Il Comune può concedere il condono edilizio anche se la Soprintendenza ha espresso parere negativo? Una recente sentenza del TAR Sicilia chiarisce il valore vincolante del parere paesaggistico.
La questione della sanatoria edilizia in aree sottoposte a vincolo paesaggistico è spesso fonte di contenziosi tra privati e amministrazioni. Un recente pronunciamento del TAR Sicilia 2067/2025 offre chiarimenti importanti: il giudice amministrativo ha esaminato il ricorso di un privato contro il diniego comunale di condono edilizio, fondato sul parere sfavorevole della Soprintendenza. La decisione del TAR si concentra sul valore vincolante di tale parere e sul margine di azione (o meno) lasciato al Comune.
Il caso
Il caso trae origine dalla vicenda di un comproprietario di un’abitazione che nel 1989 aveva eseguito alcuni lavori consistenti nella sopraelevazione dell’edificio, ricavando due vani destinati a lavanderia e coprendo un terrazzo, per una superficie complessiva di circa 25 m2.
Per regolarizzare l’intervento, nel 2004 aveva presentato istanza di condono edilizio ai sensi della Legge 326/2003, nota come “terzo condono”. La procedura, tuttavia, ha avuto un esito sfavorevole: la Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Messina, con provvedimento del settembre 2023, ha negato la sanatoria ritenendo che gli abusi fossero insanabili in quanto comportavano la creazione di nuova volumetria in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico. A tale parere si è adeguato il Comune che, nel dicembre dello stesso anno, ha rigettato la domanda di condono basandosi integralmente sulla posizione espressa dalla Soprintendenza.
Il privato ha allora deciso di rivolgersi al TAR, contestando il provvedimento comunale sotto diversi profili. In primo luogo, ha denunciato un’illegittimità derivata, sostenendo che l’amministrazione comunale si fosse limitata a recepire passivamente il parere negativo della Soprintendenza senza svolgere un’autonoma istruttoria. Ha poi lamentato la violazione delle garanzie partecipative, poiché non gli era stata comunicata né l’apertura del procedimento né un preavviso di rigetto, in contrasto con quanto previsto dalla Legge 241/1990. Secondo il ricorrente, inoltre, il diniego mancava di una motivazione propria, riducendosi a un semplice rinvio al parere soprintendentizio, senza valutare concretamente l’impatto delle opere sul contesto paesaggistico. Ha infine invocato la disparità di trattamento rispetto ad altri casi in cui analoghi interventi erano stati sanati e il principio del legittimo affidamento, ritenendo che il lungo tempo trascorso dalla domanda di condono avesse consolidato una posizione meritevole di tutela.
Il Comune, pur chiamato in giudizio, non si è costituito.
Il Comune ha potere rispetto al parere della Soprintendenza?
Il TAR ha esaminato il ricorso e lo ha respinto integralmente.
Il Comune non aveva alcuna possibilità di decidere diversamente: il provvedimento da adottare era rigidamente vincolato. Questo sia perché l’abuso riguardava la creazione di una nuova volumetria in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico, sia perché, nei procedimenti di condono di questo tipo, il parere della Soprintendenza non è solo consultivo, ma ha un valore decisorio e quindi vincolante.
Ne consegue che, una volta ricevuto il diniego della Soprintendenza, il Comune non aveva alcun obbligo di svolgere ulteriori valutazioni o approfondimenti autonomi. In materia di abusi edilizi, infatti, quando si tratta di atti vincolati, non è richiesto né un esame specifico delle ragioni di interesse pubblico né un bilanciamento tra l’interesse generale e quello del privato. Parimenti, il decorso del tempo non può mai trasformare una situazione abusiva in legittima, e quindi non è riconoscibile alcun affidamento tutelabile del cittadino.
Proprio per la natura vincolata del provvedimento, diventano superflui anche gli adempimenti procedimentali, come la comunicazione di avvio del procedimento o il preavviso di rigetto: essendo la decisione obbligata, la partecipazione del privato non avrebbe potuto cambiare l’esito finale.
Nel caso concreto, il Comune ha correttamente giustificato il rigetto richiamando il parere negativo della Soprintendenza. Quest’ultima, a sua volta, aveva fatto riferimento a una circolare regionale che esclude la possibilità di condonare abusi in zone vincolate quando comportino la creazione di nuovi volumi o superfici. Per tale motivo non è possibile parlare di eccesso di potere per disparità di trattamento, poiché in presenza di atti vincolati non vi sono margini di discrezionalità.
Alla luce di questi principi, il TAR ha dunque respinto il ricorso del privato.