In materia di IMU, l’edificabilità di un’area, e la conseguente assoggettabilità ad imposizione secondo il valore venale in comune commercio, deve essere desunta dalla sua qualificazione urbanistica (come risulta dal Piano Regolatore Generale adottato dal Comune), a prescindere dalla sua classificazione catastale.
Pertanto aree urbane classificate in catasto come F1 e prive di rendita catastale – come cortili, giardini contigui ad abitazioni, campi da gioco scoperti e parcheggi – vanno considerate, ai fini Imu, di regola, come aree edificabili e non come aree meramente pertinenziali.
È quando stabilisce la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26673 del 3 ottobre 2025 precisando che le aree urbane non sono né fabbricati né terreni agricoli, ma devono essere qualificate ai fini IMU come aree fabbricabili nell’accezione prevista dalla normativa, se conservano le loro potenzialità edificatorie secondo la pianificazione urbanistica.
La natura pertinenziale di un’area non è incompatibile con il suo carattere edificabile e non ne esclude l’autonoma tassabilità, a meno che l’area non sia stata oggetto di una destinazione oggettiva e funzionale di servizio non revocabile e tale da escluderne stabilmente l’edificazione.
Il nucleo della controversia riguarda la richiesta di rimborso parziale dell’IMU negata da un Comune sul presupposto che una vasta area urbana pertinenziale (di circa 11.795 m2), pur classificata al catasto in una categoria fittizia con rendita nulla dovesse comunque considerarsi area fabbricabile in base alla pianificazione urbanistica e quindi assoggettata a IMU in base al valore venale.
La Corte Suprema di Cassazione ha rigettato il ricorso originario della contribuente, confermando il diniego di rimborso IMU da parte del Comune.
La Corte – stabilendo che la CTR aveva errato non considerando la destinazione urbanistica dell’area – precisa che:
- la base imponibile per le aree, ai fini IMU, è determinata dal valore venale come area fabbricabile se la qualificazione urbanistica lo prevede, indipendentemente dalla classificazione catastale come area urbana con rendita nulla;
- la natura pertinenziale non esclude la tassazione come area edificabile, a meno che tale vincolo non sia irreversibile e non abbia escluso stabilmente l’edificazione.
L’asservimento pertinenziale – la cui prova incombe sul contribuente – ricorre, secondo i giudici, ove il bene non sia semplicemente posto al servizio od ornamento di un altro, ma quando tale destinazione sia durevole (sul piano soggettivo ed oggettivo) e non sia possibile una destinazione diversa senza una radicale trasformazione del bene pertinenziale.
Ricordano i giudici che al contribuente che non abbia evidenziato l’esistenza della pertinenza nella dichiarazione preventiva non è consentito contestare l’atto impositivo con cui l’area asseritamente pertinenziale viene assoggettata a tassazione, deducendo solo nel giudizio la sussistenza del vincolo di pertinenzialità; in difetto di dichiarazione preventiva da parte dei contribuenti, l’area pertinenziale, costituendo parte integrante del fabbricato cui accede, perde autonoma rilevanza ai fini impositivi, nonostante l’edificabilità prevista dalla pianificazione urbanistica (generale ed attuativa), sempre che l’ente impositore abbia avuto contezza, attraverso l’acquisizione di documenti o l’assunzione di informazioni, anche se per finalità extratributarie, del vincolo di pertinenzialità – desumibile dall’accertamento in fatto della stabile e durevole destinazione del bene accessorio a servizio o ornamento del bene principale – prima dell’anno di imposta a cui si riferisce l’avviso di accertamento.
Nel caso in esame, nulla è stato allegato a tale riguardo dalla contribuente, che, pertanto, non può far valere l’accessorietà dell’area urbana al locale adibito a deposito per ottenere l’esenzione dal tributo. La Corte ha quindi annullato la sentenza di secondo grado e ripristinato l’esito del primo grado, respingendo le pretese della contribuente.


