Tratto da: Lavori Pubblici
Il mancato rispetto dei termini da parte della Soprintendenza può incidere sull’esito di una domanda di condono edilizio? Il silenzio dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo può essere equiparato a un assenso? E che valore assume, dopo oltre trent’anni, l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata per un precedente condono?
Sono interrogativi che, nelle sanatorie in area vincolata, posso generare dubbi ed errori applicativi, soprattutto quando la storia edilizia si è stratificata nel tempo. La sentenza del Consiglio di Stato del 13 novembre 2025, n. 8911 affronta un caso emblematico e offre chiarimenti preziosi per tecnici e operatori.
Il caso nasce da una prima domanda di condono presentata ai sensi della legge n. 47/1985 (c.d. “Primo Condono Edilizio“) per la trasformazione di un villino da uno a due piani. Il Comune aveva rilasciato l’autorizzazione paesaggistica, ma successivamente era stata annullata per incompatibilità dell’intervento con il contesto protetto.
Nel frattempo, anziché mantenere inalterato l’immobile, il proprietario aveva proseguito con ampliamenti, modifiche del fabbricato e realizzazione di opere pertinenziali, interventi che hanno contribuito a ridefinire complessivamente l’impatto del manufatto sul paesaggio. Su questo sfondo, anni dopo, sono state presentate:
- una seconda domanda di condono ai sensi della legge n. 724/1994;
- due istanze di compatibilità paesaggistica postuma ex art. 167 del d.lgs. 42/2004 relative alle opere pertinenziali.
La Soprintendenza, esaminata l’intera vicenda, aveva richiamato il precedente annullamento e dichiarato improcedibili le istanze, da cui era seguita una valutazione negativa del Comune.
Da qui il ricorso al TAR e, dopo il rigetto, l’appello al Consiglio di Stato.
La questione ruota sull’applicazione dell’art. 32 della legge n. 47/1985, applicabile anche al secondo condono del 1994: la norma prevede che il parere della Soprintendenza sia necessario e che la sua mancanza non produca silenzio assenso, ma un silenzio-rifiuto impugnabile.
Ne derivano tre conseguenze fondamentali:
- non è possibile applicare l’art. 17-bis L. 241/1990, sugli effetti del silenzio e dell’inerzia nei rapporti tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici;
- la tardività del parere reso dall’Autorità preposta al vincolo non lo rende inefficace;
- il Comune può recepirlo integralmente, purché esso sia motivato.
Si tratta di una scelta normativa che tutela il paesaggio impedendo che la sanatoria si formi automaticamente.
Palazzo Spada ha quindi chiarito alcuni passaggi essenziali per comprendere il rapporto tra condono edilizio, vincolo paesaggistico e parere tardivo.
Il primo punto riguarda proprio la tempistica del parere. Pur essendo stato reso oltre i 180 giorni previsti dalla norma, esso non perde efficacia. La Sezione afferma infatti che «l’inosservanza del termine non impedisce all’autorità comunale di adeguarsi integralmente» alla valutazione della Soprintendenza, ribadendo che nel condono edilizio il parere resta necessario anche se tardivo.
Viene poi esclusa qualsiasi applicazione del silenzio assenso. L’art. 32 della legge n. 47/1985, norma speciale e prevalente, prevede unicamente il silenzio-rifiuto, rendendo impraticabile l’opzione normativa del silenzio-assenso invocata dagli appellanti.
Nel caso in esame, elemento centrale è la perdurante efficacia dell’annullamento ministeriale dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata per il primo condono. La sospensiva cautelare non lo aveva neutralizzato, non essendovi prova di un superamento successivo, motivo per cui, spiegano i giudici d’appello, quel provvedimento è rimasto un precedente ostativo ancora attuale.
Quanto alle opere pertinenziali per le quali sono state presentate le istanze di compatibilità paesaggistica ex art. 167 d.lgs. n. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio), il Consiglio conferma che esse non possono essere valutate in modo autonomo.
Il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica paesaggistica richiede infatti un giudizio unitario e, come osserva la Sezione, l’amministrazione ha svolto una valutazione unitaria delle opere realizzate, tutte collegate al manufatto principale e dunque soggette alla sua stessa sorte.
Infine, tenendo conto che il provvedimento comunale è correttamente motivato per relationem con il richiamo al parere paesaggistico, esso è pienamente legittimo.
L’appello è stato respinto, confermando l’improcedibilità dell’istanza di condono, delle istanze di compatibilità paesaggistiche, oltre che la legittimità dell’annullamento della prima autorizzazione paesaggistica, con la quale, sostanzialmente, si confermava la perdurante abusività del manufatto e delle opere successive.
La sentenza rafforza alcuni principi fondamentali in materia di sanatoria in area vincolata:
- la disciplina speciale del condono prevale sulle norme generali del procedimento amministrativo;
- il parere paesaggistico tardivo non perde efficacia e può essere utilizzato dal Comune;
- i precedenti negativi, specie se fondati su annullamenti ministeriali, incidono sulle valutazioni successive;
- non esiste una sanabilità autonoma delle opere pertinenziali in presenza di un fabbricato principale incompatibile;
- la motivazione per relationem è pienamente legittima quando il parere tecnico è completo.
La vicenda conferma che in ambito condonistico, la tutela del paesaggio rimane un limite sostanziale e non aggirabile, e nessuna forma di silenzio assenso può sostituire la verifica dell’Autorità preposta al vincolo.

