Tratto da: Lavori Pubblici
Quali poteri ha davvero la P.A. nei confronti della comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA)? È possibile dichiararne l’inefficacia? È corretto assimilare la CILA alla segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)? E in caso di uso improprio della comunicazione asseverata, quali strumenti può utilizzare il Comune per ripristinare la legalità?
A queste domande abbiamo provato a dare risposta più volte su queste pagine, alla luce dei numerosi interventi della giustizia amministrativa che, sul tema, ha offerto ormai un orientamento consolidato. È il caso della sentenza n. 6322 del 17 luglio 2025, con cui il Consiglio di Stato si pronuncia sulla dichiarazione di inefficacia di una CILA presentata per un cambio funzionale di utilizzo, da abitazione ultrapopolare a locale commerciale, accompagnato da opere interne di tramezzatura, finitura e rifinitura.
In particolare, nonostante il parere favorevole dell’ASL per l’attività di ristorazione, il Comune ha dichiarato l’inefficacia della CILA per contrasto urbanistico, invocando le norme tecniche di attuazione del PRG che non ammettevano attività commerciali nei locali seminterrati.
Il provvedimento comunale è stato impugnato dinanzi al TAR, con censure incentrate sulla presunta carenza di potere, sull’affidamento maturato dal privato per il lungo tempo trascorso dall’intervento, sulla violazione del contraddittorio procedimentale e sull’insussistenza di un effettivo contrasto con le previsioni urbanistiche delle NTA.
Le censure sono state respinte in primo grado, con conseguente appello dinanzi al Consiglio di Stato, fondato su due principali argomentazioni:
- con la prima viene sostenuto che la CILA condividerebbe la stessa natura giuridica della SCIA e che, pertanto, i controlli comunali sarebbero soggetti ai limiti temporali e formali di cui all’art. 19 della legge n. 241/1990;
- con la seconda viene contestato l’affermazione dei giudici di primo grado secondo cui il Comune avrebbe legittimamente agito nell’ambito dei poteri di vigilanza previsti dall’art. 27 del Testo Unico Edilizia. A suo avviso, la dichiarazione di inefficacia della CILA sarebbe invece priva di base normativa e configurerebbe l’esercizio di un potere atipico, non riconducibile al quadro di interventi espressamente disciplinato dal TUE.
Molto interessante è la risposta del Consiglio di Stato che, preliminarmente si concentra sulla natura giuridica della CILA. In particolare, i giudici di Palazzo Spada ricordano che la comunicazione di inizio lavori asseverata rappresenta uno degli strumenti cardine del processo di liberalizzazione delle attività edilizie, introdotto per semplificare il quadro procedimentale e rendere più efficiente il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione.
La CILA, disciplinata oggi all’art. 6-bis del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), si colloca in posizione residuale rispetto agli interventi soggetti a edilizia libera, SCIA o permesso di costruire, e si applica agli interventi edilizi che, pur non rilevando sul piano strutturale, richiedono comunque una progettazione tecnica e il rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia vigente.
Dal punto di vista operativo, la CILA consiste in un elaborato progettuale accompagnato da un’asseverazione a firma di un tecnico abilitato, il quale, sotto la propria responsabilità, attesta la conformità dell’intervento agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi, alla normativa antisismica e a quella sul rendimento energetico. Il privato, una volta trasmessa la comunicazione, può avviare immediatamente i lavori senza attendere alcuna autorizzazione formale da parte dell’amministrazione.
Come sottolineato dal Consiglio di Stato, la CILA condivide con la SCIA lo schema “norma–fatto–effetto”, tipico degli istituti di liberalizzazione, in cui l’effetto abilitante discende direttamente dalla legge al ricorrere di determinati presupposti di fatto. Tuttavia, rispetto alla SCIA, la CILA si caratterizza per un livello di formalizzazione inferiore e per l’assenza di poteri conformativi o inibitori in capo alla pubblica amministrazione, che resta comunque titolare dei poteri di vigilanza e repressione degli abusi di cui agli artt. 27 e ss. del Testo Unico Edilizia.
L’inquadramento attuale della CILA discende dalla riforma operata dal d.lgs. n. 222/2016 (SCIA 2), attuativo della Legge n. 124/2015 (c.d. Riforma Madia), la quale, in linea con i principi di proporzionalità, ragionevolezza e liberalizzazione promossi a livello europeo (Direttiva Bolkestein), ha razionalizzato l’intero sistema dei titoli abilitativi edilizi, assegnando alla CILA una funzione chiara: semplificare l’accesso agli interventi minori, pur nel rispetto dei presupposti tecnici e normativi.
Ciò premesso, il Consiglio di Stato prende le distanze da un orientamento giurisprudenziale che, pur muovendo dalla comune matrice liberalizzatrice della CILA e della SCIA, giunge a sovrapporre integralmente i rispettivi regimi giuridici. In particolare, viene rigettata l’idea che alla CILA possano essere applicati per analogia i poteri inibitori, conformativi e di autotutela previsti per la SCIA dall’art. 19 della Legge n. 241/1990. Secondo il Collegio, tale estensione non trova alcun fondamento nel diritto positivo e si pone in contrasto con il principio di legalità che governa l’esercizio del potere amministrativo.
La CILA, infatti, non prevede alcuna forma di controllo strutturato da parte della P.A., ma si configura come una comunicazione meramente informativa, volta a rendere noto l’avvio dei lavori da parte del privato. Diversamente dalla SCIA, che sostituisce il titolo abilitativo con una segnalazione soggetta a controlli a posteriori formalizzati, la CILA non legittima l’esercizio di poteri di secondo grado come l’autotutela, ma solo l’attivazione del potere sanzionatorio in caso di omessa presentazione o utilizzo improprio.
Questa differenziazione sarebbe frutto di una precisa scelta normativa – e non di una lacuna – che riflette il diverso impatto degli interventi edilizi riconducibili alla CILA, generalmente di modesta entità, rispetto a quelli soggetti a SCIA o permesso di costruire. L’assenza di poteri inibitori o conformativi troverebbe giustificazione proprio nel minor carico urbanistico generato da tali interventi, che giustifica un controllo ex post ridotto all’essenziale.
Il Consiglio di Stato ha ribadito, tuttavia, che anche in presenza di CILA restano in vigore i poteri di vigilanza di cui agli artt. 27 e ss. del Testo Unico Edilizia. Quando la comunicazione viene utilizzata in modo distorto – ad esempio per interventi che richiederebbero una SCIA o un permesso – il Comune può legittimamente esercitare i propri poteri repressivi, fino a dichiarare l’inefficacia della CILA stessa.
In tal senso, la dichiarazione di inefficacia non rappresenta un atto di autotutela in senso tecnico, ma un intervento di vigilanza volto a ripristinare la legalità edilizia nei casi di radicale difformità dal paradigma normativo.
Ad avviso del Consiglio di Stato, questa impostazione, coerente con il parere della Commissione Speciale del Consiglio di Stato n. 1784/2016 e con i più recenti orientamenti della Corte costituzionale (sentenza n. 88/2025), consente di affermare con chiarezza che CILA e SCIA, pur condividendo finalità di semplificazione, costituiscono strumenti autonomi e non sovrapponibili, ciascuno dotato di un proprio regime giuridico e di un distinto apparato di controlli.
Il Consiglio di Stato ha, dunque, integralmente rigettato l’appello e negato la possibilità di estendere alla CILA il regime giuridico della SCIA. Le argomentazioni si fondano su:
- distinzione strutturale tra CILA e SCIA: la prima ha natura meramente informativa, la seconda certificativa. In assenza di uno specifico potere inibitorio o conformativo, alla CILA si applicano solo i poteri sanzionatori previsti dall’art. 6-bis, d.P.R. n. 380/2001;
- divieto di analogia in malam partem: il Collegio sottolinea che la mancata previsione di poteri di secondo grado (autotutela, inibizione, conformazione) non è una lacuna normativa, ma una precisa scelta del legislatore (ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit);
- autonomia funzionale della CILA: mentre la SCIA è sottoposta a un controllo sistematico e tempestivo, la CILA è semplicemente soggetta a verifica della corrispondenza tra quanto comunicato e quanto effettivamente realizzato.
Il principale riferimento normativo per la CILA è l’art. 6-bis del d.P.R. n. 380/2001, che individua questa comunicazione asseverata come titolo abilitativo per tutti quegli interventi che non rientrano tra l’edilizia libera (art. 6), la SCIA (art. 22) o il permesso di costruire (art. 10). La norma stabilisce che la comunicazione deve essere presentata prima dell’avvio dei lavori e accompagnata da un’asseverazione tecnica; in caso contrario, è prevista una sanzione pecuniaria pari a 1.000 euro, ridotta di due terzi se la comunicazione viene comunque presentata in corso d’opera.
Diverso è il regime previsto per la SCIA, disciplinato dall’art. 19 della legge n. 241/1990, che prevede specifici poteri inibitori e di autotutela in capo all’amministrazione, esercitabili entro termini stringenti e secondo modalità ben definite. Questi poteri non si estendono alla CILA, che – come chiarito dalla giurisprudenza – non è soggetta a controlli formali strutturati.
Resta fermo, infine, che anche in presenza di CILA l’amministrazione può attivare i propri poteri di vigilanza e repressione degli abusi edilizi, previsti dagli articoli 27 e seguenti del Testo Unico Edilizia. In particolare, tali poteri possono essere esercitati nei casi in cui la CILA venga utilizzata impropriamente per interventi che richiederebbero un diverso titolo abilitativo.
Il Consiglio di Stato valorizza il principio di legalità come limite invalicabile all’azione amministrativa. Non essendovi nella legge un’espressa previsione dei poteri di autotutela per la CILA, questi non possono essere ricavati per analogia. A differenza della SCIA, in cui il silenzio dell’amministrazione può comportare la formazione del titolo, la CILA non genera alcun affidamento “consolidato”, trattandosi di un mero atto del privato.
La sentenza conferma che:
- l’amministrazione non può annullare la CILA con provvedimenti di autotutela assimilabili alla SCIA;
- può tuttavia dichiararne l’inefficacia in caso di uso distorto dello strumento, come quando la comunicazione venga utilizzata per interventi soggetti a SCIA o permesso di costruire;
- permane il potere di repressione dell’abuso edilizio ai sensi dell’art. 27 TUE, anche d’ufficio o su istanza di terzi.
La sentenza conferma l’orientamento ormai consolidato che riconosce al Comune la possibilità di dichiarare l’inefficacia della CILA nei casi in cui venga utilizzata in modo improprio.
Ne discendono alcune indicazioni operative:
- la CILA non può essere utilizzata per legittimare interventi soggetti a SCIA o permesso di costruire;
- la pubblica amministrazione non dispone dei poteri di autotutela tipici della SCIA (annullamento, sospensione, conformazione);
- in caso di abuso, l’ente può ricorrere ai poteri repressivi ordinari ex art. 27 TUE (ingiunzione di demolizione, sanzioni, dichiarazione di inefficacia);
- il professionista tecnico è tenuto a verificare attentamente l’assoggettabilità degli interventi edilizi alla CILA, evitando impropri utilizzi dello strumento che potrebbero esporre il committente a contenziosi e sanzioni.
Un utilizzo improprio della CILA può esporre il titolo a un giudizio di radicale inidoneità giuridica, con conseguente repressione dell’abuso: la verifica preventiva della corretta qualificazione dell’intervento resta, quindi, un passaggio essenziale.