Tratto da: Lavori Pubblici
Un bando di gara che omette o richiama in modo generico i CAM è sempre impugnabile? Quando decorre il termine per ricorrere contro una lex specialis viziata da presunte illegittimità sull’art. 57 del D.Lgs. n. 36/2023? E in che misura il nuovo Codice dei contratti pubblici impone una responsabilizzazione degli operatori economici nella tutela degli interessi ambientali?
La sentenza del Consiglio di Stato del 25 luglio 2025, n. 6551 si candida a diventare un punto fermo nei contenziosi relativi ai CAM (Criteri Ambientali Minimi), con particolare riferimento alla tempestività dell’impugnazione della documentazione di gara non conforme all’art. 57 del d.lgs. n. 36/2023.
Il Collegio chiarisce che l’omessa declinazione dei CAM integra un vizio genetico della lex specialis e impone, in linea generale, un ricorso immediato. La decisione è di rilievo anche perché, pur confrontandosi con orientamenti giurisprudenziali differenti, esclude che sussista un contrasto insanabile tale da giustificare la rimessione all’Adunanza Plenaria.
La controversia nasce da una procedura aperta per l’affidamento triennale di servizi, per un valore di oltre 12 milioni di euro. Il quarto classificato aveva proposto ricorso dopo l’aggiudicazione in favore di un altro OE, deducendo l’illegittimità della lex specialis per violazione dei criteri ambientali minimi (CAM). Ricorso che il TAR aveva accolto, annullando l’intera gara per violazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 36/2023 e dichiarando l’inefficacia del contratto eventualmente stipulato.
A fondamento della decisione, il giudice di primo grado ha rilevato che la stazione appaltante:
- aveva omesso qualsivoglia riferimento ai CAM nella documentazione di gara (violazione dell’art. 83 d.lgs. 36/2023);
- aveva previsto solo 2 punti su 70 per la sostenibilità ambientale nell’offerta tecnica;
- si era limitata a richiami generici o formali ai CAM nei capitolati tecnici, senza effettiva declinazione delle specifiche tecniche e clausole contrattuali previste.
Ne è derivato l’appello della società aggiudicataria, contestando l’erroneità della sentenza per violazione dei principi affermati dall’Adunanza Plenaria n. 4/2018.
In particolare, secondo l’appellante:
- la mancata indicazione dei CAM integra un vizio genetico della lex specialis, da contestare entro 30 giorni dalla pubblicazione del bando;
- l’OE non aveva impugnato l’aggiudicazione per vizi propri né contestato i punteggi attribuiti;
- l’interesse a ricorrere non può fondarsi su una generica volontà di riedizione della gara, specie in assenza di prova di resistenza;
- la sentenza ha ignorato il principio di buona fede (art. 5 d.lgs. 36/2023), che impone all’operatore economico di segnalare tempestivamente ogni vizio impeditivo della partecipazione consapevole.
Il Consiglio di Stato ha colto l’occasione per ricostruire con precisione la disciplina dei CAM e l’onere processuale correlato. Vediamo i passaggi logici che hanno portato i giudici di Palazzo Spada ad accogliere l’appello.
L’art. 57, comma 2, del d.lgs. 36/2023 impone alle stazioni appaltanti di inserire nei documenti progettuali e di gara almeno le specifiche tecniche e le clausole contrattuali contenute nei CAM, adottati per ciascuna categoria di appalto con decreto del Ministero dell’ambiente. Tali criteri sono obbligatori e rappresentano strumenti attuativi dei principi costituzionali (artt. 9 e 41 Cost.) e delle direttive europee (in particolare artt. 67, 68 e 43 della direttiva 2014/24/UE).
Secondo il Collegio, i CAM vanno considerati sotto più profili:
- definizione dell’oggetto dell’affidamento;
- selezione dei candidati idonei a garantire prestazioni sostenibili;
- specifiche tecniche obbligatorie e premianti;
- clausole contrattuali ambientali;
- criteri di valutazione delle offerte economicamente più vantaggiose.
Pertanto, la loro omissione o generica indicazione costituisce una grave carenza nella lex specialis, che incide sulla possibilità stessa di formulare un’offerta consapevole. Proprio per questo, richiama il Collegio, la giurisprudenza ha già chiarito che i bandi con carenze essenziali vanno impugnati immediatamente.
Palazzo Spada in proposito individua tre ipotesi operative:
- a) Mancata indicazione totale dei CAM, che impone l’impugnazione immediata obbligatoria.
- b) Rinvio generico al decreto CAM, con una valutazione caso per caso, ma tendenziale necessità di impugnazione anticipata.
- c) Indicazione difforme dai CAM di riferimento che impone l’impugnazione solo se l’operatore dimostra che le clausole rendono impossibile o irragionevolmente difficoltosa la partecipazione. Si tratta dei casi in cui le prescrizioni ambientali, pur formalmente richiamate, risultano:
- manifestamente incomprensibili o contraddittorie;
- sproporzionate rispetto all’oggetto dell’appalto;
- eccessivamente gravose rispetto al valore dell’appalto o alla categoria merceologica;
- oppure tali da generare incertezza tecnica o metodologica, come ad esempio in presenza di:
- importi a base d’asta insufficienti a garantire il rispetto degli obblighi ambientali dichiarati;
- formule di valutazione errate o incomplete;
- criteri premianti scollegati dal contenuto effettivo dei CAM;
- obblighi ambientali solo parzialmente richiamati, ma con effetto escludente implicito.
In questi casi, chiarisce il Consiglio di Stato, l’onere della prova ricade sull’operatore economico, che deve dimostrare come la difformità rispetto ai CAM abbia inciso in modo determinante sulla possibilità di formulare un’offerta valida, competitiva e conforme. Solo in presenza di tale prova, il vizio può essere ritenuto impeditivo e giustificare l’impugnazione anche in assenza di una carenza totale o di un mero rinvio generico.
Nel caso di specie, le censure del ricorrente rientravano pienamente nel caso a), avendo contestato in radice la mancanza o genericità della regolazione ambientale nella lex specialis, motivo per cui avrebbe dovuto impugnare il bando immediatamente e non dopo l’aggiudicazione.
La sentenza valorizza inoltre i principi generali del nuovo Codice, in particolare:
- il principio della buona fede e della responsabilizzazione dell’operatore economico (art. 5), che impone a quest’ultimo di attivarsi tempestivamente in caso di incertezze sulla portata degli obblighi di gara;
- il principio del risultato, che concorre a dare sostanza al principio di legalità, orientando l’attività amministrativa verso obiettivi concreti, tra cui la sostenibilità ambientale.
Il Collegio sottolinea che l’interesse all’annullamento della procedura non può essere perseguito in via differita quando l’operatore era in grado di percepire sin dall’inizio i vizi lamentati. L’applicazione dei CAM non può essere usata come strumento per rimettere in discussione, ex post, regole di gara che avrebbero dovuto essere immediatamente contestate. In mancanza di ciò, si compromette la certezza del procedimento e si svuota di contenuto il principio di collaborazione procedimentale tra amministrazione e concorrenti.
Alla luce di quanto sopra, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello e ha riformato la sentenza di primo grado, dichiarando irricevibile il ricorso del quarto classificato.
Si ribadiscono così alcuni principi fondamentali per la gestione delle gare pubbliche in materia di criteri ambientali minimi:
- l’omessa o generica indicazione dei CAM costituisce un vizio genetico della lex specialis che impone ricorso immediato;
- le censure che contestano in radice l’impostazione ambientale della gara sono soggette al termine decadenziale ordinario ex art. 120, c. 2-bis, c.p.a.;
- l’operatore economico deve attivarsi subito e non può attendere l’esito della procedura per sollevare censure che avrebbe potuto (e dovuto) formulare prima;
- la responsabilizzazione degli operatori e il rispetto dei principi di buona fede e risultato costituiscono elementi chiave del nuovo Codice e devono orientare la partecipazione alle gare e il contenzioso.