tratto da mauriziolucca.com

IoIn via generale, secondo i principi canonizzati dall’art. 97 della Costituzione, la competenza consente di attribuire ad un soggetto (o organo) un determinato potere (la c.d. inderogabilità dell’ordine legale delle attribuzioni e competenze)[1], a cui corrisponde una responsabilità, rilevando, estendendo il campo, che «è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza», ex comma 1, dell’art. 21 octies, della legge n. 241/1990, significando che l’incompetenza si presenta quando viene violata (invasa) una sfera di attribuzione riposta in un determinato soggetto, in base alle norme di tipo organizzativo che ne attribuiscono, appunto, la competenza (c.d. autorità).

L’incompetenza relativa

Il riferimento va all’incompetenza relativa (vizio che comporta l’annullabilità dell’atto, salvo sanatoria processuale per i vizi di forma e del procedimento, ai sensi del comma 2, del cit. art. 21 octies), non assoluta (c.d. difetto di attribuzione o carenza di potere, con affetti di nullità)[2], dove un organo del Comune invade la sfera di altro organo (ad esempio, il dirigente che si sostituisce al Sindaco): l’incompetenza ricorre nel caso di violazione di quella norma di legge che determina l’assegnazione ai diversi organi amministrativi della attribuzione di compiere determinati atti, una disfunzione che si presenta, dunque, quando compie un atto che sarebbe legalmente valido solo se compiuto da un altro organo (dello stesso o di altro ente).

Reciprocamente, si dice che un atto è viziato da “incompetenza” quando è compiuto da un organo diverso da quello a cui per legge è riservato il potere di compiere validamente atti di quel tipo: affinché ci sia incompetenza occorre comunque che il potere esercitato indebitamente sia previsto dalla legge come potere di altro organo (dello stesso o di altro ente)[3].

Il pronunciamento

Fatte queste premesse di inquadramento, la sez. VII del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7699 del 20 settembre 2024, offre una differenziazione di competenza tra gli organi (tecnici/elettivi) del Comune, dove un Comune viene escluso da un finanziamento PNRR non avendo adottato gli atti dagli organi competenti: una violazione (inversa) della c.d. riserva di amministrazione[4].

Nello specifico, il Comune, pur inserito in graduatoria, veniva escluso al momento della verifica della sussistenza delle condizioni di partecipazione alla procedura selettiva: il progetto di fattibilità tecnico-economica non veniva approvato dalla Giunta comunale ma dal dirigente (un evidente vizio).

La Giunta comunale non poteva ex post integrare il requisito con l’approvazione del progetto: un soccorso istruttorio non invocabile a sanatoria/convalida.

Incompetenza tra organi

L’appello risulta infondato, con piena legittimità dell’esclusione per incompetenza del dirigente nell’approvazione della progettazione di “fattibilità preliminare”, con le seguenti motivazioni:

  • la lex specialis per la partecipazione alla procedura selettiva esigeva che la progettazione fosse approvato dall’organo competente, ovvero dalla Giunta comunale (e non, dunque, dal dirigente);
  • l’art. 23, decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, esigeva che il progetto preliminare e lo studio di fattibilità rientrassero nella competenza della Giunta comunale, in considerazione del fatto che tale livello di progettazione «definisce il quadro delle esigenze da soddisfare», rientrando, quindi, a pieno titolo negli indirizzi politico-amministrativi che l’Ente locale persegue, selezionandoli con un tasso di elevata discrezionalità, nell’interesse della collettività (in continuità e coerenza con l’art. 41 e l’Allegato 7), del d.lgs. n. 36/2023, che ha ridotto da tre, progettazione di fattibilità tecnica ed economica, progettazione definitiva e progettazione esecutiva, a due i livelli di progettazione, il progetto di fattibilità tecnico-economica e il progetto esecutivo);
  • nel progetto di fattibilità tecnica ed economica si individua, tra più soluzioni, quella che presenta il miglior rapporto tra costi e benefici per la collettività, in relazione alle specifiche esigenze da soddisfare e prestazioni da fornire, definendo (tale fase) una prospettiva di “accettazione sociale dell’opera”, poiché in esso è trasfusa l’esigenza collettiva dell’opera stessa e il contemperamento degli interessi dei cittadini, rispetto ad altre possibili iniziative (valutazioni di merito o opportunità);
  • ne consegue che la natura giuridica della scelta alla base della decisione amministrativa, non può che appartenere all’organo politico – la Giunta comunale – quale sede naturale in cui vengono enucleati (ex lege) gli obiettivi e i programmi politico–amministrativi dell’Ente locale.

La separazione delle competenze

Da queste conclusioni, il Giudice di seconde cure, si sofferma sul principio di separazione tra Politica e Amministrazione, dove gli organi elettivi effettuano le scelte di “governo”, e gli organi tecnici quelle di natura gestionale: il riparto delle competenze viene delineato dagli artt. artt. 42, 48 e 107 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL).

In definitiva, nel TUEL sono declinate le competenze tra organi:

  • al Consiglio comunale spettano solo le tassative competenze enucleate dall’art. 42, e, nel caso di specie, ai sensi del comma 2, alla lett. b), il suddetto organo ha esercitato le sue prerogative, inserendo l’intervento nell’ambito del programma triennale delle opere pubbliche[5];
  • al dirigente competono, fra gli altri e per quanto ancora qui di interesse, «tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108», ai sensi dell’espressa previsione recata dall’art. 107, comma 2, dovendo, pertanto, il dirigente dare esecuzione alle scelte di natura politica, ossia quelle che portano in attuazione le decisioni degli organi elettivi, in relazione alle proprie competenze (tecniche);
  • spetta alla Giunta comunale approvare il progetto di fattibilità, mentre alla dirigenza compete l’adozione degli atti idonei ad impegnare l’ente verso l’esterno, ma non potendosi sostituire «al suddetto organo nella valutazione politico-amministrativa, ad alto tasso di discrezionalità, delle caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, del quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire, oltre alla comparazione delle ragioni della scelta della soluzione prospettata, in base alle valutazioni delle diverse soluzioni possibili in termini di costi e benefici per la collettività»;
  • alla Giunta comunale, inoltre, viene riconosciuta la competenza residuale, ai sensi dell’art. 48, comma 2: «la giunta compie tutti gli atti rientranti ai sensi dell’articolo 107, commi 1 e 2, nelle funzioni degli organi di governo, che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco o del presidente della provincia o degli organi di decentramento».

La sentenza chiarisce in modo solare che l’atto di approvazione progettuale spetta alla Giunta comunale atteso che l’oggetto concerne proprio la scelta dello specifico progetto da realizzare, selezionato in concreto fra tutti quegli altri astrattamente possibili: una competenza puntuale sul merito della scelta non traslabile all’organo tecnico, neppure per via implicita, con l’inserimento (ex post) dell’intervento all’interno (in variante) del piano triennale LL.PP.

Precisazioni

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