La sez. I Napoli del TAR Campania, con la sentenza 6 novembre 2025, n. 7159 (est. D’ALTERIO) conferma la piena legittimità della revoca operata dal Consiglio comunale del Collegio dei revisori dei conti (organo interno) a seguito di reiterata violazione del Regolamento di contabilità, con ritardi e aggravi procedimentali riflessi direttamente sulla funzionalità del Comune in non palese contrasto con i doveri di “collaborazione” (assunti peraltro a principio generale dalla legge n. 241/1990, positivizzati, anche dal Codice dei contratti pubblici).
La revoca
Il provvedimento di revoca dell’incarico del revisore o dei componenti del Collegio dei revisori dei conti è un tipico provvedimento di secondo grado, espressione del potere discrezionale ed autoritativo, cui si applica la disciplina in materia di comunicazione di avvio del procedimento, insistendo su una precedente statuizione di tipo autoritativo e pubblicistico: l’affidamento dell’incarico di revisore contabile non costituisce esercizio della generale capacità di diritto privato riconosciuta agli enti pubblici ma è espressione del conferimento di un munus publicum correlato all’esercizio di poteri pubblicistici[1].
Appurata la natura pubblicistica dell’atto a monte di conferimento dell’incarico, se ne deve inferire che sullo stesso l’Amministrazione possa intervenire, esercitando esclusivamente poteri di autotutela pubblicistica anche per evidenti ragioni di simmetria: si tratta di una revoca di una funzione pubblica, espressione dell’esercizio di poteri di diritto pubblico[2], con la conseguenza che devono ritenersi configurabili esclusivamente posizioni giuridiche soggettive di interesse legittimo, la cui cognizione è devoluta alla giurisdizione generale di legittimità del GA[3].
Fatto
Nella sua essenzialità, il Tribunale viene chiamato per verificare la legittimità di una deliberazione del Consiglio comunale di revoca del Collegio dei revisori dei conti, a fronte di una serie di gravi inadempienze (contestazioni di ritardi e del costante aggravio procedimentale nello svolgimento dei propri compiti) tali da incidere sulla stessa gestione economico finanziaria.
A difesa la parte ricorrente deduce l’assenza dei presupposti legali per l’esercizio del potere di revoca, in relazione all’unica ipotesi tassativamente prevista dal comma 2, dell’art. 235, Durata dell’incarico e cause di cessazione, del TUEL («Il revisore è revocabile solo per inadempienza ed in particolare per la mancata presentazione della relazione alla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto entro il termine previsto dall’articolo 239, comma 1, lettera d)»), avendo il Collegio dei revisori provveduto tempestivamente alla presentazione della relazione al rendiconto.
La collaborazione
Il ricorso viene dichiarato infondato (con condanne alle spese), partendo dall’analisi del dato normativo ove l’ipotesi di revoca non è collegata ad una singola ipotesi tipicizzata, quanto invece da una specificazione delle possibili inadempienze del Collegio dei revisori che è tenuto in relazione al quadro normativo ove alla lettera a), del comma 1, dell’art. 239, Funzioni dell’organo di revisione, primeggia (in un decalogo di competenze) una generale «attività di collaborazione con l’organo consiliare secondo le disposizioni dello statuto e del regolamento».
Il precipitato indica una linea interpretativa che non esclude altre cause di revoca per inadempimento quando le mancanze incidono il rapporto di collaborazione e fiducia tra organi: quello consiliare e di revisione.
La revoca si presenta legittima in presenza di un effettivo ostacolo al funzionamento dell’organo consiliare che deve consistere nell’omissione o nel ritardo del regolare compimento delle funzioni (mancata diligenza professionale): la prova di tali condotte deve essere rigorosa, per evitare che il controllato possa procedere alla revoca in presenza di situazione di conflittualità o rilievi non graditi, facendo ricorso ad un uso distorto del potere in contrasto con il paradigma normativo di riferimento e in assenza di una congrua motivazione, rendendo la revoca illegittima[4].
In questo senso, se non è possibile revocare ad nutum l’incarico di revisore dei conti per motivi di contrasto con le scelte dell’Amministrazione, pena l’alterazione del corretto rapporto tra controllore e controllati, che spetta all’organo di revisione assicurare, è possibile, di converso, revocare l’incarico dando piena contezza dei motivi dai quali si possa desumere la rottura del rapporto di collaborazione: la presenza di gravi inadempienze che precludono la continuazione dell’incarico, nel senso di ostacolare la funzionalità delle prerogative del Consiglio comunale a cui competono precise competenze generali.
Al di fuori dell’ipotesi canonizzata dalla norma, mediante una motivazione rafforzata si dovrà dimostrare la gravità della condotta assunta in violazione da una parte, al ritardato regolare compimento delle attività e delle funzioni previste dal citato art. 239, comma 1, dall’altra parte, delle altre eventualmente previste dallo statuto dell’ente locale, tutte condizioni che impediscano od ostacolino il funzionamento dell’organo consiliare: sanzione funzionale ad assicurare il buon andamento della PA, ai sensi dell’art. 97 Cost.[5].
Infatti, a consolidare l’estensione della fattispecie la norma si sofferma nel sanzionare “in particolare” un ritardo nella funzione (la «relazione sulla proposta di deliberazione consiliare di approvazione del rendiconto della gestione e sullo schema di rendiconto»), che costituisce una tra le varie possibili “inadempienze” dell’organo di revisione, quella che, a parere del legislatore, che anche da sola, per la sua rilevanza e gravità, risulta sufficiente a fondare il provvedimento sanzionatorio di revoca, ma non escludendo altre individuate dallo Statuto o dal Regolamento.
Invero, si può affermare che, se appare più corretto delimitare le cause con una elencazione da riportare nei cit. atti, questo non impedisce di estenderne (le cause) quando la “collaborazione” viene meno, avendo cura di dimostrare – quale onere motivazionale – tutte le circostanze e gli effetti prodotti sull’organizzazione e sulla funzionalità dell’Amministrazione dal comportamento assunto dall’organo o dal singolo componente: ad esempio, ritardi accumulati nella sottoscrizione del verbale della verifica di cassa, nonostante la documentazione sia stata messa a disposizione da molto tempo e siano stati fatti diversi incontri sull’argomento, tra il personale interno e gli amministratori, ovvero quando la ricusazione del verbale firmato dagli altri componenti del Collegio, predisponendone uno motu proprio (in evidente violazione alle regole che governano i rapporti interni all’organo bloccando il processo decisionale espresso dalla maggioranza, qualora non se ne condivida l’operato: la regola, come noto, impone la volontà della maggioranza anche al dissenziente)[6].
In termini diversi, il punto centrale da prendere in considerazione rimane quello del modus operandi del revisore, ponendosi in netta antitesi con i propri doveri, sia quelli connessi alle relazioni con i soggetti all’interno ed esterni dell’Amministrazione da improntarsi ai principi di correttezza e buona fede, sia la partecipazione proficua (senza difficoltà) ad un organismo collegiale, escludendo tutte quelle legittime e lecite attività che rientrano tra i compiti individuati dalla legge.
I rapporti tra organi
La sentenza tiene a chiarire che le motivazioni della revoca non rientrano nella volontà del Consiglio comunale di opporsi o sottrarsi al controllo effettuato dai revisori, quanto piuttosto a mettere in luce un generale atteggiamento poco collaborativo, segnatamente:
- mancata tempestiva espressione del parere sul bilancio entro 10 giorni dal ricevimento, termini ampiamente decorsi, con un atteggiamento dei Revisori stigmatizzato dall’ente in quanto poco sollecito e ritenuto imprudentemente, volto a rimandarne l’approvazione del bilancio e gli adempimenti conseguenziali, sebbene la proroga legislativa, prospettata dagli stessi come certa, fosse stata solo annunciata e non confermata;
- scarsa propensione di fornire “consulenza agli uffici per risolvere problemi contabili”;
- mancata informativa delle sedute del Collegio al fine di consentire che alle stesse potessero assistere il Sindaco, il Segretario Comunale e il Responsabile del servizio finanziario, in violazione alle norme regolamentari interne, pur sollecitate – per un confronto – da parte del responsabile del Servizio Finanziario, sottraendosi in modo ingiustificato.
Un decalogo di possibili cause
Il Tribunale evidenzia, nei termini descritti, una serie di concause che hanno compromesso il rapporto di fiducia/collaborazione tra Consiglio e Collegio dei revisori, minando le regolari relazioni da una parte, in primis tra persone (uffici e amministratori), che dovrebbero porsi alla base di ogni rapporto umano prima, lavorativo poi, nel rispetto dei ruoli e delle competenze reciproche, dall’altra parte, i ruoli ricoperti all’interno del Comune tra dirigenza e capo dell’Amministrazione, i quali non risultano serventi di altri organi ma posti alla pari in termini di responsabilità, anzi titolari di un potere proprio affidato dalla legge, che ben può discostarsi dalle valutazione del Collegio, con assunzione delle connesse conseguenze.
Vengono anche indicate ulteriori violazioni alle regole di collaborazione, ossia la violazione di una previsione regolamentare che prescrive «al Collegio dei Revisori, prima della formalizzazione definitiva del Referto, di attivare un contraddittorio per l’acquisizione di chiarimenti dal responsabile».
Emerge dagli atti che nessuna interlocuzione sia mai avvenuta, anzi la formalizzazione del Referto è avvenuta senza alcuna ulteriore attività istruttoria e senza chiedere chiarimenti in merito agli uffici, prescindendo del tutto da quanto riferito in sede istruttorio dal Responsabile (sui rilievi), impedendo al Consiglio Comunale di avere una cognizione compiuta della vicenda, avente notevole rilievo per l’Ente.
Si comprende, dal tenore della sentenza, che è venuta meno l’esistenza di una fiducia intesa come diligenza nell’assolvimento dei compiti, con omissioni gravi e reiterate che hanno compromesso l’efficace ed efficiente azione amministrativa, impedendo la prosecuzione dell’incarico, con disservizi e ritardi, pena la compromissione della “buona amministrazione”.
Indicazioni operative

