Cassazione: il datore di lavoro non è esonerato da responsabilità quando il comportamento del lavoratore rientra nell’ambito prevedibile del rischio.
La sentenza n. 12258/2025 trae origine da un infortunio sul lavoro avvenuto all’interno di un capannone, dove il lavoratore riportava gravi lesioni a seguito di una caduta da un’altezza di circa 2,45 metri mentre operava su una superficie metallica soppalcata.
Secondo la ricostruzione effettuata dal Tribunale di Torino, e confermata dalla Corte d’Appello, il lavoratore stava svolgendo in attività di smontaggio di lampade, operazione propedeutica alla rimozione di scaffalature metalliche.
Il presidente del consiglio di amministrazione della società aveva affidato i lavori di manutenzione e smontaggio ad una ditta, che a sua volta aveva subappaltato ad altra società. Il lavoratore infortunato, non iscritto alla Camera di Commercio e privo del DURC, era stato incaricato direttamente dello smontaggio delle lampade.
Il sinistro è avvenuto in un contesto nel quale era assente un coordinamento della sicurezza tra le diverse ditte operanti e non risultava nominato un coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione (CSE). Inoltre, il lavoratore aveva 75 anni e non vi era stata verifica della sua idoneità professionale.
L’imputazione nei confronti del presidente del consiglio di amministrazione della società era fondata sull’art. 590, commi 1, 2 e 3 del codice penale, per lesioni personali colpose aggravate. Gli addebiti principali consistevano in:
- omissione della nomina del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, in violazione dell’art. 90, comma 4 del D.Lgs. 81/08, nonostante l’intervento contemporaneo di più soggetti nell’ambiente lavorativo;
- omissione nella verifica dell’idoneità tecnico-professionale del lavoratore (art. 90, comma 9, lett. a, D.Lgs. 81/08), che era privo di requisiti formali e documentali e in età avanzata;
- mancata organizzazione delle attività in modo coordinato, che ha determinato la presenza non vigilata del lavoratore sul piano rialzato da cui è precipitato.
La Corte territoriale aveva già ritenuto sussistente il nesso causale tra tali omissioni e l’infortunio avvenuto.
La difesa, nel ricorso per cassazione, ha articolato due motivi principali:
- travisamento della prova e contraddittorietà della motivazione (art. 606, comma 1, lett. e, c.p.p.), contestando che il lavoratore si trovasse sul soppalco per ragioni di lavoro. La difesa ha sostenuto che le testimonianze acquisite indicavano che le lampade erano già state smontate, deducendo così un comportamento abnorme e non prevedibile del lavoratore;
- violazione di legge e difetto di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b ed e, c.p.p.), sostenendo che, seppur in assenza di un piano scritto, vi fosse un’organizzazione concreta e non vi fosse rischio di interferenza tra le attività delle diverse ditte. La difesa ha anche richiamato l’esistenza di un accordo operativo (cronoprogramma) tra il lavoratore e la società.
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, con le seguenti motivazioni:
- travisamento della prova: il ricorso non soddisfa i rigorosi requisiti per l’ammissibilità di tale vizio. La difesa ha selezionato alcuni estratti delle testimonianze senza confrontarsi con le complessive risultanze probatorie, che invece indicavano inequivocabilmente che il lavoratore stava effettivamente lavorando il giorno dell’infortunio. Il giudice di primo grado aveva accertato che il lavoratore era stato visto trasportare lampade e che sul luogo dell’incidente erano presenti lampade smontate. È stata quindi ritenuta infondata la tesi dell’abnormità del comportamento del lavoratore;
- responsabilità datoriale: secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il datore di lavoro non è esonerato da responsabilità quando il comportamento del lavoratore rientra nell’ambito prevedibile del rischio, anche se imprudente. La condotta del lavoratore non è risultata né eccentrica né imprevedibile rispetto alle mansioni affidate;
- violazione degli obblighi normativi: la mancata nomina del coordinatore della sicurezza è stata ritenuta causa diretta dell’evento lesivo. L’esistenza di un piano verbale o accordo di massima tra le parti non può supplire agli obblighi imposti ex lege in materia di sicurezza (art. 90 D.lgs. 81/2008);
- inadempienze ulteriori non appellate: la Corte ha rilevato che la sentenza impugnata si fondava anche sull’omessa verifica dell’idoneità professionale del lavoratore, argomento non censurato con specifico motivo di appello, e quindi divenuto definitivo.
Infine, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle Ammende, ritenendo che il ricorso fosse proposto senza giustificato motivo.