Tratto da: Lavori Pubblici
Può una sopraelevazione abusiva realizzata in area vincolata ottenere la sanatoria paesaggistica? Qual è la differenza tra volumetria urbanistica e volumetria paesaggistica? E chi è realmente competente a ordinare la demolizione, il Comune o la Soprintendenza?
Domande all’ordine del giorno – soprattutto dopo le recenti modifiche apportate al d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) dalla Legge n. 105/2024 di conversione del D.L. n. 69/2024 – che hanno già trovato risposta in diversi interventi della giustizia amministrativa (es. Consiglio di Stato, sentenza 24 dicembre 2024, n. 10380 e sentenza 6 giugno 2025. n. 4950), nuovamente affrontate dai giudici di Palazzo Spada con nella sentenza 4 agosto 2025, n. 6873 che affronta la vicenda di un edificio situato in zona sottoposta a vincolo storico-paesaggistico.
I proprietari avevano realizzato, senza titolo edilizio né autorizzazione paesaggistica, una sopraelevazione di circa due metri sulla parte nord dell’immobile, con eliminazione del tetto a falda e ricavo di un nuovo piano abitabile, comprensivo di camere e servizi.
A seguito di richiesta di sanatoria, la Soprintendenza aveva espresso parere negativo sull’accertamento di compatibilità paesaggistica, rilevando l’aumento di sagoma, piano e superficie utile. Il Comune aveva quindi adottato ordinanza di demolizione che i proprietari hanno impugnato davanti al TAR, senza successo, e hanno successivamente proposto appello al Consiglio di Stato.
on la nuova sentenza n. 6873/2025, il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità del diniego e della demolizione, ribadendo alcuni principi chiave:
- motivazione del parere paesaggistico: non occorrono argomentazioni complesse, ma è sufficiente che siano chiaramente individuati gli elementi di incompatibilità (nel caso, la modifica della sagoma e la creazione di un piano ulteriore);
- volumetria paesaggistica autonoma: ciò che può apparire irrilevante in termini urbanistici può invece essere significativo per il paesaggio, perché altera l’equilibrio visivo e l’impatto ambientale;
- competenze concorrenti: in presenza di vincolo paesaggistico, il Comune conserva poteri repressivi generali ex art. 27 TUE, che si affiancano a quelli della Soprintendenza;
- demolizione come regola: la sostituibilità con la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 34 TUE è valutabile solo in fase esecutiva e non incide sulla legittimità dell’ordine di demolizione;
- questione costituzionale respinta: non vi è disparità di trattamento tra aree vincolate interne o esterne ai centri storici; l’art. 33 TUE prevede comunque la demolizione in presenza di vincolo.
Per comprendere fino in fondo il ragionamento del Consiglio di Stato occorre partire dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. n. 42/2004). L’art. 167, comma 4, rappresenta il punto fermo: la sanatoria paesaggistica è esclusa quando l’intervento ha comportato aumenti di superficie o di volume. È proprio questa previsione che rende incompatibile, sul piano paesaggistico, una sopraelevazione con creazione di un nuovo piano abitabile.
Sul piano edilizio, il riferimento immediato è al Testo Unico Edilizia (d.P.R. 380/2001). Qui gli articoli 27, 32, 33 e 34 disciplinano i poteri di vigilanza del Comune, l’ordine di demolizione e l’eventuale sostituzione della sanzione ripristinatoria con quella pecuniaria, da valutare però solo nella fase esecutiva. In quest’ottica, la demolizione resta la regola e la fiscalizzazione un’eccezione, attivabile quando la demolizione comprometterebbe la stabilità del fabbricato.
Un passaggio innovativo è stato introdotto dal decreto “Salva Casa”, che ha inserito l’art. 36-bis nel TUE. Il comma 4 prevede espressamente che, anche in presenza di nuove superfici o volumi realizzati senza autorizzazione paesaggistica, il dirigente comunale debba richiedere alla Soprintendenza un parere vincolante di compatibilità. Se il parere non arriva entro i termini (90 giorni), scatta il silenzio-assenso e l’ufficio può provvedere autonomamente. È una disposizione che, almeno sul piano procedurale, introduce margini di regolarizzazione più ampi, anche per opere che abbiano determinato aumenti volumetrici. Tuttavia, come dimostra il caso deciso dal Consiglio di Stato, resta ferma la valutazione di merito: se la Soprintendenza accerta l’incompatibilità, il diniego è inevitabile.
A completare il quadro vi è la Legge n. 241/1990, che impone la motivazione degli atti amministrativi. In questa vicenda, il Consiglio di Stato ha riconosciuto come il parere negativo fosse adeguatamente giustificato, facendo riferimento alla modifica delle sagome e all’aumento di piano.
Infine, non va trascurato lo sfondo urbanistico più ampio, che trova nei limiti inderogabili del D.M. n. 1444/1968 e nella Legge n. 765/1967 i capisaldi della pianificazione moderna. È proprio in questa trama normativa che si innesta il principio ribadito dal Collegio: anche un volume irrilevante dal punto di vista urbanistico può rivelarsi intollerabile sul piano paesaggistico, giustificando la repressione dell’abuso.
La sentenza si muove lungo un crinale già tracciato dalla giurisprudenza, ma introduce alcune puntualizzazioni di interesse operativo per i tecnici.
Il primo punto riguarda la differenza tra volumetria urbanistica e volumetria paesaggistica. Il Consiglio di Stato ribadisce che non si tratta di concetti sovrapponibili: ciò che può apparire marginale in termini di carico urbanistico può avere un impatto rilevante sul paesaggio. La creazione di un nuovo piano, anche se ricavato da un sottotetto già esistente, produce comunque un aumento di superficie utile e di volume che modifica in modo percepibile le sagome dell’edificio. È proprio questa alterazione visiva a giustificare il diniego della Soprintendenza.
Il secondo aspetto riguarda il rapporto tra vincolo paesaggistico e strumenti di sanatoria. Con il decreto “Salva Casa” il legislatore ha introdotto l’art. 36-bis TUE, che al comma 4 prevede la possibilità di richiedere il parere vincolante della Soprintendenza anche per opere che abbiano generato nuove superfici o volumi. È una norma che amplia gli spazi di regolarizzazione procedimentale, arrivando persino a contemplare il silenzio-assenso. Ma questa apertura non elimina il vaglio sostanziale: se la modifica è ritenuta incompatibile con il vincolo, il parere negativo resta vincolante e impedisce la sanatoria. La sentenza in commento conferma proprio questo limite: la sopraelevazione non poteva essere regolarizzata perché lesiva dell’assetto paesaggistico.
Terzo punto, il riparto di competenze. Il Consiglio chiarisce che non vi è una riserva esclusiva della Soprintendenza: il Comune, in quanto titolare del potere generale di vigilanza ex art. 27 TUE, può e deve intervenire con l’ordine di demolizione, anche in area vincolata. Si tratta di competenze concorrenti, che mirano entrambe al ripristino della legalità edilizia e paesaggistica.
Infine, un passaggio importante è dedicato alla sostituibilità della demolizione con la sanzione pecuniaria. L’art. 34 TUE prevede questa possibilità solo nella fase esecutiva, quando la demolizione rischierebbe di compromettere la stabilità del fabbricato. Non è quindi una scelta che incide sulla legittimità dell’ordine di demolizione, ma una valutazione successiva, affidata all’amministrazione in sede di esecuzione.
In sintesi, la decisione ribadisce che l’accertamento di compatibilità paesaggistica non può trasformarsi in un’occasione di sanatoria automatica: anche dopo il “Salva Casa”, il filtro resta severo e la tutela del paesaggio prevale sulle esigenze di regolarizzazione.
Un ulteriore passaggio della vicenda riguarda l’iniziativa dei ricorrenti che hanno rappresentato di aver depositato una nuova SCIA in sanatoria, facendo leva sulle novità introdotte dal decreto “Salva Casa” e sull’art. 36-bis del Testo Unico Edilizia. In particolare, il comma 4 della norma prevede che l’accertamento della compatibilità paesaggistica possa essere richiesto “anche in caso di lavori che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero l’aumento di quelli legittimamente realizzati”.
Gli appellanti hanno sottolineato che questa disciplina, insieme alle linee guida ministeriali emanate per l’attuazione del “Salva Casa”, avrebbe consentito di valutare nuovamente la compatibilità paesaggistica dell’intervento. Hanno però dichiarato di avere comunque interesse alla prosecuzione del giudizio d’appello, chiarendo che la nuova domanda di sanatoria non determina l’improcedibilità del processo.
La circostanza mostra come l’art. 36-bis stia già producendo effetti pratici nei contenziosi in corso, offrendo agli interessati la possibilità di attivare procedimenti paralleli di regolarizzazione. Resta tuttavia il nodo centrale: anche in questo nuovo quadro normativo, l’esito finale dipende dal parere vincolante della Soprintendenza, che conserva un ruolo decisivo nella valutazione di compatibilità paesaggistica.
Il Consiglio di Stato ha dunque respinto l’appello, confermando sia il diniego di compatibilità paesaggistica sia l’ordine di demolizione. La decisione offre indicazioni chiare e utili per i tecnici che si trovano a operare in contesti vincolati.
In primo luogo, le sopraelevazioni comportano sempre un incremento di volume e superficie utile rilevante ai fini paesaggistici, anche se sotto il profilo urbanistico l’impatto può apparire contenuto. Ne consegue che il parere negativo della Soprintendenza è pienamente legittimo quando individua proprio nella modifica della sagoma la ragione dell’incompatibilità.
Va poi ricordato che i Comuni mantengono un potere concorrente rispetto alla Soprintendenza nell’adottare l’ordine di demolizione, e che la possibilità di sostituirlo con la sanzione pecuniaria ex art. 34 TUE rimane eventuale e circoscritta alla fase esecutiva.
Infine, le nuove procedure introdotte dall’art. 36-bis TUE non offrono una sanatoria automatica: anche in presenza di volumi o superfici aggiuntive, il parere vincolante della Soprintendenza resta il passaggio decisivo che può determinare l’accoglimento o il rigetto della domanda di regolarizzazione.