sulla quale si dicono impegnati governo e forze politiche. Qual è la situazione, quale l’analisi che si può aiutare a capire. Intanto, la maggior parte della normativa è costituita da decreti-legge e dalle leggi di conversione di che hanno riguardato tutte le materie, sforando i criteri di necessità e d’urgenza che l’articolo 77 della Costituzione prevede perché il Governo possa ricorrere a questo strumento che, per sua natura eccezionale, sta diventando invece sempre più ordinario, anche su materie che sarebbe opportuno fossero approfondite in un dibattito parlamentare.
Il decreto con forza di legge con la vigenza limitata nel tempo, sessanta giorni, impone un iter di conversione accelerato che, di fatto, affida ad una sola delle Camere l’approfondimento del testo il quale giunge in vista della scadenza del termine alla seconda Camera, alla quale è di fatto preclusa la possibilità di correzione di eventuali disfunzioni o errori che il bicameralismo ha sempre realizzato e che nasce naturalmente dal dibattito, giornalistico e scientifico, che si sviluppa nel corso del dibattito dinanzi alla prima Camera.
Il Professore Cassese si pone, dunque, il problema delle ragioni di questa ipertrofia legislativa e della oscurità del linguaggio. Che attribuisce alla classe amministrativa, agli staff dei ministri e alle strutture serventi della Presidenza del Consiglio dei ministri chiamati a scrivere i testi la responsabilità di queste disfunzioni, di questi testi oscuri e complessi. Questi richiedono spesso ulteriori norme di attuazione che non vengono emanate con l’effetto di generare incertezza, evidente nell’annuale decreto, cosiddetto “Milleproroghe”, sempre più corposo, che appunto serve a consentire al Governo l’emanazione tardiva di provvedimenti che non è stato possibile adottare. E qui, mi dispiace per il Professore Cassese, attento osservatore delle vicende dell’amministrazione e della politica, ma dare tutta la responsabilità agli staff ministeriali è obiettivamente ingiusto. In realtà questi staff sono pressati minuto per minuto da una classe politica assolutamente inadeguata e che quindi non consente la necessaria riflessione fra l’idea di pervenire ad una certa legislazione e il tempo della sua scrittura. Accade anche che questi personaggi, che sono notoriamente yesmen, come desidera la politica, non abbiano la libertà di scelta e debbano scrivere sostanzialmente quel che dicono i politici dando una veste giuridica, a volte appena decente, ad idee che spesso sono confuse e contraddittorie. È conseguenza del declino della classe dirigente che è stato studiato e approfondito con molta attenzione da Roberto Alesse, Direttore dell’Agenzia delle Dogane (“Il declino del potere politico in Italia”, edito da Rubbettino), che ha segnalato come le nomine fiduciarie a dirigente, sia pure a tempo, costituiscano una iniziativa di carattere autolesionistico in quanto “lo Stato, in tempi di straordinaria evoluzione tecnologica, non è in grado di assicurare, in modo permanente, all’interno di ciascun ufficio pubblico, la provvista necessaria di personale altamente specializzato, da acquisire attraverso rapide procedure di selezione gestite da strutture centralizzate, se è vero che il presupposto giuridico per avviare il reclutamento di persone estranee alle amministrazioni risiede nel verificare, in via preventiva, e con grande scrupolo, l’assenza di dirigenti, iscritti nei ruoli amministrativi o tecnici, a cui affidare strutture burocratiche complesse nell’interesse della collettività”. Un declino individuato, dunque, nel reclutamento, nell’abuso dello spoil system e delle assunzioni di dirigenti col sistema dell’art. 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che consente ai ministri di reclutare amici, amici di amici, persone delle segreterie dei partiti e degli staff elettorali. Spesso in precedenza bocciati nelle prove di concorso.
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