Tratto da: Lavori Pubblici  

Può il giudice amministrativo accertare autonomamente l’esistenza di un collegamento sostanziale tra imprese che partecipano alla stessa gara? E quali elementi devono emergere affinché si possa ritenere integrata una relazione idonea a compromettere la par condicio dei concorrenti?

Con la sentenza del 14 agosto 2025, n. 7041 il Consiglio di Stato ha fornito un importante chiarimento in materia di partecipazione plurima di imprese riconducibili a un medesimo centro decisionale, definendo i confini del potere valutativo del giudice e dell’onere probatorio in capo alla stazione appaltante.

 

Una società, aggiudicataria di un lotto per la gestione di una spiaggia libera attrezzata, si era vista annullare l’aggiudicazione dal TAR Liguria, che aveva ravvisato un collegamento sostanziale con un’altra impresa risultata vincitrice di un lotto diverso della medesima procedura.

Il TAR aveva fondato il proprio giudizio su legami di parentela e partecipazioni incrociate tra soci delle due società, ritenendo che tali elementi dimostrassero l’esistenza di una “intesa sulla ripartizione” dei lotti e quindi la violazione del vincolo di aggiudicazione previsto dal disciplinare di gara.

L’impresa esclusa ha proposto appello, sostenendo che il TAR avesse sostituito la propria valutazione a quella della stazione appaltante, in assenza di prove concrete di un’unica direzione imprenditoriale o di un condizionamento reciproco nella formulazione delle offerte.

Il d.lgs. n. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici) dedica all’argomento diverse disposizioni di rilievo, a partire dall’art. 58, comma 4, che disciplina il vincolo di aggiudicazione, imponendo alle stazioni appaltanti di indicare nel bando “il criterio non discriminatorio di selezione del lotto o dei lotti da aggiudicare al concorrente utilmente collocato per un numero eccedente tale limite”.

Tale vincolo, di natura antitrust, mira a prevenire concentrazioni di potere economico e ad assicurare un effettivo confronto concorrenziale, in coerenza con i principi di cui all’art. 1 del Codice (buon andamento, risultato, fiducia e concorrenza).

Sul piano civilistico, il riferimento è all’art. 2359 c.c., che distingue tra società controllate e collegate, consentendo di accertare se tra imprese vi sia un controllo formale o una “influenza notevole”. Tuttavia, come ricorda Palazzo Spada, il collegamento sostanziale può emergere anche in assenza di un controllo formale, ma solo quando la relazione di fatto tra imprese è tale da compromettere la segretezza e la genuinità delle offerte.

Infine, la giurisprudenza unionale, richiamata dal Consiglio di Stato, ribadisce che l’esclusione dalla gara di operatori collegati non può avvenire in modo automatico: spetta sempre all’amministrazione dimostrare, sulla base di indizi plurimi, precisi e concordanti, che il collegamento ha concretamente inciso sul regolare svolgimento della procedura (CGUE, 19 giugno 2019, C-41/18).

Palazzo Spada, richiamando la propria consolidata giurisprudenza ha delineato un percorso istruttorio in tre fasi per accertare la sussistenza di un unico centro decisionale:

  1. Verifica della situazione di controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c.;
  2. In mancanza di controllo formale, analisi della relazione di fatto tra imprese, per accertare se esistano legami tali da consentire condizionamenti reciproci nella formulazione delle offerte;
  3. Qualora tale relazione emerga, verifica “ab externo” dell’unicità del centro decisionale, sulla base di elementi strutturali o funzionali (organi di vertice, sedi, amministratori, assetti proprietari) o, in ultima istanza, del contenuto delle offerte stesse.

Nel caso in esame, il Consiglio di Stato ha ritenuto che gli indici presuntivi valorizzati dal TAR (parentela tra soci e partecipazioni incrociate) non fossero univoci né idonei a dimostrare la presenza di un centro decisionale unico.

Tali elementi, osserva il Collegio, “si prestano a letture alternative” e rappresentano al più un sospetto, non sufficiente per incidere sulla libertà e segretezza delle offerte.

Fondamentale è la precisazione secondo cui l’onere della prova grava sulla stazione appaltante o su chi contesti la legittimità della partecipazione: spetta a costoro dimostrare, attraverso fatti concreti, che il collegamento ha determinato una violazione effettiva dei principi di concorrenza e par condicio.

Il giudice amministrativo, aggiunge il Consiglio, può solo verificare la logicità e la coerenza della valutazione della P.A., ma non può sostituirsi ad essa con una propria valutazione autonoma e “sostitutiva”, come invece accaduto nel caso deciso dal TAR.

Il Consiglio di Stato ha quindi accolto l’appello e riformato la sentenza di primo grado, respingendo il ricorso originario. In motivazione si legge che “Dalla ricostruzione del primo Giudice emerge un sospetto di collegamento ma nulla più. […] Gli intrecci societari esistono e non sono contestati, ma non bastano da soli a provare un collegamento sostanziale. Occorre che sia individuato, e non semplicemente sospettato, un unitario centro decisionale.”

Con la sentenza si riafferma che il collegamento sostanziale tra imprese deve essere dimostrato attraverso indizi concreti e concordanti, e non può fondarsi su semplici rapporti di parentela o intrecci societari.

La decisione chiarisce che:

  • l’onere della prova grava sulla stazione appaltante o su chi solleva l’eccezione;
  • il giudice amministrativo può solo verificare la ragionevolezza e coerenza della valutazione della P.A., senza sostituirsi a essa;
  • l’applicazione del vincolo di aggiudicazione ex art. 58, comma 4, d.lgs. 36/2023 deve poggiare su un accertamento istruttorio effettivo e documentato.

Una pronuncia che segna un punto fermo: la tutela della concorrenza non può trasformarsi in un controllo sostitutivo del giudice, ma deve restare ancorata a un corretto equilibrio tra potere istruttorio della P.A. e garanzia di par condicio per gli operatori economici.

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