tratto da biblus.acca.it

Un ordine di demolizione può essere annullato se riporta dati catastali sbagliati? Una nuova sentenza del CGAS chiarisce gli effetti delle irregolarità formali nei provvedimenti repressivi edilizi.

La sentenza n. 492/2025 del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana affronta la validità degli ordini di demolizione in presenza di errori formali, come l’errata indicazione dei dati catastali dell’immobile fornendo chiarimenti sulla rilevanza giuridica di tali imprecisioni e ribadendo alcuni principi fondamentali in materia di sanzioni edilizie.

Il caso

Con ordinanza del Comune, veniva ingiunta la demolizione di un fabbricato realizzato senza titolo edilizio, in zona agricola soggetta a vincoli ambientali. L’opera, secondo quanto riportato nel provvedimento, era in corso di realizzazione su una piattaforma sopraelevata rispetto al piano stradale, e articolata su due livelli, con struttura in cemento armato, copertura lignea e finiture parzialmente completate. L’immobile, secondo quanto accertato, era localizzato su un terreno soggetto a vincoli paesaggistici e ambientali, ricadente in Zona E1 del PRG comunale.

Il destinatario dell’ordinanza proponeva ricorso al TAR, sostenendo che l’atto fosse viziato per vari motivi, tra cui l’omessa valutazione di una domanda di sanatoria e l’indicazione errata dei dati catastali. Il TAR respingeva il ricorso e l’interessato proponeva appello al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana per i seguenti motivi:

  • difetto di istruttoria e motivazione –indicazione errata dei dati catastali: prima della notifica dell’ordinanza di demolizione, era stata presentata al Comune una richiesta di sanatoria, che avrebbe dovuto sospendere l’ordinanza stessa. La sentenza del TAR ha invece considerato erroneamente che la richiesta di sanatoria fosse successiva all’ordinanza, quando invece era precedente. Inoltre, l’ordinanza è illegittima perché riguarda un bene inesistente: le opere indicate non si trovavano all’indirizzo menzionato, ma altrove;
  • errore nel non riconoscere la necessità di motivazione dell’ordinanza di demolizione: il giudice di primo grado ha rigettato il secondo motivo di ricorso, sostenendo che l’ordinanza non necessitasse di ulteriore motivazione. L’appellante invece sostiene che, dato il tempo trascorso tra la realizzazione dell’immobile e l’ordinanza, si era formata una legittima aspettativa di liceità, che avrebbe richiesto una motivazione chiara e dettagliata da parte del Comune;
  • errore nel ritenere che la demolizione debba riguardare l’intero edificio: la sentenza ha rigettato il terzo motivo di ricorso, confermando che la demolizione debba coinvolgere tutto il manufatto, cosa contestata dall’appellante.

La demolizione poteva essere ordinata senza aver prima esaminato l’istanza di sanatoria presentata al Comune?

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ha respinto integralmente l’appello, confermando la legittimità dell’ordinanza di demolizione.

In via preliminare, il Collegio dichiara parzialmente inammissibile il primo motivo di appello, nella parte in cui si contesta la demolizione di un bene inesistente per l’errata indicazione di numero civico e particella catastale. Tale questione non è stata sollevata nel ricorso di primo grado e quindi non può essere introdotta in appello, in base al divieto di ius novorum (art. 104, comma 1, c.p.a.), che impedisce di ampliare i motivi di impugnazione nel secondo grado di giudizio.
In ogni caso, anche sul merito, il motivo è infondato: in materia di ordini di demolizione, l’errata indicazione catastale è solo un’irregolarità formale che non invalida il provvedimento, se contiene una descrizione dettagliata delle opere da demolire, che ne consenta l’identificazione precisa per l’esecuzione. Eventuali correzioni possono essere fatte successivamente in fase esecutiva.
Nel caso in esame, il Comune ha indicato i dati catastali relativi al terreno, non i nuovi dati post-accatastamento, ma ha comunque descritto in modo preciso le opere abusive da demolire.

Sempre con il primo motivo, si sostiene che la demolizione non poteva essere ordinata senza aver prima esaminato l’istanza di sanatoria presentata al Comune.

Il Tribunale ha sbagliato nel considerare tale istanza successiva all’ordinanza di demolizione, ma il motivo è comunque infondato.
Infatti, al momento della notifica del provvedimento, non era pendente alcuna istanza di sanatoria, perché su quella presentata era già intervenuto il silenzio-rigetto, come previsto dall’art. 36 del D.P.R. 380/2001.

La norma stabilisce che se entro 60 giorni non si pronuncia il responsabile comunale, la richiesta si considera rifiutata. Non risulta che tale silenzio-rigetto sia stato impugnato, per cui esso si è consolidato e legittima l’ordinanza di demolizione.

Quando un ordine di demolizione di opere abusive richiede una motivazione specifica sull’interesse pubblico e in quali casi si può escludere la tutela del legittimo affidamento?

La sentenza è stata contestata perché ha respinto il ricorso che lamentava l’illegittimità dell’ordine di demolizione, emesso molto tempo dopo la realizzazione delle opere abusive. Il ricorrente invocava il principio del legittimo affidamento, ma il giudice ha chiarito che per opere prive di titolo edilizio l’ordine di demolizione è sempre obbligatorio e non richiede motivazioni sull’interesse pubblico. Il legittimo affidamento non si applica in questi casi. È stato respinto anche il motivo relativo alla presunta legittimità del piano terra dell’edificio, poiché la documentazione presentata dimostra che si tratta di una ricostruzione e non di una parte originaria conservata.

In conclusione, il Consiglio, definitivamente pronunciando sull’appello, lo respinge.

Le irregolarità formali, come l’indicazione sbagliata dei dati catastali, non sono sufficienti a invalidare un ordine di demolizione se l’immobile abusivo è descritto con precisione. Inoltre, il decorso del tempo o l’inerzia dell’amministrazione non possono mai legittimare condotte edilizie prive di titolo.

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