tratto da leautonomie.it - a cura di Luigi Oliveri

Nell’articolo su Il Sole 24 ore del 27 maggio 2024 “Concorsi, da definire i gettoni ai commissari”, Arturo Bianco affronta il problema dell’approvazione di regolamenti locali, in conseguenza della novella recente al dPR 487/1994.

In quanto alla necessità del regolamento, l’articolo 18-bis del dPR 487/1994, come novellato dal dPR 82/2023, dispone: “Le regioni e gli enti locali si conformano alle disposizioni del presente regolamento ai sensi dell’articolo 70, comma 13, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”.

Dunque, sebbene il regolamento sia opportuno, esso non è oggettivamente necessario. La conformazione alle disposizioni del dPR 487/1994 è anche possibile, senza alcun regolamento specifico, semplicemente mediante i bandi e le regole di gara.

Coi regolamenti, anzi, v’è il rischio fondatissimo che gli enti locali pensino di poter disporre di un’autonomia normativa talmente ampia ed estesa da introdurre disposizioni incompatibili con le norme e l’esperienza insegna che i regolamenti sui concorsi sono l’archetipo di discipline caratterizzate dal moltissimi vizi.

Tra questi vizi, come correttamente segnala il Bianco, quello di configurare come “escludenti” gli accertamenti delle capacità manageriali (qualunque cosa voglia dire), nonchè le “capacità comportamentali, incluse quelle relazionali, e le attitudini” (come previsto dall’articolo 35-quater del d.lgs 165/2001 e dall’articolo 7, comma 8, del dPR 487/1994). In sostanza, moltissime amministrazioni considerano le modalità di accertamento di tali elementi come “prove” autonome: la conseguenza è che il loro mancato “superamento” implichi l’inidoneità all’assunzione o al prosieguo del concorso, a seconda del momento nel quale si collocano tali accertamenti.

E’ un chiarissimo travisamento degli intenti della norma. Leggiamo quanto è scritto nell’articolo 35-quater, comma 1, lettera a), secondo e terzo periodo, del d.lgs 165/2001: “Le prove di esame sono finalizzate ad accertare il possesso delle competenze, intese come insieme delle conoscenze e delle capacità logico-tecniche, comportamentali nonché manageriali, per i profili che svolgono tali compiti, che devono essere specificate nel bando e definite in maniera coerente con la natura dell’impiego, ovvero delle abilità residue nel caso dei soggetti di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68. Per profili iniziali e non specializzati, le prove di esame danno particolare rilievo all’accertamento delle capacità comportamentali, incluse quelle relazionali, e delle attitudini”.

Dovrebbe risultare evidente che gli accertamenti di cui si parla non sono “prove” a se stanti, bensì metodi da considerare per definire le prove di esame.

Esse, quindi, sono da considerare composte da sistemi di verifica delle conoscenze, con sistemi di rilevazione delle capacità logiche e tecniche e di quelle comportamentali e anche di quelle “manageriali” queste ultime solo per profili che le richiedano.

La prova scritta, quindi, non necessariamente deve essere rivelatrice del parco di cognizioni teoriche, ma impostata anche in modo tale da indurre il concorrente a calare le cognizioni in un ambito operativo specifico, inserendo anche percorsi di ragionamento logico e sue riflessioni sui modi di relazione tra soggetti.

Nulla esclude che la prova possa anche svolgersi in momenti distinti, alcuni dedicati anche a colloqui o strumenti specificamente dedicati alle “attitudini”.

Ma, in ogni caso l’attitudine concorre solo all’esito della prova complessiva, non potendo giungere ad un giudizio attitudinale: si trasformerebbe il concorso in altra cosa. E’ perfettamente possibile, de iure condendo, trasformare il concorso in una modalità selettiva diversa “come nel privato”. Ma, per non restare negli slogan, per giungere a ciò:

  1. occorre modificare l’articolo 97 della Costituzione (auguri);
  2. il “privato” la vera e propria selezione attitudinale non la realizza con i colloqui o le modalità di reclutamento, che hanno prevalentemente lo scopo dello sfoltimento delle domande: l’attitudine, le capacità, le esperienze il privato le misura sul campo. Perchè l’autonomia contrattuale infinitamente maggiore consente di attivare un tirocinio, oppure un apprendistato (ma quello vero, non il simulacro inefficace introdotto dal d.l. 44/2023 nella PA), o inizialmente prova a farsi somministrare la persona e, comunque, parte con un tempo determinato, così da giungere al consolidamento del rapporto di lavoro dopo e non prima aver verificato dal vero le attitudini. Infine, il “privato” prende il periodo di prova molto più sul serio di quanto non accada nel pubblico.

Dunque, in attesa di modifiche della Costituzione e della disciplina del reclutamento del lavoro nella PA, la configurazione delle prove attitudinali come di “idoneità” è una fuga in avanti palesemente contrastante con l’ordinamento.

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