tratto da italiappalti.it a cura di Danilo Menna

Lo scritto tratta del rapporto esistente tra un ente pubblico e la sua società in house providing chiarendo che questo è di tipo pubblico con riguardo al controllo analogo e di tipo contrattuale rispetto alle prestazioni oggetto di affidamento. La parte contrattuale è la novità che prende forma con le riforme che hanno interessato l’in house provinding a partire dal 2016. Questa nuova caratteristica, scolpita nel nuovo Codice dei contratti, porta con sé inevitabili effetti anche nel lato pubblico, con particolare riferimento alla programmazione delle opere e degli acquisti, all’affidamento, al personale e agli incentivi per funzioni tecniche. Tale tesi si pone in contrapposizione a quanto affermato da autorità pubbliche in recenti pareri, nell’ambito dei quali si sostiene la sola presenza del rapporto pubblico mediante il controllo analogo, ciò sulla scorta di risalenti orientamenti giurisprudenziali. Detti pareri sono stati emanati in risposta a quesiti posti da alcuni enti, quindi assenza di un vero contraddittorio. Le argomentazioni contenute nel presente scritto controbilanciano tale lacuna e consentono una lettura globale della vicenda.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Perché il rapporto contrattuale è fondamentale nel nuovo contesto normativo. – 3. Le norme di legge che stabiliscono il rapporto contrattuale. – 4. L’affidamento in house providing negli atti di programmazione della P.A.. – 5.L’inciampo della Sezione Lombardia della Corte dei Conti sull’utilizzo del personale della società in house e l’equivoco sulla questione dell’immedesimazione organica. – 6. Gli incentivi per funzioni tecniche nel caso dell’in house providing: il parere della Sezione Sardegna della Corte dei conti ed il parere ANAC. – 7. La competenza di ANAC rispetto all’in house providing. – 8.Conclusioni.

  1. Introduzione

Il legislatore nazionale ha il merito di aver creato nell’ultimo decennio un sistema di regole sull’in house providing (o semplicemente in house) più o meno chiaro e stabile, sebbene la materia resti complessa.

Ci si riferisce, in particolare, alle previsioni contenute nel D.Lgs. 175/2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), nel D.Lgs. 201/2022 (Testo unico in materia di servizi pubblici locali a rilevanza economica) e nel D.Lgs. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici).

La normativa nazionale è chiara, infatti, nel definire un rapporto tra i due enti che viaggia su due binari: uno pubblico[1], che è quello del controllo analogo esercitato dall’ente pubblico proprietario sulla sua partecipata, che incide sulla governance societaria; uno privato, paritario, che riguarda l’oggetto dell’affidamento, in particolare le obbligazioni contrattuali derivanti dal progetto/capitolato (o atti equivalenti) predisposto dall’ente pubblico affidante.

La richiamata normativa consente di superare gli orientamenti dottrinali[2] e giurisprudenziali[3] formatisi nel vuoto del diritto positivo sull’argomento[4] e che vedevano nell’in house – al tempo correttamente – l’assenza di un vero rapporto contrattuale intersoggettivo[5].

Tuttavia, si rileva che tali orientamenti continuano ad essere menzionati negli atti, nei pareri e nelle pronunce ma quando accade, spesso, il loro utilizzo, risulta decontestualizzato rispetto alla disciplina nazionale e ciò rende anacronistica la relativa argomentazione giuridica.

È il caso, ad esempio, del parere ANAC n. 36/2024, che si prende a riferimento in ragione della sua particolare forza a livello interpretativo derivante dalla previsione dell’art. 2, comma 3, del Codice dei contratti che esclude la colpa grave in capo all’agente se la violazione o l’omissione è determinata da pareri di autorità competenti[6] nonché per il fatto che questo viene ormai regolarmente richiamato nelle pronunce del Giudice contabile[7].

Il parere in questione sembra aver creato le premesse per un ritorno al passato, cioè per il ritorno a quella che si può definire “l’in house politica, dove non è mai stato chiaro il confine tra l’ente pubblico e la società, in particolare tra la politica e la gestione, con pregiudizio per il valore pubblico, il corretto utilizzo delle risorse pubbliche e la responsabilizzazione degli enti strumentali.

Il citato parere è stato emanato nell’ambito degli incentivi per funzioni tecniche di cui all’art. 45 del D.Lgs 36/2023 ma la sua portata appare generale, tanto è vero che, anche sulla base delle argomentazioni ivi sostenute, già si registrano pronunce del Giudice contabile, ad esempio in materia di personale, decisamente discutibili sotto il profilo dell’aderenza ai principi dell’ordinamento, tra cui quello costituzionale dell’obbligo del concorso quale condizione necessaria per l’impiego pubblico.

Il motivo per cui la sua portata appare generale deriva dal fatto che ANAC, nella sua ricostruzione, riconduce il rapporto tra l’ente pubblico e la sua società partecipata al solo rapporto di tipo pubblicistico, cioè quello esercitato mediante il controllo analogo. Esattamente come accadeva prima delle riforme sopra ricordate.

Infatti, a giustificazione della propria decisione, l’Autorità tratta il rapporto tra i due enti esclusivamente in temini di immedesimazione organica e ciò sul concetto – non contestualizzato – di longa manus[8]. In buona sostanza, la gestione in house viene equiparata ad una gestione totalmente interna, cioè a quella fatta con il lavoro dei dipendenti pubblici, in ragione del potere penetrante che l’ente proprietario esercita sulla partecipata con il controllo analogo.

L’errore macroscopico di tale interpretazione è quello di richiamare nozioni generali dell’in house per trattare una questione, quella degli incentivi tecnici (rectius quella del rapporto tra i due enti), che è speciale e si inserisce in un nuovo contesto normativo nazionale ben definito.

Al fine di suffragare quanto appena affermato, è possibile richiamare, oltre la legge, la recente statuizione della Suprema Corte attraverso la quale è stato chiarito che “[…] tirando le fila di quanto si è considerato, si deve dunque affermare che il controllo analogo non è un controllo assoluto come su un pubblico ufficio. E quindi non è un controllo gerarchico, essendo costituito dal controllo di un soggetto esterno e rimasto distinto, a ben guardare, da quello controllato. Detto controllo è limitato e deve “incidere sulla complessiva governance dell’attività della società in house”. Infatti, si tratta di “una mera prossimità ontologica, che non può essere confusa con l’assoluta identità” (Cass. civ., Sez. Un. 28 giugno 2022 n. 20632).

La Cassazione conferma quanto disposto dalla legge sul controllo analogo, cioè sul rapporto di tipo pubblicistico, ovverosia che è limitato alla governance societaria, in particolare alle decisioni fondamentali del soggetto controllato, a quelle sulle linee strategiche e – continuano le SU – “alle più importanti scelte operative”.

L’ovvia conseguenza di tale affermazione è che il controllo analogo non si estende all’oggetto dell’affidamento, cioè alle obbligazioni contrattuali.

Ulteriore conseguenza, anch’essa ovvia, è che il rapporto tra ente pubblico e società in house relativamente alle obbligazioni oggetto di affidamento può essere solo di tipo contrattuale, dunque paritario e civilistico.

Va ricordato, d’altronde, che la società in house è soggetta alla disciplina fallimentare, al pari di qualsiasi operatore privato, ex art. 14 del D.Lgs. 175/2016. E l’assoggettabilità alla disciplina fallimentare non sarebbe giuridicamente sostenibile se il rapporto tra ente pubblico e società in house fosse solo di natura pubblica, perché l’in house si concretizzerebbe in un ente privo di potere gestorio, dunque privo della responsabilità del fallimento.

Invece, l’in house mantiene una propria autonomia e l’ente pubblico non ha potere autoritativo rispetto alla gestione della commessa pubblica.

Come si vedrà in seguito, il rapporto contrattuale è ciò che nei fatti garantisce il buon andamento della società in house, il corretto utilizzo delle risorse pubbliche e il conseguimento degli obiettivi pubblici.

Una volta determinato che il rapporto contrattuale esiste e che questo riguarda il progetto oggetto di affidamento, tutto il resto è regolato di conseguenza: programmazione; progettazione; affidamento; personale; riconoscimento degli incentivi tecnici; giurisdizione.

 

  1. Perché il rapporto contrattuale è fondamentale nel nuovo contesto normativo

PROSEGUE SUL SITO DI ITALIAPPALTI.IT QUI 

Torna in alto